CARLO MOSCA: COSÌ GARANTIAMO I DIRITTI DEI CITTADINI
Già direttore della Scuola superiore dell’amministrazione dell’interno e dell’Ufficio legislativo centrale del Ministero, e negli ultimi quattro anni e mezzo capo di Gabinetto del ministro dell’Interno, dal 3 settembre scorso Carlo Mosca è il nuovo prefetto di Roma, in sostituzione di Achille Serra. Dopo aver frequentato il liceo classico nella scuola militare Nunziatella di Napoli, ha studiato nelle università di Sassari, Napoli e Roma, laureandosi in Giurisprudenza e in Scienze Politiche e specializzandosi in diritto e procedura penale. Ha trascorso periodi di studio negli Stati Uniti, in Germania e in Francia. Sino allo scorso giugno è stato presidente dell’Associazione europea dei rappresentanti di Stato e dell’Associazione dei prefetti italiani. Ha insegnato nell’Istituto di diritto penale della facoltà di Giurisprudenza della Sapienza di Roma e continua a farlo nella facoltà di Sociologia della Cattolica di Milano e nella Scuola di perfezionamento delle Forze di Polizia. Ha pubblicato oltre cento saggi in diritto penale e amministrativo. In questa intervista delinea un quadro realistico della funzione che è chiamato a svolgere e dei mezzi a disposizione in una città che per l’importanza e la pressione demografica comincia a presentare preoccupanti tensioni sociali.
Domanda. Lei trova una serie di problemi urgenti per risolvere i quali occorrono poteri e mezzi; conosce bene Roma, ma questo le basta?
Risposta. Accanto alle politiche della sicurezza, come noi le abbiamo sempre intese, che riguardano la prevenzione e la repressione dei reati e che sono compito della Polizia, a Roma come in molte altre città d’Italia sono necessarie anche politiche di prevenzione sociale, situazionale e comunitaria. Ma per attuarle, accanto agli interventi di polizia si richiedono altri strumenti, approntati da altre istituzioni e in particolare da Comuni, Province e Regioni. Insieme allo Stato, gli organi di governo locale devono affrontare alla radice le cause di questa situazione, che sono complesse e che esistono in modo particolare a Roma, più che nella sua provincia. Se la complessità è una caratteristica di questi tempi, lo è a maggior ragione nella capitale, tanto più che oggi non esistono soluzioni semplici per questioni complesse. Sto esaminando quotidianamente e attentamente questa realtà, perché desidero rendermi conto e verificare, prima di eventuali interventi di polizia, se esistono soluzioni che possano precederli o accompagnarsi ad essi. È necessaria, infatti, una collaborazione «orizzontale» tra tutte le realtà presenti nell’area.
D. Si riferisce alle sole istituzioni pubbliche?
R. Non solo ad esse. Un fenomeno positivo è l’esistenza, a Roma, di una serie di associazioni di volontariato, di organizzazioni non profit di carattere laico o religioso, sensibili, pronte a collaborare, desiderose di contribuire a risolvere situazioni difficili, ognuna con le proprie possibilità, specificità e capacità di intervento. Tutto questo costituisce un elemento di fiducia e di speranza. Certamente nessuno ha in tasca la soluzione dei problemi, specie quando questi sono complessi, ma sarebbe quanto mai inutile e controproducente ritenere che tutto possa risolversi in chiave di polizia. La nostra è una società democratica, adulta, capace di comprendere la differenza esistente tra interventi di carattere repressivo a carico di chi delinque e interventi di carattere sociale riguardanti soprattutto chi vive in condizioni di povertà e di emarginazione e che pertanto merita l’attenzione di una moderna società civile.
D. Recenti riforme hanno in qualche modo limitato i poteri dei prefetti; questi oggi hanno strumenti per affrontare problemi del genere?
R. Certamente oggi quello del prefetto è un ruolo difficile, ma poiché resta un soggetto «terzo», proprio grazie a questa sua terzietà è in grado di mettere d’accordo i vari protagonisti della vita istituzionale e sociale; di assicurare, con un’azione di coordinamento e di raccordo, l’unitarietà di comportamenti tra lo Stato e le altre istituzioni pubbliche. Anche alla luce della recente riforma costituzionale egli può svolgere un’attività importante. Negli ultimi anni la sua funzione è stata riscoperta in molte aree del Paese, non solo nel sud e nel centro ma anche nel nord; c’è stata una rivalutazione di questo istituto proprio perché garantisce la parità fra istituzioni nazionali e locali, e nello stesso tempo l’esercizio dei propri diritti da parte del cittadino. Se dovessi sintetizzare, direi che il suo ruolo oggi è soprattutto di garantire l’esercizio dei diritti di coloro che vivono nel territorio della provincia. Un ruolo certamente difficile, perché a volte non ha poteri specifici, non ha una funzione ben codificata: comunque continua ad essere autorità provinciale di pubblica sicurezza e di protezione civile; ad avere un ruolo giurisdizionale e paragiurisdizionale nel campo degli illeciti depenalizzati; a vigilare sugli organi degli enti locali intervenendo nei casi di crisi di Comuni e Province e aiutandoli a superare le loro difficoltà; a curare tutto ciò che riguarda il funzionamento della macchina elettorale.
D. Con quali poteri e mezzi materiali svolge tutti questi compiti?
R. Indubbiamente la maggior parte delle attività di un prefetto oggi è affidata allo spirito di missione che egli deve avere. D’altra parte la struttura orizzontale conferita negli ultimi anni alla società non consente a nessun soggetto di porsi in una posizione gerarchicamente superiore. È un ruolo difficile, perché l’articolo 114 della Costituzione è esplicito nell’attribuire ai vari soggetti una dimensione paritaria. Proprio questo rapporto orizzontale tra enti rende necessaria una loro collaborazione per la soluzione dei problemi. Questo non significa che uno debba fare il lavoro dell’altro, ma semplicemente che vanno integrate le varie attività, le varie politiche nel campo della sicurezza e della prevenzione come in altri campi. Ognuno deve svolgere la propria attività senza intralciare quella degli altri, ma integrandosi con essi in maniera tale che tutti possano, sia pure con modalità e con competenze diverse, raggiungere unitariamente l’obiettivo.
D. In questa concezione orizzontale di poteri indipendenti e autonomi, nell’eventuale inerzia degli enti preposti cosa può fare il prefetto?
R. Recentemente gli sono stati riconosciuti poteri sostitutivi nei riguardi delle amministrazioni statali inadempienti, nei casi di loro inottemperanza all’invito ad adeguare l’azione amministrativa al rispetto dell’interesse generale. Gli articoli 141 e 142 del testo unico degli enti locali riconoscono ancora al prefetto il potere di intervenire nei casi di gravi e reiterate violazioni di legge o di turbamento dell’ordine pubblico, fino a rimuovere gli amministratori locali o a sciogliere i consigli comunali e a nominare un commissario. Il prefetto ha inoltre poteri di controllo sui consigli comunali e provinciali nei casi di sospette infiltrazioni camorristiche o mafiose, in vista del loro scioglimento per tali cause. Comunque, anche in mancanza della supremazia gerarchica di una volta, il prefetto è dotato di un’autorevolezza che gli consente di sollecitare i responsabili dell’autonomie locali anche se hanno acquistato, appunto, una piena autonomia.
D. Un tempo il prefetto era anche il giudice degli amministratori; oggi è solo l’angelo custode?
R. Comuni e Province sono cresciuti nella loro autonomia grazie anche all’istituto prefettizio. Ancora oggi il prefetto ha il compito di sostenerli e direi ancora di più: istituzionalmente ha la missione di garantire l’unità dell’ordinamento e del sistema; spesso riesce a mediare fra le diverse posizioni politiche esistenti in Comuni, Province e Regioni. Non di rado sono gli stessi amministratori che si rivolgono a lui per trovare un’intesa, risultato che poi costituisce, sostanzialmente, l’obiettivo della pubblica amministrazione per servire meglio i cittadini. Il prefetto è un osservatore della realtà, è un rappresentante dello Stato, deve sintetizzare le varie istanze, evitare la frantumazione, operare una ricucitura istituzionale fra tutte le autonomie territoriali e funzionali e le positive effervescenze del volontariato.
D. L’intervento del prefetto è normale nelle emergenze; ma che succede nei fenomeni che vanno previsti con molto anticipo, come la reazione della popolazione dinanzi all’impunità della criminalità?
R. Quello che egli può e deve fare è rappresentare al Governo, attraverso le proprie relazioni, la situazione del territorio di competenza e indicare i possibili interventi; e lo stesso alle amministrazioni locali. Nell’attuale società multidecisionale e multifunzionale, il suo compito è quello di sollecitare e creare sinergie tra tutti gli organi responsabili. Questo indica che il ruolo del prefetto non è legato tanto al potere quanto al servizio che egli deve svolgere.
D. Ossia è al servizio della gente e non più dello Stato?
R. Secondo l’ex ministro della Funzione Pubblica Sabino Cassese, il prefetto vale se riesce a risolvere i problemi della gente. Ma debbo aggiungere che oggi questo non è possibile se non viene fatto insieme agli altri, a tutti i governi del territorio. Questa, d’altra parte, è l’essenza di una democrazia moderna, che presuppone un grande senso delle istituzioni e dello Stato, ossia l’impegno a perseguire l’interesse generale. Quindi bisogna stimolare gli altri a tutelare l’interesse generale, che un tempo si chiamava anche il «bene comune».
D. Ritiene che ancora esistano nell’attuale società certi valori?
R. Oggi molti sostengono la necessità di ritrovare, e io sono dello stesso parere, i vecchi valori e quindi l’interesse della comunità. Questo obiettivo a volte può sembrare astratto, ma se chi opera si chiedesse se sta agendo nell’interesse proprio, di una sola parte, o dell’intera società, probabilmente si sentirebbe richiamato all’etica del servizio. Sono stato per alcuni anni direttore della Scuola superiore dell’amministrazione dell’interno; uno dei miei obiettivi di fondo è stato sempre quello di trasmettere forti motivazioni ai funzionari del corpo prefettizio, di far capire che la loro professione è molto difficile. Mi conforta il fatto che nel concorso recentemente bandito per 35 posti sono state presentate oltre 26 mila domande, il che rivela quanto questa professione sia ambita e quanti giovani aspirano a svolgere questo servizio.
D. L’azione di un prefetto può essere quindi ancora utile?
R. Il prefetto della provincia capoluogo di regione oggi può convocare anche una Conferenza permanente regionale coinvolgendo i prefetti delle altre province per affrontare insieme problemi comuni. L’utilità di questa Conferenza consiste nel poter invitare a partecipare a iniziative comuni anche i rappresentanti delle autonomie locali e regionali. Per evitare l’instaurarsi di situazioni diverse nelle varie province, il prefetto del capoluogo di regione cura i rapporti con la Regione e con tutto il sistema delle autonomie territoriali; tutela l’unità dello Stato nei rapporti con queste e con le autonomie funzionali, che svolgono un ruolo notevole perché, anche se non hanno un territorio, in determinati ambiti dispongono di una forte autonomia di governo.
D. Oltreché sulla sicurezza e sull’ordine pubblico, il prefetto può influire positivamente sullo sviluppo economico?
R. Una sezione della Conferenza permanente è dedicata a questo tema. Raccordando vari organi e associazioni, essa ha la possibilità di ascoltare, creare sinergie, stimolare una riflessione comune, sollecitare l’intervento delle amministrazioni per rimuovere ostacoli e risolvere problemi. Oggi sono indispensabili un rapporto costante, un reciproco aiuto e competenze integrate per affrontare i problemi nei tempi consentiti dalle risorse, perché la disponibilità di queste condiziona sempre le soluzioni.
D. Lo Stato e le sue Istituzioni sono stati ridimensionati a favore dei diritti del singolo cittadino; è giusto dal punto di vista teorico ma dopo un’esperienza di 15 anni le riforme degli enti locali si sono rivelate farraginose e dirette ad ottenere risultati diversi da quelli prospettati. Non si sente ancora l’esigenza di riesaminare quelle norme che non funzionano?
R. Molti pensano, e tra essi anch’io, che dopo l’attentato alle torri gemelle di New York dell’11 settembre 2001, dopo la globalizzazione e l’estendersi della criminalità organizzata transnazionale, c’è la necessità di uno Stato più presente. Sembra un paradosso, perché molti ritenevano che esso fosse destinato a scomparire; invece, di fronte a certi avvenimenti, si scopre la necessità di uno Stato più forte nei suoi fattori essenziali. In sostanza occorre uno Stato «meno forte ma più forte», che trasferisca poteri alle autonomie territoriali o funzionali, ma recuperi le funzioni essenziali, ritrovando le forze necessarie per affrontare le nuove sfide. E questo poi era lo scopo delle riforme attuate negli anni 90. Nei successivi passaggi si è perduto il fine originario di lasciar fare allo Stato meno cose ma meglio, di essere meno presente in tanti settori ma molto di più in quelle funzioni essenziali che richiedono la sua presenza. E la salvaguardia della sicurezza è uno di questi.
Tags: Roma polizia Novembre 2007 sicurezza