ANTONIO CATRICALÀ: ANTITRUST, BILANCIO POSITIVO, E SIAMO SOLO AGLI INIZI
Aumenti ingiustificati, o quantomeno sospetti, di pane, pasta e libri scolastici. Contratti assicurativi «tutti uguali», anche nelle clausole vessatorie. Banche che si arrogano il diritto «medievale» di variare il tasso d’interesse praticato sul conto corrente, o che applicano sulle operazioni bancomat costi senza uguali in Europa. Poste che esigono, nel senso letterale, un «balzello» di 2 euro e mezzo da chi si avvicina a un loro sportello per riscuotere un vaglia. Colossi pubblici dell’energia, come Enel ed Eni, che continuano a detenere posizioni dominanti. Latte in polvere che costa molto di più che negli altri Paesi. Enti locali che ricoprono contemporaneamente, nell’erogazione dei servizi pubblici, il ruolo di controllato e di controllore. La lista di esempi snocciolata da Antonio Catricalà, dal marzo 2005 presidente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, comunemente detta Antitrust, fa un po’ impressione. A molte delle storture sopra enunciate, l’azione dell’Autorità ha posto o sta ponendo rimedio: negli ultimi due anni il prezzo del latte in polvere è sceso del 25 per cento, alcuni diritti e balzelli medievali sono stati aboliti, certe posizioni dominanti sono diminuite e così via. Altre sono sotto esame. Ma la strada appare lunga e a volte, come in un malefico gioco dell’oca, si ha l’impressione che invece di andare avanti si torni al punto di partenza.
Quando fu istituita dalla legge numero 287 del 10 ottobre 1990 come autorità indipendente (che prende cioè le proprie decisioni sulla base della legge, senza possibilità d’ingerenza da parte dell’Esecutivo), l’Antitrust si collocava in un contesto politico, economico e culturale, non solo nazionale, ben definito: quello che mirava ad imprimere anche all’Italia una forte spinta in favore della concorrenza e della liberalizzazione del mercato. Sembrava cioè giunto, dentro i confini nazionali, il momento di dare concreta attuazione allo spirito che aveva portato, nel 1958, all’entrata in vigore del Trattato di Roma istitutivo della Comunità europea, i cui articoli 81 e 82 vietano, rispettivamente, le intese restrittive della concorrenza e gli abusi di posizione dominante posti in essere dalle imprese e suscettibili, in quanto tali, di arrecare pregiudizio al commercio fra gli Stati membri.
Ancora, dalla metà degli anni Ottanta in poi, leggi a tutela della concorrenza sono state progressivamente istituite in molti Paesi in via di sviluppo, e poi in quelli dell’Europa centrale orientale e dell’ex Unione Sovietica, impegnati nella faticosa transizione verso un’economia di mercato. Oggi, nel mondo, sono più di 120 i Paesi che hanno adottato una legislazione antitrust; norme a tutela della concorrenza esistono in tutti i Paesi industrializzati appartenenti all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse). E all’interno dell’Unione europea, in particolare, si è sempre più rafforzata una convergenza delle normative e delle modalità di applicazione delle regole sulla concorrenza, pur nel permanere di differenze fra i vari Paesi.
Eppure c’è da rimanere perlomeno perplessi se si confronta la situazione del 1990 con quella attuale; o, a voler restringere l’arco temporale, quanto diceva il presidente Catricalà a Specchio Economico nel luglio 2005, a poche settimane dal suo insediamento, con i «venti protezionistici» che soffiano in parecchie Cancellerie europee (e non solo), arrivando a scompaginare il testo, peraltro ancora lontano dall’approvazione, della nuova Costituzione europea. C’è ancora voglia di liberalizzazione o gli egoismi nazionali e, all’interno dei singoli Stati, delle varie lobbies, minacciano di riprendere il sopravvento? E come opera l’Autorità nazionale per opporvisi? A questa e a molte altre domande risponde lo stesso Catricalà, nel suo luminoso studio all’ultimo piano di Piazza Verdi a Roma, sede dell’Autorità.
Domanda. Due anni fa, alla domanda su quale sarebbe stato il nuovo corso dell’Antitrust, la risposta fu: «Una maggiore integrazione europea, un’attenzione verso le famiglie e i consumatori, una particolare considerazione per le imprese». Sul primo punto non sono stati fatti dei passi indietro?
Risposta. Tutto è recuperabile, ma è indubbio che il processo d’integrazione abbia subito un rallentamento. Molti sono i segnali di fastidio da parte dei Governi nazionali verso una piena libertà di mercato; e ciò ha prodotto ripercussioni sulla bozza della nuova Costituzione europea, nella quale la concorrenza viene considerata non più «obiettivo» ma «strumento». Rimangono ovviamente impregiudicati gli articoli 81 e 82 del Trattato di Roma, e con essi il valore giuridico dei principi della concorrenza; ma dal punto di vista politico non si può non registrare una leggera «diminutio» del valore della libertà di mercato e quindi del ruolo della Commissione, chiamata a salvaguardarlo.
D. Perché ciò è accaduto?
R. Probabilmente si è affermata, in ambito comunitario, una visione troppo astratta della concorrenza, attribuibile anche a un’eccessiva burocratizzazione e a una visione esclusivamente economicistica dell’azione antitrust. Ritengo che in Italia l’Antitrust abbia acquistato negli ultimi tempi maggior prestigio proprio perché non ha mai inseguito visioni solo teoriche del mercato, ma lavora dentro il mercato, al fine di sciogliere, o almeno allentare, tutti i nodi che impediscono un pieno sviluppo della competizione.
D. Dunque le difficoltà europee non inficiano la sua azione?
R. È indubbio che la concorrenza vada tutelata soprattutto a livello europeo: perché se le direttive emanate consentono l’inserimento di clausole di reciprocità nelle opa o una minore salvaguardia dei principi di libera circolazione delle professioni, delle merci e dei capitali nel mercato unico, gli Stati nazionali possono sentirsi autorizzati a perseguire politiche protezionistiche; e all’interno dei singoli Stati le azioni delle Autorità nazionali rischiano di essere depotenziate.
D. In Italia sta succedendo questo?
R. Qualcuno deve garantire in Italia la libertà di mercato. Questo compito è assegnato all’Antitrust: intendo, insieme ai miei collaboratori, fare tutto quanto è in mio potere per affermare principi che molto spesso sono o ignorati o elusi. Ciò comporta una battaglia contro molti poteri economici, ma anche contro una visione della politica che mette al centro il potere dell’Amministrazione ma che, così facendo, allontana i cittadini dall’Amministrazione stessa. Ecco perché l’Autorità ha cercato di illustrare i benefici di un mercato più libero e i pericoli della municipalizzazione delle attività imprenditoriali; ed ecco perché ha infranto alcuni muri di vetro che si ponevano a difesa di categorie troppo protette, quali le libere professioni, o di grandi centri di potere economico come le banche e le assicurazioni.
D. Che bilancio si sente di stilare a due anni dall’inizio di questa battaglia?
R. Siamo soddisfatti. Abbiamo cominciato un’azione che è ancora lunga, ma che ha già dato i primi frutti. Il prezzo del latte in polvere è sceso in Italia di oltre il 25 per cento, con un risparmio di oltre 56 milioni di euro all’anno a beneficio delle giovani famiglie. Abbiamo ottenuto, dopo una battaglia non facile, l’abolizione dello «ius variandi» dei tassi dei conti correnti bancari, che si arrogavano le banche. Abbiamo ottenuto dall’Enel una cessione volontaria di capacità dominante e, dall’Eni, prezzi più bassi per la fornitura di gas a utenti particolarmente «energivori». Tutto ciò l’abbiamo raggiunto con procedure formali e con le garanzie dovute. Ma a volte, senza neppure il bisogno di aprire procedure ma con semplici suggerimenti, abbiamo ottenuto risultati altrettanto significativi.
D. Ad esempio?
R. Abbiamo indotto le Poste Italiane ad eliminare la commissione di 2,5 euro imposta a chi riscuoteva un vaglia; nello stesso modo, l’Unicredit si è impegnato a rendere gratuite le operazioni effettuate con il bancomat in oltre 8 mila sportelli concorrenziali di 4 mila Comuni italiani; il costo della commissione del Rid bancario si è ridotto di circa il 60 per cento.
D. Come avete fatto?
R. Com’è noto, il potere sanzionatorio dell’Autorità si esplica attraverso l’irrogazione di multe che possono arrivare fino al 10 per cento del fatturato delle imprese coinvolte (la legislazione italiana non prevede sanzioni penali per le violazioni della normativa sulla concorrenza). Ma le multe non sono il mezzo repressivo prediletto: considero l’Antitrust come uno strumento non di repressione di pratiche illecite, ma d’incentivazione della concorrenza e di promozione della competizione.
D. Come si esplica tale concetto?
R. Preferiamo che le imprese assumano impegni con l’Autorità a comportarsi in modo virtuoso, più trasparente e competitivo. Tali impegni sono assistiti da un valore giuridico particolarmente pregnante perché, una volta assunti, danno luogo a un obbligo che dev’essere rispettato e che viene controllato nella sua attuazione da parte dell’Autorità. Si tratta quindi di uno strumento particolarmente forte, pur nascendo da una composizione consensuale e volontaria della lite.
D. Al di là di quello europeo, il contesto nazionale favorisce oggi la concorrenza? Perché è così tormentato l’iter parlamentare dei due decreti firmati dal ministro dello Sviluppo economico Pierluigi Bersani, e del disegno di legge di riforma dei servizi pubblici locali presentato dal ministro degli Affari regionali Linda Lanzillotta?
R. È innegabile un risveglio dell’azione politica in favore della liberalizzazione dell’economia italiana. I primi provvedimenti del ministro Bersani hanno portato indubbi benefici al sistema competitivo nazionale, dotando fra l’altro l’Autorità dei maggiori poteri che essa chiedeva. Di tutto questo siamo grati al ministro. Stiamo ora attendendo che il processo vada avanti pur nella consapevolezza, da me espressa durante la presentazione al Parlamento dell’ultima Relazione annuale sull’attività dell’Autorità Antitrust, che le lobbies hanno ottenuto uno stop. Confermo questa affermazione, ma credo anche che, alla lunga, la politica sia più forte delle lobbies. Confido in un atto di coraggio del Parlamento affinché anche il terza provvedimento sia approvato e, nello stesso tempo, il disegno di legge sui servizi pubblici locali riprenda il cammino verso l’approvazione finale. Su quest’ultimo punto, in particolare, ricordo che a volte il meglio è nemico del bene.
D. Che cosa intende dire?
R. Oggi nei servizi locali si assiste a una totale ingessatura dell’attività economica, con enti territoriali che non solo partecipano direttamente al mercato mediante imprese controllate, cosa che, in linea di principio, non costituisce un ostacolo al corretto funzionamento del mercato, ma assumono, nello stesso tempo, il ruolo di regolatore e di regolato avvantaggiando palesemente l’impresa pubblica, cioè la propria, a danno di quella privata. Una legge che vada in direzione di una maggiore liberalizzazione dei servizi pubblici è comunque positiva e va, quindi, approvata al più presto anche se in alcuni punti, durante l’iter parlamentare, ha subito dei peggioramenti. A questi si potrà porre rimedio in seguito, qualora possibile, con i decreti delegati o con una nuova legge.
D. Riprendendo il programma enunciato nel 2005, si può dire che oggi l’Autorità Antitrust sia più vicino alle famiglie e ai consumatori?
R. Sì, e credo che, sulla base delle iniziative che veniamo via via conducendo si stia diffondendo negli italiani l’idea che, oltre alle associazioni dei consumatori, esiste oggi nel Paese un’istituzione pubblica che si occupa di loro, alla quale ci si può rivolgere con una fiducia sapendo che qualsiasi loro segnalazione sarà presa in considerazione.
D. In quali settori dell’economia i consumatori sono più esposti ai pericoli di un’insufficiente concorrenza?
R. Il settore assicurativo è ingessato. Alla base di ciò esistono condizioni oggettive, prima delle quali l’obbligatorietà dell’assicurazione per responsabilità civile; ma in tale contesto si sono inserite indubbie pratiche anticoncorrenziali, anche se molte pronunce dell’Autorità in materia non hanno incontrato il favore dei giudici. Le imprese oggetto di provvedimenti da parte dell’Antitrust possono ricorrere, in primo grado, al Tribunale amministrativo regionale del Lazio e, in secondo grado, al Consiglio di Stato. Il risultato è che negli ultimi anni, di fronte a lievi aumenti dei costi di gestione della responsabilità civile da parte delle compagnie, i premi pagati dagli assicurati hanno subito incrementi ben superiori. Nel settore bancario, come ho detto, alcune storture sono state eliminate, ma molta strada rimane da percorrere: il fatto che le banche guadagnino non è in sé negativo, ma lo diventa se i livelli di efficienza e le condizioni praticate ai risparmiatori sono fra i peggiori d’Europa.
D. L’ingresso del capitale straniero e, con particolare riferimento al sistema bancario, il processo tuttora in corso di concentrazione non hanno migliorato la situazione?
R. Le fusioni creano economie di scala, e quindi riduzioni dei costi, i cui benefici devono ricadere sui cittadini. Sappiamo che occorre tempo perché ciò si verifichi, ma questo non dev’essere troppo lungo. Per quanto riguarda l’arrivo degli operatori stranieri, finora ciò non ha portato vantaggi ai consumatori: le stesse banche che all’estero si comportano in modo virtuoso, in Italia tendono ad approfittare di una situazione di mercato più favorevole ai loro profitti.
D. Come intende agire l’Autorità Antitrust per raggiungere risultati ulteriori?
R. Non abbassare il livello di guardia; controllare continuamente la situazione; far conoscere ai consumatori il loro potere contrattuale; e, soprattutto, evitare di farli cadere nell’equivoco che non possano cambiare se non rimettendoci. A livello centrale stiamo volgendo l’attenzione sulla gestione degli istituti bancari e assicurativi, in modo da individuare, e quindi denunciare, l’eventuale presenza di conflitti di ruolo e di obbligazioni in persone che siedono contemporaneamente in più consigli d’amministrazione, con conseguenti scambi di informazioni e nessun incentivo a farsi concorrenza.
D. Ma non funziona così il capitalismo moderno?
R. Stiamo ben attenti a non tagliare con l’accetta certi nodi del tessuto economico, perché sappiamo che rischieremmo di uccidere l’economia stessa. L’Autorità Antitrust mira semplicemente a salvaguardare la concorrenza e la libera competizione nel mercato, partendo dal presupposto che da queste derivino i maggiori benefici per tutti, imprese e consumatori. L’Autorità dev’essere equidistante: è giusto tutelare i consumatori, ma non si può deprimere il profitto dell’impresa, da cui provengono sviluppo, ricerca, nuova competitività, crescita economica generale. Le imprese non vanno criminalizzate, ma devono essere incentivate a fare meglio e di più. Per questo l’Autorità ne ascolta sempre le ragioni, quando ravvisi una violazione delle norme antitrust.
D. Consiste in questo la «particolare attenzione per le imprese»?
R. Come ho già spiegato, preferiamo chiudere le nostre istruttorie su eventuali violazioni accogliendo l’impegno delle imprese a modificare i loro comportamenti; e anche quando comminiamo sanzioni pecuniarie, segnaliamo sempre al Governo il problema che ha causato una pratica scorretta. Se le imprese si sentono non capite e anzi aggredite, i loro atteggiamenti anti-mercato peggioreranno e le tecniche di violazione ed elusione delle norme diventeranno sempre più sofisticate. D’altra parte le stesse imprese hanno bisogno dell’Antitrust in molte occasioni.
D. Quali, per esempio?
R. Secondo la legge n. 287 del 1990, un’impresa è tenuta a comunicare all’Antitrust la volontà di effettuare un’operazione di concentrazione, qualora i valori di fatturato in gioco superino determinate soglie. Queste occasioni rappresentano un momento di contatto che non dev’essere solo di carattere burocratico-documentale, ma che deve consentire all’Autorità di avvicinarsi all’impresa con i propri principi e valori.
D. Vuol dire che l’Antitrust lavora per favorirle e non per ostacolarle?
R. Le imprese sanno quanto noi lavoriamo per loro: lo facciamo quando chiediamo prezzi meno alti per l’energia o listini meno cari per le prestazioni professionali; quando ci battiamo per più bassi tassi d’interesse sui conti correnti e una maggiore competitività sui mutui; o quando interveniamo per aumentare la competitività complessiva del Paese, dando così alle imprese un terreno di gioco più favorevole: ogni qual volta ravvisiamo ostacoli al libero esplicarsi dell’esercizio d’impresa, li segnaliamo con durezza e ne denunciamo i limiti ordinamentali.
D. Come si pone oggi l’Italia in materia di legislazione antitrust rispetto agli altri Paesi avanzati?
R. Ha una delle migliori legislazioni antitrust e uno degli atteggiamenti più aperti ai capitali stranieri e alla liberalizzazione economica. Siamo più avanti di Paesi come la Francia e la Germania, e anche della Spagna dove l’Antitrust dipende sostanzialmente dal Governo. Potrei dire che abbiamo quasi raggiunto il livello della Gran Bretagna, ma con una differenza fondamentale. In quel Paese si è avuta nei decenni scorsi una vera fase di privatizzazioni e di liberalizzazione dell’economia. Non so se tutto quanto avvenuto in Gran Bretagna sia stato giusto; certamente non esiste un solo modo di liberalizzare, e l’Italia deve trovare il proprio. In questo siamo solo agli inizi: perché il processo compia il necessario salto di qualità, occorre un accordo esteso di natura politica.
D. Intende dire intesa «bipartisan»?
R. I costi elettorali della liberalizzazione si pagano subito, mentre i benefici arrivano dopo anni. Affinché le forze al Governo compiano scelte coraggiose, ma impopolari, in funzione di risultati dei quali non beneficeranno direttamente, occorre almeno un accordo con l’opposizione, in modo che il prezzo finale non venga scontato solo dalla maggioranza, anche se questa pagherà comunque il conto più alto.
D. C’è la certezza che, accelerando sulle liberalizzazioni economiche, i risultati sarebbero positivi?
R. L’esperienza dice di sì. Negli Stati Uniti un accordo del genere avvenne negli anni Ottanta, e le liberalizzazioni che ne derivarono crearono una straordinaria quantità di ricchezza. Considerato l’attuale clima dei rapporti politici, spero che quell’esperienza si ripeta in Italia; se non lo sperassi, la mia funzione perderebbe molto significato.
Tags: AGCM - Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato mercato Novembre 2007 Antonio Catricalà