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FABRIZIO CRISCUOLO: LE OCCASIONI E I LIMITI DELL'ARBITRATO

Fabrizio Criscuolo

«I tempi della giustizia sono lunghissimi e un imprenditore non può attendere, per questo si ricorre alla conciliazione, rinunciando a far valere le proprie ragioni, o ci si affida ad altre giurisdizioni». Il professore Fabrizio Criscuolo riassume così le ragioni che spingono gli operatori economici a scegliere vie alternative al dibattimento nel Paese in cui «il procedimento civile può avere una durata spropositata e il processo penale superare normalmente i dieci anni». Criscuolo insegna da tempo questi argomenti nelle aule universitarie.
Docente di Istituzioni di diritto privato nella facoltà di Economia dell’università della Calabria, unisce all’insegnamento la professione di avvocato civilista: «La mia attività si svolge in tutti gli ambiti del diritto civile e commerciale, a cominciare dalle consulenze nelle fasi preparatorie dei contratti. Sono convinto, peraltro, che l’esperienza dell’avvocato maturi soprattutto nel contenzioso–sottolinea–; anche per questo è affascinante dedicarsi alla fase in cui si confrontano interessi contrastanti, quando cioè si devono cercare la ragione o il torto sulla base di regole giuridiche, di fronte alla magistratura, ordinaria e amministrativa, o nei collegi arbitrali».
Riguardo alla sua esperienza professionale ricorda: « Il mio apprendistato si è svolto nello studio del professor Elio Fazzolari, un processualista di fama, e subito dopo la laurea in diritto civile nella Sapienza, ho iniziato a collaborare con il mio relatore, il professor Giovanni Ferri. Poi ho proseguito con il professor Pietro Perlingieri, oggi presidente dell’Associazione degli avvocati civilisti italiani, di cui mi considero allievo.
Da molti anni il mio interesse scientifico si è concentrato nello studio del contratto, dell’arbitrato e, più in generale, dell’autonomia privata». Sono numerose le monografie che ha scritto in materia: «Autonomia negoziale e autonomia contrattuale», «Arbitraggio e determinazione dell’oggetto del contratto», «L’autodisciplina, autonomia privata e sistema delle fonti», «Diritto dei contratti e sensibilità dell’interprete».

Domanda. Da cosa nasce l’interesse per questo ambito del diritto?
Risposta. Viviamo un momento di crisi della sovranità, caratterizzata da forti spinte centrifughe e da istanze autonomistiche, a livello territoriale ma anche in relazione a settori di interesse economico e corporativo. In una società così frammentata, la capacità e il potere dei privati di autoregolamentare i propri interessi rivestono un ruolo quasi strutturale. Aumenta la loro pretesa di dettarsi le regole, nella convinzione che questo sia il modo migliore per valorizzare le individualità e porre rimedio all’eccessiva invadenza delle regole statali che, secondo l’esperienza maturata negli anni scorsi, avevano dato esito negativo sul piano dell’efficienza economica e non solo. Alla base vi è la convinzione che rimettere certe scelte alle dinamiche degli interessi privati sia preferibile all’eccesso di regole.

D. Quali sono i modelli di questa corrente di pensiero?
R. In questo orientamento culturale vi è la tendenza ad assumere a riferimento sistemi che consideriamo più efficienti, come, ad esempio, gli ordinamenti dei Paesi anglosassoni. Tuttavia bisogna stare molto attenti a mutuare acriticamente modelli così distanti, che appartengono a culture e tradizioni lontane, profondamente diverse dalle nostre. Si rischia l’eterogenesi dei fini, minando le basi del nostro sistema. L’Europa continentale è depositaria di una grande cultura e di un’enorme tradizione giuridica; in Italia i capisaldi sono nella carta costituzionale e può essere pericoloso cercare di cambiare dal basso. Né possiamo pensare di modificare tutto il sistema, frutto di secoli di storia e di tradizioni. Il diritto è cultura e non può essere tradotto in modo pedissequo da culture diverse. Non appare una scelta opportuna.

D. In questo contesto, quali sono secondo lei gli aspetti di maggiore interesse e rilievo?
R. Riveste un notevole significato l’impegno civile oltre che scientifico, con l’obiettivo di dare un contributo al diritto e alla giustizia, in grave sofferenza da molto tempo. Una devianza patologica che ha riflessi fortemente negativi nel sistema economico, con una spropositata durata media del processo civile e di quello penale. Nei tre gradi di giudizio si superano anche i dieci anni di attesa per avere un esito giudiziario, e un imprenditore non può attendere tempi così lunghi. Per questa eccessiva lentezza si ricorre all’arbitrato o alla conciliazione rinunciando a far valere le proprie ragioni, o si decide di affidarsi a giurisdizioni diverse dalla nostra. Vi è ormai una diffusa concorrenza tra giurisdizioni, soprattutto tra operatori trans-nazionali. Gli inglesi parlano di «forum shopping» perché i grandi studi legali suggeriscono di indicare nei regolamenti contrattuali questo o quel foro per la composizione delle controversie, in funzione degli specifici interessi da tutelare. Ma vorrei sottolineare che non sempre la celerità rappresenta anche una garanzia di efficienza.

D. Per quale ragione?
R. L’esperienza maturata nel campo della giustizia sportiva, ad esempio, ispirata da esigenze di celerità processuale per non interferire con i tempi delle manifestazioni, costituisce un caso emblematico. La rapidità delle decisioni nello scandalo di Calciopoli ha evidenziato le non trascurabili contraddizioni rispetto all’articolo 24 della carta costituzionale, norma che garantisce e tutela il diritto inviolabile alla difesa in ogni stato e grado del procedimento.

D. Dal 2001 lei è titolare della cattedra di Istituzioni di diritto privato nell’università della Calabria. Cosa è cambiato con le varie riforme?
R. Nel vecchio ordinamento quadriennale e anche dopo con la riforma Berlinguer, l’insegnamento era presente all’interno di un corso di laurea in Discipline economiche e sociali. La riforma Moratti ha consentito all’ateneo di istituire, all’interno della facoltà di Economia, un nuovo corso quinquennale di laurea magistrale in Giurisprudenza. Nel fondare il nuovo corso abbiamo immaginato una formazione giuridica che, insieme alla preparazione propria delle professioni legali e della magistratura, desse spazio anche agli aspetti economici e aziendali. In precedenza, il corso di laurea in Scienze economiche e sociali era più mirato a materie sociologiche e storiche. Alla base di questa evoluzione ha pesato la necessità di rispondere all’esigenza di preparare giovani quadri delle amministrazioni pubbliche e private, di cui si avverte la necessità del ricambio, piuttosto che la necessità di operatori generici del diritto.

D. A soli sei anni dall’entrata in vigore della riforma Berlinguer si è deciso di riformare ancora l’università. Perché?
R. Quella riforma, pur lodevolmente ispirata dall’esigenza di omologazione agli standard europei, non ha dato buona prova anche a causa del proliferare di corsi talvolta suggestivi ma inutilmente fantasiosi. I nuovi ordinamenti scaturiscono dai richiami a una maggiore sobrietà compiuti dai ministri di vari schieramenti, che si sono succeduti in questi anni, Letizia Moratti, Fabio Mussi e infine Maria Stella Gelmini. Certo in questo momento sono contemporaneamente attivi tre diversi ordinamenti universitari.

D. Lei è anche docente nel corso di laurea in Servizi giuridici per l’impresa dell’università e-Campus. Come funziona il corso e quali opportunità offre?
R. È un’università telematica, istituita con decreto dal ministro Moratti nel 2006. Si tratta di un’occasione formativa potenzialmente dirompente, rivolta per lo più a persone che già lavorano e intendono progredire in termini scientifici ed economici, o a chi, non più giovane, intenda arricchire la propria formazione. Questo progetto innovativo è in grado di competere nel mercato, interpretando la domanda di competenze specialistiche, grazie a un’offerta di elevata qualità che tiene conto degli sviluppi tecnico-scientifici più recenti e, nello stesso tempo, dei bisogni del sistema sociale ed economico e delle persone che vi operano.

D. Com’è organizzato l’ateneo?
R. Ha cinque facoltà - Giurisprudenza, Economia, Lettere, Ingegneria e Psicologia -, con un campus vero e proprio, dotato di 270 camere e di un insieme di spazi e luoghi di interesse a disposizione degli studenti, dei professori e degli ospiti italiani e stranieri. La sede è in Brianza, in quello che era il Centro di formazione europea della Ibm. Nel mio corso di laurea, in particolare, prepariamo professionisti in grado di operare nelle amministrazioni e nelle imprese pubbliche e private, esperti in contrattualistica nazionale e internazionale, operatori giuridico-informatici, esperti di regolamentazione dei mercati, esperti di gestione del personale, oltre a chi vuole intraprendere la libera professione di consulente del lavoro.

D. Tornando al tema dell’autonomia privata nelle controversie, qual è il ruolo delle camere arbitrali?
R. Sono un convinto assertore della necessità di questo strumento per la soluzione di controversie tra operatori economici. Ma in un contesto di degrado sociale e morale, occorre definire i rapporti di forza, non sempre trasparenti. È questa la ragione per cui Antonio Di Pietro, all’epoca ministro delle Infrastrutture, pretese di abolire per legge la possibilità di ricorso all’arbitrato nel caso di contratti con un committente pubblico. Una norma di cui era comprensibile l’ispirazione, dato il rilevante costo dell’arbitrato e la frequenza di decisioni a sfavore della pubblica amministrazione, ma che rischiava di determinare la paralisi di interi settori economici.

D. Per un motivo in particolare?
R. Perché gli appalti si svolgono sulla base delle regole europee del massimo ribasso, rendendo i margini di guadagno così esigui che un’impresa non può rischiare, ove sorga un contenzioso, di attendere i tempi della giustizia ordinaria. Questa è la ragione per cui l’entrata in vigore della norma è stata rinviata già due volte, sia pure con modalità discutibili, e si continua a ricorrere agli arbitrati sia pure in uno strano clima di precarietà.

D. Quali misure servono per rendere l’arbitrato più efficiente e utile?
R. Al momento è difficile prevedere cosa accadrà in futuro. Certo, è necessario cercare di reintrodurre valori etici, affermando innanzitutto regole chiare sulla terzietà e sull’indipendenza di chi partecipa ai collegi arbitrali, con riguardo non solo alle capacità professionali ma anche alle qualità morali e umane. Oltre a questo, occorrono regole chiare sul procedimento e sui costi. In questo senso credo che le istituzioni arbitrali, nazionali e internazionali, possano svolgere un ruolo notevole, in quanto organismi in grado di garantire l’indipendenza della giustizia privata, con un’amministrazione dei procedimenti secondo regole oggettive, sottratte alla totale disponibilità delle parti. Può essere un modo non solo apparente di realizzare un procedimento con tutte le caratteristiche proprie della giurisdizione. Perché non bisogna dimenticare che gli arbitri sono organi che, sia pure in forma privata, svolgono una attività intrinsecamente giurisdizionale.

D. In quali ambiti sono diffuse le camere arbitrali?
R. Molte camere di commercio si sono dotate di questo strumento, sulla base delle indicazioni contenute nella riforma, adatte a favorire soluzioni conciliative o comunque alternative rispetto alla giustizia togata. Ma camere arbitrali sono state istituite anche in molti altri settori. Vi è, ad esempio, quella nell’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici, o quelle tecniche negli ordini professionali. vi sono poi altre istituzioni, tra cui la camera di commercio internazionale di Parigi.

D. Lei è stato anche presidente del Cies, il Centro di Ingegneria economica e sociale. Come si è conclusa quella esperienza?
R. Si trattava di un consorzio tra alcune imprese pubbliche e private cui aveva aderito anche la Regione Calabria, che avrebbe potuto essere uno strumento di grande potenzialità di ricerca e di formazione. Vi hanno lavorato anche personalità di rilievo, come l’epistemologo Giuseppe Ardizzo. Ma il contesto non era soddisfacente: i partners privati erano assenti e le poche commesse pubbliche erano caratterizzate dalla scarsità delle risorse finanziarie. Così, dopo appena due anni di attività, sono stato costretto a metterlo in liquidazione.

Tags: camere di commercio avvocatura sport giustizia Ottobre 2009

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