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BRUNO BRANCIFORTE: COMPITI, RISULTATI E PROSPETTIVE DELLA SQUADRA NAVALE ITALIANA

ammiraglio Bruno Branciforte, comandante Squadra Navale

Quali sono i compiti della Marina Militare italiana in questi tempi di pace? Che cosa fanno le navi, gli equipaggi, gli ufficiali, nei porti, nelle acque territoriali, in quelle «di casa» ossia nel Mediterraneo, e soprattutto in mari, oceani e continenti lontani? Quali sono la situazione dei mezzi e le novità più importanti in materia di armamento? A questi interrogativi, che raramente si pongono i cittadini la cui attenzione è attratta semmai, a causa della loro maggiore visibilità, dall’Esercito e dall’Aeronautica Militare, risponde lammiraglio Bruno Branciforte, comandante in capo della Squadra Navale, che fa il punto su aspetti specifici ma non meno importanti per il Paese. Ad esempio sul fenomeno, che ha registrato una profonda evoluzione in questi ultimi anni, dell’immigrazione clandestina; sull’indispensabile trasformazione che devono affrontare addirittura le strutture interne delle navi a causa dell’abolizione della leva militare obbligatoria; sui nuovi criteri imposti nella costruzione di nuove unità navali dalla partecipazione a operazioni e missioni di pace, sempre più frequentemente compiute anche a grandissima distanza dall’Italia. Si tratta di interventi che richiedono l’impiego di aerei e di elicotteri, e quindi la realizzazione di portaerei dotate di piattaforme idonee a ospitare la presenza e le manovre contemporanee di tali mezzi.

Domanda. Quali sono oggi i compiti della Squadra Navale anche alla luce dei problemi creati dall’immigrazione clandestina?
Risposta. In linea generale, il compito principale è la preparazione della flotta per qualsiasi tipo di missione. I compiti principali riguardano la sicurezza internazionale, per contribuire alla quale unità della flotta italiana partecipano a operazioni internazionali spingendosi anche al di là del Mediterraneo; attualmente una nostra unità, insieme ad altre inglesi, francesi, americane, tedesche e olandesi, controlla nel Mare Arabico il traffico mercantile per impedire attività illegali e passaggi di armi e di terroristi. Lo stesso tipo di attività viene svolto nel Mediterraneo nell’ambito della Nato. In acque più vicine la Marina italiana svolge altri compiti, come la sorveglianza sul fenomeno dell’immigrazione. Con il varo della legge Bossi-Fini in materia, sono state definite le funzioni delle varie forze impegnate in questo campo; la Marina, la Guardia di Finanza e la Guardia Costiera, più che combattere l’immigrazione clandestina, effettuano un controllo dei flussi migratori verso l’Europa e in particolare verso l’Italia meridionale. Il fenomeno ha subito vari cambiamenti nel tempo; fino a qualche anno fa questi flussi provenivano dall’Oriente tramite l’Albania o dal Mediterraneo orientale; si concentravano sulla costa pugliese e ionica; negli ultimi tempi questi arrivi sono quasi del tutto cessati mentre si sono sviluppati quelli provenienti dall’Africa centrale e diretti prevalentemente verso Pantelleria, Lampedusa e le coste meridionali della Sicilia.

D. Come si svolge questo controllo?
R. La Marina Militare svolge attività di sorveglianza con aerei da pattugliamento marittimo Atlantic di base a Sigonella, e con unità che pattugliano il mare mantenendosi fra la costa libica e quella italiana. Nelle vicinanze di questa, il pattugliamento per garantire la sicurezza e la salvaguardia di vite a mare è svolto dalla Guardia Costiera. Di norma le imbarcazioni dei clandestini vengono localizzate in alto mare, nel 70 per cento dei casi da aerei e nei restanti casi da unità navali. Gli annunci di avvistamenti vengono trasmessi al Ministero dell’Interno e alla Guardia di Finanza. Questo coordinamento interforze fa sì che nel territorio italiano non giunga nessuno che non sia identificato. Poi un altro, effettivo controllo viene fatto a terra dalle forze di polizia. Questo impegno è molto gravoso, perché richiede almeno un’unità in mare 24 ore al giorno e un aereo in volo per circa 8 ore sulla zona interessata.

D. Quindi i costi sono elevati?
R. Certo non sono limitati, ma se non si attuassero i controlli avremmo sempre più spesso arrivi non preannunciati. Grazie all’organizzazione di controllo, quasi tutte le imbarcazioni vengono avvistate prima. Talvolta può accadere che i clandestini non vengano avvistati, in particolare quando le condizioni del mare sono talmente precarie da ridurre le capacità di localizzazione dei radar, i cui sensori hanno limiti fisici e portate determinate; inoltre, non sempre le rotte dei clandestini sono note e non sempre sono le stesse. Qualche anno fa fu disposto il blocco navale della Serbia per evitare di farvi giungere armi e merci diverse dai medicinali e, nonostante la costa fosse poco estesa, fu necessario schierare ben sette navi contemporaneamente; immaginiamo quanto sia più difficile, data la sua estensione, controllare la costa nordafricana da cui partono i migranti.

D. Che cosa ritarda l’ammodernamento della Squadra Navale?
R. Negli ultimi anni alcuni fattori fondamentali hanno influenzato le scelte tecniche e le nuove costruzioni. Innanzitutto il terrorismo internazionale, che rappresenta la maggiore minaccia alla sicurezza, ha indotto a progettare piattaforme diverse da quelle costruite fino agli anni 90. L’ambiente marino può essere usato da organizzazioni terroristiche dal momento che in alto mare non esistono regole, sono difficili i controlli e nelle acque internazionali le imbarcazioni si muovono con la massima libertà. Un’organizzazione terroristica potrebbe sfruttare questo ambiente per le proprie azioni, per passare da un Paese all’altro, o per attuare traffici di armi. A terra è più difficile svolgere queste attività criminali perché strade, linee ferroviarie, frontiere, aeroporti, possono essere meglio controllati. Quanto sia importante il controllo di tutto ciò che avviene in alto mare si comprende considerando la lunghezza della costa italiana e la possibilità che qualsiasi mezzo, anche di soli 20 metri, proveniente da qualunque angolo del mondo, ha di raggiungerla in completa libertà, ad appena 12 miglia da essa al limite delle acque territoriali, e di guadagnare quindi nel momento più propizio la terra. Tutte le Marine Militari occidentali mirano al massimo controllo del traffico mercantile; per scambiarsi informazioni occorrono sistemi terrestri ma soprattutto unità navali; molte Marine occidentali esercitano questa attività nel Mar Arabico e nel Mediterraneo. In quest’ultimo, una formazione permanente della Nato sorveglia i movimenti e se necessario compie ispezioni su navi sospette.

D. Quali tipi di naviglio vengono impiegati?
R. Navi che stiano molto più a lungo in mare, che vi trascorrano 4 mesi su 5; quindi più grandi, in grado di rimanere in mare a lungo, dotate dei sistemi di comunicazione più sofisticati. Negli ultimi anni la tecnologia e in particolare l’avvento dei satelliti ci hanno aiutato. Alcuni di questi sono in grado di controllare il territorio ma servirebbe una rete per sorvegliare costantemente intere aree geografiche. Il terrorismo internazionale ha portato l’esigenza di navi più grandi ma questa esigenza è derivata anche dalla professionalizzazione delle Forze Armate. A bordo delle navi il 50 per cento dell’equipaggio ha gradi abbastanza bassi: il marinaio di leva prima trascorreva a bordo mediamente 8 mesi, corrispondenti a 10 mesi di servizio militare e le sistemazioni logistiche del personale di leva erano dimensionate per questa permanenza a bordo. Per 8 mesi si riusciva a vivere su una nave in un locale per 24 marinai ma con la professionalizzazione non si può pretendere che il marinaio viva 10 anni in quelle condizioni. Quattro mesi di navigazione in locali per 24 persone difficilmente si accettano, ecco perché nelle nuove navi gli alloggi per la truppa ospitano al massimo 6 unità.

D. Allora come saranno quelle nuove?
R. Più grandi; l’acciaio non costa molto, il valore di una nave non sta nel tonnellaggio ma in quello che vi è contenuto, ossia nel sistema di combattimento. Quando si progetta una nave, si deve pensare innanzitutto alle capacità che deve possedere; intorno a queste va costruito lo scafo. Insieme alle capacità operative si deve tener conto di quelle logistiche, della vita a bordo. Quindi vengono progettate navi con un tonnellaggio superiore perché le desideriamo non più grandi ma più vivibili per l’equipaggio, e più rispondenti alle nuove esigenze. Anche altri fattori influenzano la progettazione. Negli ultimi dieci anni si è assistito a un crescente coinvolgimento in attività civili: la Marina Militare ha aiutato la Protezione Civile fornendo unità per il trasporto e per le operazioni anfibie, dislocandole per oltre due mesi a Messina per le eruzioni dell’Etna e di Stromboli, ha predisposto un piano di evacuazione di Lipari in caso di necessità. Si tratta di unità in grado di trasportare un ingente numero di persone con elicotteri o via mare. Per questo tipo di esigenze, ma anche per necessità militari e per operazioni anfibie, recentemente abbiamo modificato due unità ampliandone il ponte di volo; prima potevano portare uno o due elicotteri, adesso quattro. La portaerei in costruzione Cavour è molto flessibile, potrà ospitare aerei dell’aviazione navale ma anche truppe. Io ho comandato la portaerei Garibaldi e ho capito che non è sufficiente per gestire operazioni con aerei ed elicotteri. Quando imbarcavamo i due tipi di mezzi era difficile coordinarli. Il Garibaldi poteva imbarcare fino a 11 aerei ma nessun elicottero; normalmente si imbarcavano 6 aerei e 5 elicotteri, ma gestire il ponte di volo era complicato.

D. A che punto è la costruzione di Nave Cavour?
R. Nella fase finale, nel giro di un paio di anni, la nave dovrebbe diventare operativa. Se ne costruirà un solo esemplare ma, date le limitate risorse finanziarie a disposizione, la ritengo sufficiente. È un po’ più lunga del Garibaldi, ha un ponte di volo più largo in quanto sono state leggermente ristrette le sovrastrutture per consentire il passaggio di due aerei, per cui si possono gestire indipendentemente operazioni di elicotteri e di aerei. Abbiamo usato il Garibaldi per l’intervento in Afghanistan, constatando l’importanza di una piattaforma adeguata, se si deve trasportare lontano una componente aerea utile come protezione o assistenza in qualsiasi operazione di terra. Dal momento che partecipiamo a operazioni che mirano alla sicurezza internazionale, abbiamo bisogno di una componente aerea proiettabile anche lontano dal Mediterraneo.

D. Quali altre opportunità offre?

R. Il Cavour è stato progettato anche per altri scopi, come trasportare mezzi corazzati dell’Esercito. È nato anche con questa funzione perché quasi mai oggi in un’operazione interviene una sola forza armata. Tutti i mezzi, soprattutto quelli della Marina, devono unirsi in queste operazioni e il Cavour ha una grandissima potenzialità in questo senso, è nato per ospitare i comandi di grandi formazioni. In questo momento la Marina Militare italiana ha un incarico di grande responsabilità: sul Garibaldi è imbarcato un ammiraglio di Divisione chiamato a comandare le operazioni navali della Nato in caso di crisi in una determinata area; è un compito affidato a rotazione a Italia, Inghilterra, Francia e Spagna. Avere il Cavour oggi ci avrebbe dato un grandissimo vantaggio ma esso potrà ospitare anche comandi come quello costituito in occasione dell’invio delle nostre truppe in Iraq; prima di essere dislocato nell’area di Nassiriya, un comando dell’Esercito è rimasto imbarcato per un mese sulla nave anfibia San Giusto. Nave Cavour potrà trasportare 350 marines con i loro mezzi in qualsiasi parte del mondo e potrà essere impiegata per qualsiasi emergenza determinata da calamità naturali. Il nostro fornitore Fincantieri produce unità sicure e soddisfacenti. Nelle nuove costruzioni sia il sistema di combattimento che gran parte di quello di propulsione viene dall’industria italiana: Fincantieri e tutta l’industria della Difesa offrono sempre un prodotto di qualità.

D. Gli altri Stati hanno unità come il Cavour?
R. Anche più grandi. Una portaerei americana è quattro volte il Cavour, ma non possiamo fare questo confronto perché ogni strumento militare deve essere dimensionato alla politica estera del proprio Paese. Un altro punto nodale è il budget assegnato alle Forze Armate: i recenti tagli ai fondi della Difesa impongono la necessità di costruire navi che resistano nel tempo. La vita dell’unità oggi in servizio era stimata non superiore ai 25 anni, le navi future potranno durare dai 30 ai 40 anni mentre per il Garibaldi prevediamo ancora 25 anni.

D. Quali sono i compiti delle forze navali nelle missioni di peace keeping?
R. La locuzione «peace keeping» indica un tipo di operazione diretta a mantenere la pace fra due contendenti. Abbiamo svolto questo lavoro sempre con molta obiettività; i nostri comandanti difficilmente hanno dubbi, le norme comportamentali che devono osservare sono ben definite, dopo tanti anni di impiego in queste missioni non registriamo problemi di alcun genere; le nostre forze sono in grado di svolgere un lavoro con alta professionalità, grande efficienza e soprattutto grande equilibrio.

D. Come la Marina affronta i rischi provenienti dal Sud-Tirreno?
R. Non delimiterei l’area di provenienza del terrorismo, che può arrivare da qualsiasi direzione. Nel mare esso può muoversi con grande libertà: per questo la Marina Militare Italiana ha presentato un anno fa, al Simposio di Venezia, il progetto Virtual Regional Maritime Traffic Centre (V-RMTC), un sistema di controllo dettagliato del traffico mercantile attuato attraverso lo scambio di informazioni fra tutte le Marine che operano in quest’area, quindi non solo europee ma anche della sponda africana. Vorremmo realizzare un controllo come quello attuato in campo aereo, creare una centrale di arrivo e partenza di informazioni, al servizio di tutte le Marine che collaborano a questo progetto che, avviato lo scorso giugno, è ancora in fase di sviluppo; dovrebbe garantire maggiore sicurezza e conoscenza soprattutto dei movimenti di imbarcazioni non identificate. L’obiettivo è sapere chi sta navigando nel Mediterraneo, dove si trova, da dove viene, dove va e cosa fa.

D. Qual è il ruolo delle donne nella Marina Militare?
R. Le consideriamo come gli uomini: un militare. Non facciamo distinzioni fra sessi. Personalmente valuto positivamente il loro ingresso nelle Forze Armate. Abbiamo personale femminile civile che lavora in arsenale dal 1982 e donne che lavorano nei Ministeri. Per le donne al comando è ancora presto, ma ci arriveremo: dovranno completare la formazione come per gli uomini. Oggi abbiamo in Marina 900 donne di cui più di 400 ufficiali, ma sono in gran parte a nomina diretta o hanno concordato con la Marina un arruolamento limitato. In Accademia sono presenti più o meno 190 donne e nel prossimo marzo le prime 21 cominceranno un iter formativo che le porterà al comando, e che potrebbe un domani portarle anche all’incarico di capo di Stato maggiore.

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