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NICOLETTA FIORUCCI: ALTA MODA, UNA SPINTA ALLA RIPRESA

Gli obiettivi della società consortile per azioni «Alta Roma», composta da Camera di Commercio, Comune e Provincia di Roma, sono ambiziosi: promuovere Roma come una delle due capitali internazionali dell’alta moda, insieme a Parigi; trasformare la «città eterna» in un palcoscenico d’esordio della nuova leva di giovani creativi italiani e stranieri e, nello stesso tempo, in un punto di riferimento della riflessione culturale sulla moda. Questi obiettivi sono a portata di mano a giudicare dal successo della manifestazione «Alta Roma Alta Moda», organizzata dall’azienda consortile e svoltasi a Roma dal 31 gennaio al 3 febbraio scorso. Numeri e qualità delle collezioni che hanno sfilato per quattro giorni, alternando ai capi d’abbigliamento mostre fotografiche ed eventi culturali di rilievo, offrono l’idea del successo della manifestazione: 550 operatori del settore accreditati, ospiti e buyers di 21 Paesi, 26 rappresentanti della stampa internazionale hanno assistito a presentazioni di altissimo livello in sedi storiche prestigiose. Accanto ai grandi sarti - Riva, Gattinoni, Sarli, Balestra e Marella Ferrera -, oltre a stilisti stranieri come Abed Mahfouz e Tony Ward -, Alta Roma ha portato in passerella giovani talenti che con le loro collezioni hanno confermato la capacità di selezionare il meglio dell’«haute couture» contemporanea. La manifestazione si è distinta anche per contenuti culturali di altissimo spessore, come la mostra inedita dedicata al fotografo Richard Avedon e quella dedicata alla giornalista Diana Vreeland che per prima pubblicò servizi sulla moda italiana nelle pagine delle più diffuse riviste del mondo; e per il Festival delle riviste indipendenti «Fashion on paper», uno sguardo nuovo sull’editoria di settore, tenutosi nel Tempio di Adriano. A dare un deciso impulso in termini di innovazione all’appuntamento romano con l’alta moda, è stata Nicoletta Fiorucci, eletta presidente di Alta Roma nel gennaio 2008. Di formazione poliedrica - è laureata in Psicologia ma con paralleli studi in arte, marketing e finanza aziendale -, la Fiorucci è stata tra i soci fondatori che hanno reso possibile il rilancio della società, con incarico di vicepresidente dal 2002. Erede di uno dei più noti gruppi alimentari italiani, che ha presieduto dal 1993 al 2000, ha avuto riconoscimenti in qualità di imprenditrice, quali la Mela d’Oro 1998 della Fondazione Marisa Bellisario e il Premio per l’Imprenditoria femminile ricevuto dal Ministero delle Politiche produttive nel 2005.

Domanda. Perché proprio a Roma è nata una società a capitale misto per la promozione della moda?
Risposta. Perché l’alta moda nasce, oltre che a Parigi, a Roma negli anni 30. Quindi è una tradizione anche di questa città. A differenza della Francia, dove è tutto concentrato nella capitale, dal prêt-à-porter all’alta moda, al design per uomo e donna, in Italia l’attività è più articolata, con una differente divisione dei ruoli. A Milano è prevalente il prêt-à-porter, intendendo per esso l’industria della moda, con tanti Saloni di innovazione; a Firenze c’è Pitti Immagine che gestisce la più grande manifestazione nel mondo di moda maschile; a Roma c’è l’alta moda. Alta Roma persegue lo scopo di tenere viva questa tradizione, innovandola. L’obiettivo è creare una situazione interessante in campo internazionale che consenta di attrarre a Roma un turismo di qualità e una moda di classe. L’agenzia pubblica lavora per valorizzare il territorio, attraverso la moda, nel caso specifico le sartorie e i laboratori che sono diffusi in città e più in generale in Italia.

D. Quali sono le vostre principali attività e come si sono evolute nel tempo?
R. Alta Roma ha creato e impostato la manifestazione di alta moda, articolandola in due diversi eventi, uno a gennaio e uno a luglio e facendola crescere a una dimensione di rilievo nel panorama internazionale. Nel corso del tempo si è aggiunta l’attività di ricerca di nuovi talenti. La nostra attuale ambizione è diventare palcoscenico di esordio della moda. In collaborazione con Vogue Italia, abbiamo creato il concorso «Who is on next», giunto alla sua quinta edizione e dedicato ai giovani stilisti, affiancandolo al concorso di alta moda.

D. Quali sono le sue caratteristiche?
R. Inizialmente il concorso era dedicato alla sola moda femminile, di recente l’abbiamo esteso alla creazione di moda maschile in collaborazione sempre con Vogue Italia e con Pitti Immagine, per offrire un’occasione a un maggior numero di stilisti. Who is on Next è particolarmente importante, sta dimostrando di essere un’utile cerniera tra il mondo dei creativi e quello dell’industria. Tocchiamo un problema aperto del nostro Paese: l’Italia non ha grandi progetti per le nuove generazioni, sappiamo bene quanto è difficile per i giovani entrare nel mondo del lavoro. Da questa constatazione è nato il concorso. Tutti i vincitori dei premi hanno trovato lavoro in aziende affermate e sono diventati in poco tempo una novità sulla scena della moda, mantenendo in pieno le promesse dell’esordio. Garante della qualità delle sfilate è la giuria internazionale del concorso, creata da Vogue Italia e composta da persone qualificate della moda mondiale. Una giuria che sa fare bene il proprio lavoro. Gli stilisti che vincono sono i migliori ed il mercato li premia.

D. Quale attenzione riserva Alta Roma alla cultura?
R. Il nuovo consiglio di amministrazione ha pensato di inserire nella manifestazione l’aspetto culturale della moda. Promuovere una lobby dei valori che parte da Roma, centrando lo scopo di un’azienda che è emanazione di istituzioni pubbliche. Pensiamo alla moda come elemento del sistema Paese. Ci siamo accorti che l’Italia non ha scuole di moda a livello internazionale, e che i nostri musei non ospitano mostre di moda e di storia della moda, archivi e documentazione come in altri Paesi del mondo, dal Metropolitan al Victoria and Albert Museum, al Prado di Madrid. L’Italia non ha questa tradizione. Pur essendo un comparto così vitale e così strategico per il prodotto interno e per la nostra identità, la moda in realtà non è coltivata come materia culturale. E questo Alta Roma sta cominciando a progettarlo. In ciò siamo stati ascoltati dal ministro Sandro Bondi, il quale per la prima volta nella storia ha concesso il patrocinio del Ministero dei Beni culturali a una manifestazione di alta moda.

D. Nella manifestazione di febbraio avete introdotto delle novità di rilievo. Può spiegare quali?
R. La manifestazione si è distinta per contenuti culturali di alto valore, come la mostra inedita dedicata Richard Avedon e quella dedicata a Diana Vreeland, che per prima ha pubblicato servizi sulla moda italiana nelle pagine delle principali riviste del mondo. Poi abbiamo lanciato un’assoluta novità nel panorama italiano, il numero zero del Festival delle Riviste Indipendenti «Fashion on Paper». Per indipendenti si intende propriamente quelle riviste create di recente, quasi tutte dopo il 2000, da ragazzi e giovani professionisti, curiosi, colti che parlano di arte, moda, design in maniera molto spontanea, viva, contemporanea. Li abbiamo invitati, gli abbiamo dato lo spazio gratuito, una pedana per organizzare ogni sera un evento in piena libertà, senza sottoporci i progetti. Tutti i pomeriggi si sono alternati dibattiti - fashion talk -, che hanno raccolto ogni giorno più di mille giovani provenienti da Roma e da tutta Italia e che hanno potuto discutere con oltre 20 relatori italiani e stranieri. Alta Roma ha portato per la prima volta a Roma i fashion blogger più accreditati del momento, come Scott Schuman di «The sartorialist» e Diane Pernet di «A shaded view on fashion». Tutto questo era a disposizione della cittadinanza con ingresso gratuito. Questa è una parte della manifestazione che può avere uno sviluppo incredibile. In futuro immaginiamo una manifestazione con più talks, ampliata ad architetti e filosofi e a persone del mondo della cultura, con l’intento di creare un punto di riflessione della moda, probabilmente estendendo i fashion talks a tutto l’anno. Pensiamo a veri e propri appuntamenti periodici, aperti al pubblico, nel Tempio di Adriano dove potremo invitare vari relatori, per fare di Roma una città in cui si dibattono i temi della moda a confronto con la filosofia, l’estetica, l’etica.

D. Avete dato anche spazio alla moda etica. Di che cosa si tratta?
R. Alta Roma ha acceso i riflettori sul lato etico della moda con l’evoluzione del progetto «Ethical Fashion» diventato una sezione stabile del calendario, che ha permesso a tre stilisti africani di sfilare nelle passerelle romane e di fare conoscere il lato «umano» della moda. Un progetto sempre più concreto che Alta Roma - grazie all’International Trade Center, braccio operativo dell’Onu, e al marchio Nathu - porterà a Washington per coinvolgere la consorte del presidente degli Stati Uniti, Michelle Obama, e che sta richiamando l’attenzione di istituzioni come la comunità di Sant’Egidio. Ritengo che i temi dell’etica e dell’ecologia diventeranno sempre più presenti in futuro, anche come risorsa per la moda dei Paesi in via di sviluppo. Lavoriamo con l’International Trade Center di Ginevra già dal gennaio dell’anno scorso, rapporto che è continuato nella manifestazione di luglio e che si è rafforzato in quest’ultima manifestazione invernale. Oltre ai tre stilisti stranieri, ha sfilato anche uno stilista che propone abiti i cui tessuti provengono interamente dalla filiera biologica. Stiamo cercando di creare una sensibilità anche in questo campo.

D. Quale ruolo dà alla promozione in questo settore?
R. La promozione è la base della moda, perché questa senza comunicazione non vive. Storicamente essa si è affermata attraverso l’editoria. Non a caso abbiamo festeggiato, nella manifestazione di febbraio, l’editoria di settore con Diana Vreeland e con la mostra di Avedon. Senza la diffusione attraverso l’editoria, probabilmente gli atelier sarebbero rimasti quei luoghi dove le dame acquistavano gli abiti e il cappellino e uscivano, senza lasciare tracce nella società. Con l’editoria la moda diventa consumo, fenomeno di massa. Anche per questo essa vede nell’editoria il salto, lo sviluppo.

D. E quale importanza riveste la formazione?
R. È fondamentale. Prima esisteva l’apprendistato. Da ragazzina, Coco Chanel poteva fare pratica frequentando un laboratorio. Oggi tutto ciò non basta più. Perché comunque il modello, divulgandosi con l’editoria, rende la formazione di uno stilista molto composita. Siamo passati nel giro di pochi decenni dall’ago al computer. Oggi a uno stilista non può sfuggire come si muove il mondo. Bisogna anche dire che i laboratori dell’alta moda possono essere paragonati a quelli di un artista. Non parliamo di aziende che hanno fatturati enormi, ma di un grandissimo valore e di una sapienza manuale che ha il nostro Paese e che l’alta moda racchiude nelle proprie massime espressioni. Quindi bisogna condurre assolutamente una battaglia per tenerla in vita, perché con questa si tengono in vita tutte le botteghe artigiane che le ruotano intorno. C’è quindi un interesse economico ma anche un aspetto legato ai valori intrinseci della nostra società che vengono dal Rinascimento e conservano un amore per la manualità assente in altri Paesi.

D. Come ha visto cambiare la moda nel corso degli anni e, a suo avviso, come sta cambiando la percezione di essa?
R. La moda è espressione di una delle più grandi rivoluzioni culturali cui stiamo assistendo in questi anni. In generale essa cambia perché rispecchia l’identità di un’epoca. Quella attuale è un’epoca che corre più veloce delle altre. Le scoperte scientifiche, internet, hanno notevolmente accorciato i tempi della conoscenza e della comunicazione. La società globale crea in continuazione usi e costumi nuovi. Prima ad un concerto di sera si andava con l’abito lungo, oggi vi si va con un accessorio da sera, portato magari sullo stesso abito usato per il giorno. Lo stile classico continua ad esistere, ma deve fare i conti con una donna «contemporanea» che è più informale e che non rinuncia al proprio look. In questo senso la moda cerca di anticipare le esigenze di diversi look che coesistono e corrispondono a stili di vita diversi. Possiamo dire che lo stile oggi cambia continuamente, ma facciamo fatica ad osservarlo, perché probabilmente domani è già diverso. E questa continua metamorfosi è molto alimentata dai nuovi strumenti di comunicazione. Si è scoperto ad esempio, in uno dei talk organizzati da noi, un particolare molto interessante: molta moda e molto stile oggi si fanno sul blog, viaggiando su internet. Ma trae anche linfa dalla strada e può essere per questa ragione più estemporanea. Insomma, cambiano i veicoli di comunicazione della moda e nello stesso tempo cambia con maggiore celerità ed eterogeneità lo stile.

D. In che modo l’alta moda influenza il modo di vestire della gente comune?
R. L’alta moda, per propria natura, si rivolge alla persona singola. Per la persona comune è il sogno, perché restituisce un senso di unicità che l’industria di massa non può dare. È anche vero che il prêt-à-porter, cioè l’industria della moda, deriva dall’alta moda. È un concetto di omologazione, anche se le aziende di moda vanno sempre avanti, non creano mai la stessa collezione, ma una collezione che tiene conto delle aspettative commerciali di tutto il mondo. È l’industria che si sostituisce al laboratorio. L’alta moda no, può permettersi di giocare, perché deve piacere a una persona sola, mentre il prêt-à-porter a migliaia di persone, di lingue e culture diverse. I nostri stilisti sfileranno davanti a un parterre di spettatrici, ognuna delle quali amerà un capo in base alle proprie inclinazioni personali. Poter scegliere un capo unico è il massimo del lusso. Questo è il sogno.

D. Quali sono i principali mercati di sbocco per la moda italiana e quali le prospettive nell’attuale crisi economica?
R. Il principale mercato di sbocco rimane l’Italia. Le donne italiane amano la ricercatezza, l’eleganza, il dettaglio. Ci sono poi mercati che hanno accresciuto negli ultimi anni il loro potere di acquisto e che sono interessati al nostro stile, come i Paesi arabi ed ex sovietici; sono molto promettenti. Lo sono meno i Paesi come Brasile e India, che hanno già i loro stilisti. Due aspetti devono coincidere perché un mercato possa ritenersi interessante: un potere d’acquisto sufficiente e la mancanza di stilisti locali. Quanto al mercato che non tradisce, è una cosa tutta da scoprire. È indubbio che con la crisi economica c’è stata una contrazione di ordini che nel prêt-à-porter ha visto una flessione del 5 per cento. Non ci sono ancora dati univoci, però, sull’alta moda. Il fatto interessante è che il mercato italiano sembra in questo momento non risentire molto della situazione economica

Tags: turismo camere di commercio Roma arti e mestieri influencer fashion moda Marzo 2009

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