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ANTONIO TAJANI: ITALIA ED EUROPA FUORI DALLA CRISI SOLO TORNANDO ALL'ECONOMIA REALE

L’on. Antonio Tajani, vicepresidente della Commissione europea e responsabile per l’Industria e l’Imprenditoria - Il vicepresidente della Commissione europea fa il punto sulla situazione e sulle prospettive e illustra l’azione svolta per fronteggiare le difficoltà economiche e cercare di avviare la ripresa

Intervista al vicepresidente della Commissione Europea

Laureato in Giurisprudenza nell’università la «Sapienza» di Roma, dopo aver superato il corso per allievi ufficiali nella Scuola di Guerra Aerea di Firenze e la specializzazione per controllore della difesa aerea nel centro tecnico addestrativo di Borgo Piave, Antonio Tajani fu assegnato alla base operativa del 33esimocentro radar dell’Aeronautica militare. Divenuto successivamente giornalista professionista e parlamentare, redattore del periodico «Il Settimanale», conduttore del Giornale-radio di Rai 1, è stato poi responsabile della redazione romana e inviato speciale del quotidiano «Il Giornale» in Libano, nell’Unione Sovietica e in Somalia. Con Silvio Berlusconi è stato uno dei firmatari dell’atto di fondazione di Forza Italia, quindi coordinatore regionale del partito nel Lazio dal 1994 al 2005. Eletto deputato al Parlamento europeo nel 1994 e rieletto nel 1999 e nel 2004 con oltre 120 mila voti di preferenza, ha presieduto la delegazione di Forza Italia nel Parlamento europeo dal giugno 1999 al maggio 2008, quindi è stato ed è tuttora vicepresidente della Commissione europea, nel cui ambito è stato commissario ai Trasporti dal maggio 2008 al febbraio 2010, e successivamente commissario responsabile per l’Industria e l’Imprenditoria. È stato portavoce del presidente del Consiglio italiano nel primo Governo Berlusconi.
In questa intervista il vicepresidente Tajani fa il punto sulla posizione del Governo italiano in seno alla Commissione europea, e illustra l’attività e i programmi della stessa per il superamento della crisi economica che interessa tutto il mondo occidentale, ma in particolar modo l’Europa, stretta tra le politiche e gli interessi degli Stati Uniti e dei grandi Paesi emergenti come Brasile, Cina e India, i problemi del mondo arabo e quelli dell’immigrazione dai Paesi a sud e ad est del vecchio continente.
Domanda. Come l’Europa, e più in particolare l’Italia, potrà uscire dalla crisi che si avvia al suo terzo anno di presenza?
Risposta. A mio giudizio non si uscirà dalla crisi se non si darà il via a una robusta azione per la crescita, che consiste nello sviluppare il mercato interno dal momento che l’Europa ha mezzo miliardo di consumatori; e a un’intensa politica industriale, rimasta invece in questi anni ai margini del dibattito politico ed economico e la cui assenza è la causa principale della scarsa competitività delle nostre aziende. La politica industriale è chiamata a riparare i guasti provocati da un’economia basata prevalentemente sulla finanza. Dalla fine degli anni 90 è esistito un solo modello, «fare soldi con i soldi», senza produrre nulla, senza creare un posto di lavoro, con perdita di competitività ed erosione della base industriale. Ora quel modello è fallito, siamo piombati nella peggiore situazione economica verificatasi nel dopoguerra a causa di una crisi cominciata come finanziaria.
D. Come si potrà ricominciare?
R. Una delle più preziose lezioni che la crisi lascia, soprattutto in Europa, è l’urgenza di tornare all’economia reale. Alla fine di questa fase occorrerà procedere quindi in tutta Europa a una reindustrializzazione moderna, competitiva e sostenibile. Certamente non potrà essere un ritorno al modello industriale degli anni 80, ma a un’industria che punti soprattutto sulla qualità, perché solo con questa si potrà vincere la grande partita globale. Non certo sulla quantità, terreno nel quale abbiamo temibili concorrenti che possono facilmente superarci. Competere con Cina, India o Brasile sulla quantità o con prodotti a basso valore aggiunto, è utopistico. Per tornare a crescere bisogna puntare su prodotti a forte valore aggiunto, di qualità, innovativi, legati alla ricerca e allo sviluppo tecnologico; e in grado di dare risposte ai problemi di sostenibilità e di scarsità delle risorse, derivanti dalla crescita demografica ed economica mondiale.
D. Che cosa fa in proposito il Governo italiano?
R. Governo italiano, Confindustria, sindacati e tutte le istituzioni nazionali non hanno altra alternativa che migliorare le condizioni delle imprese per riattivare gli investimenti. I progressi compiuti dalla tecnologia, inoltre, rendono superato il trasferimento all’estero di attività produttive; in questo nuovo contesto è logico che si torni a produrre in casa, tenuto conto sia del crescente costo dei trasporti che rende meno conveniente reimportare in Europa prodotti realizzati altrove nel mondo, sia dei consumatori che desiderano prodotti nuovi in tempi brevi. La ricerca, l’innovazione e la formazione sono la carta vincente che, insieme a politiche commerciali meno sprovvedute, ad infrastrutture e a una situazione complessiva più favorevole alle imprese, sono alla base della nuova politica industriale che presento in questo mese alla Commissione Europea.
D. E che cosa fa quest’ultima?
R. In soli due anni il processo d’integrazione europeo ha compiuto passi impensabili prima della crisi. Oltre a regole chiare per limitare gli eccessi della finanza, sono stati introdotti strumenti di solidarietà fiscale, come il Fondo Salva Stati. L’arretramento dell’economia reale spinge l’Europa a compiere un ulteriore passo per giungere in 4 tappe a un governo europeo dell’economia e a una vera unione politica: integrazione finanziaria, dei bilanci e delle politiche economiche, rafforzamento della legittimità democratica. Insieme con il presidente José Manuel Barroso, da qualche mese abbiamo lanciato una «terza rivoluzione industriale»; tra qualche settimana diffonderemo un documento sulla politica industriale per lo sviluppo della produzione qualificata. Ma qualità significa innovazione, per incentivare la quale occorre puntare soprattutto sulla green economy, la cosiddetta economia verde.
D. Quale ruolo dovranno avere gli istituti di credito?
R. In vista dell’unione bancaria, la Commissione ha presentato una proposta concreta sulla sorveglianza bancaria basata sul principio dell’irreversibilità dell’euro, ribadita anche dal governatore della Banca Centrale Europea Mario Draghi. Questo implica che le banche devono tornare a svolgere il loro preciso compito di erogare credito all’impresa. Per far fronte alla crisi molte di esse hanno chiesto indiscriminatamente il rientro di fidi, specie alle piccole e medie imprese, contribuendo al dissesto dell’economia reale; e ora stentano ad erogare credito, se non a condizioni estremamente restrittive. Malgrado l’afflusso nelle banche di oltre mille miliardi di euro della Banca Centrale Europea, un’impresa su tre non riesce ad ottenere il credito richiesto.
D. Che cosa sta avvenendo in questo campo?
R. Decine di migliaia di aziende, sostanzialmente sane, per impossibilità di accedere al credito sono fallite, azzerando gli investimenti produttivi . Con questo mercato del credito è difficile rilanciare la competitività e l’innovazione. Perciò occorrono una politica europea basata sulla presenza di più fondi pubblici a garanzia di prestiti e di capitale di rischio, un maggior ruolo della Banca Europea degli Investimenti e un’applicazione delle norme contenute nell’accordo tra i Paesi europei denominato «Basilea 3», che non penalizzi le piccole e medie imprese. Stiamo lavorando anche su un nuovo regime giuridico per fare, dei capitali di rischio, uno strumento più forte e transfrontaliero, destinato a finanziare l’avvio di imprese innovanti.
D. Quali saranno i vantaggi più immediati che questo programma potrà ottenere?
R. Continuiamo ad assistere a un aumento inarrestabile del costo dell’energia, determinato in primo luogo dal rincaro dei prodotti petroliferi. Pertanto, per riacquistare competitività e far fronte alla concorrenza, occorre attivare strumenti capaci di ridurre questo costo, e ciò si può fare sviluppando le fonti rinnovabili di energia. La green economy è essenziale, ma vi sono anche altri settori funzionali a tale scopo. Uno è quello dell’«auto verde»; un altro, non meno significativo, è quello delle nanotecnologie di alta qualità, che possono consentire alle nostre imprese di tornare ad essere competitive.
D. Cos’altro si può fare per accelerare la ripresa economica? Non vi sono altri campi in cui è possibile intervenire?
R. Dobbiamo rilanciare il settore delle costruzioni. Inoltre l’Europa, può essere altamente competitiva nei settori del turismo e dello spazio. E soprattutto occorre una politica industriale permeata di fiducia, un fattore del quale vi è un assoluto bisogno. Per quanto riguarda le costruzioni, abbiamo preparato programmi di intervento e così pure per il settore dell’auto; e adesso anche per quello dell’acciaio. Per le costruzioni, che dovranno essere ecocompatibili e capaci di realizzare un risparmio energetico, potrà incentivarsi la ristrutturazione degli edifici costruiti prima del 1970, da eseguire di volta in volta con modalità ecocompatibili e tali da ridurne i costi energetici. Il risparmio così realizzato potrebbe coprire, totalmente o parzialmente, il costo dei lavori, con un doppio vantaggio. A questi criteri si ispirerà, ove possibile, la nostra politica nel settore.
D. Qual è l’orientamento dell’Unione Europea per il non meno importante mondo dell’auto?
R. La crisi di questo settore è legata principalmente a difficoltà finanziarie di famiglie e imprese. Quindi, che cosa fare? Abbiamo predisposto un piano articolato in tre punti. Innanzitutto non imporre nuove regole di politica industriale che non siano indispensabili, cercando anzi di alleggerire il peso di quelle esistenti non solo per i cittadini ma anche per l’industria. Secondo, attuare una politica commerciale meno onerosa per il settore; per esempio, l’accordo che abbiamo concluso con la Corea è stato positivo e si è dimostrato molto utile per il mondo dell’auto. Come terzo punto, aumenteremo gli investimenti per l’innovazione tecnologica: dallo stanziamento annuo di un miliardo di euro, fissato nel piano finanziario per il periodo 2007-2013, si passerà nel 2014-2020 a un miliardo e mezzo. Questi sono i tre punti in cui si concentrerà l’azione del settore dell’auto.
D. E per quanto riguarda l’industria spaziale?
R. È una prospettiva interessantissima, anche se di graduale realizzazione. Perché, una volta lanciati i satelliti Galileo in costruzione, entro il 2014-2015 ne avremo in orbita tra i 18 e i 24, che potranno cominciare ad erogare servizi gratuiti agli utenti. Il sistema satellitare Galileo è molto più preciso del GPS americano, e consentirà di realizzare in Europa un risparmio di 90 miliardi di euro l’anno. I settori di attività che beneficeranno dei suoi servizi e potranno incrementare i loro affari sono i trasporti, l’agricoltura, la salute, la pesca, la protezione civile. In tale prospettiva la ricerca scientifica dello spazio diventa cruciale per noi e per l’Europa, dove siamo all’avanguardia.
D. Ha accennato anche al turismo; quali interventi sono in cantiere?
R. Il turismo costituisce un altro settore chiave che, in particolare per noi italiani, rappresenta una straordinaria opportunità. Attualmente l’Italia risulta la prima destinazione turistica nel mondo. Stiamo lavorando innanzitutto per rendere più flessibili le regole per i visti d’ingresso, perché vogliamo che aumentino le presenze di cittadini extraeuropei, soprattutto di turisti russi e cinesi, e presto su questa materia presenteremo un documento.
D. A suo giudizio siamo dinanzi a un’attenuazione o a un inasprimento della crisi e delle difficoltà per famiglie e imprese italiane?
R. I dati del secondo trimestre 2012 hanno rivelato una riduzione del 2,6 per cento del prodotto interno rispetto allo scorso anno; mostrano, quindi in modo drammatico la difficoltà di risanare i conti, di dare stabilità all’euro, di far ripartire la crescita. Questo calo costituisce un’emergenza sociale in quanto indica che ogni giorno si perdono mille posti di lavoro e i disoccupati hanno raggiunto lo scorso luglio il 10,7 per cento dei lavoratori, per complessive 2 milioni 700 mila unità, il massimo dal 2004. Un giovane su tre non trova lavoro. Se non si inverte rapidamente la rotta i mesi prossimi potranno essere ancora peggiori.
D. C’è differenza tra l’Italia del Nord e quella del Sud?
R. Dei 464 mila posti persi in Italia dall’inizio della crisi, 324 mila sono nel Sud dove il tasso di disoccupazione supera il 14 per cento di fronte al 6 per cento del Nord. La disoccupazione giovanile è il doppio, sfiora il 50 per cento; l’occupazione femminile raggiunge il 30 per cento rispetto al 55 per cento del Nord. Nel Mezzogiorno la crisi ha inciso più che nel resto del Paese; ha creato un preoccupante fenomeno di nuova emigrazione. Il numero impressionante di crisi aziendali assume maggiore drammaticità per la mancanza di alternative offerte a chi perde il posto. È indispensabile far ripartire il Meridione affinché l’Italia possa rispettare gli impegni, rassicurare i mercati, tornare competitiva. Il Sud è la prima frontiera per difendere l’Italia e l’euro. La crisi può costituire un’occasione affinché la politica concentri l’attenzione sull’emergenza nel Sud. Ma occorre garantire Stato di diritto, efficienza, semplificazione amministrativa e una migliore formazione.

Tags: Ottobre 2012 commissione europea Unione Europea Aeronautica

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