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ROBERTO ORLANDI: POTRANNO GLI AGROTECNICI SALVARE L’AGRICOLTURA?

Roberto Orlandi, presidente del Consiglio nazionale degli Agrotecnici e degli agrotecnici laureati

a cura di
ANNA MARIA BRANCA

 

Docente di Formazione professionale, giornalista pubblicista, agrotecnico libero professionista iscritto nell’albo degli agrotecnici e agrotecnici laureati, Roberto Orlandi ha una profonda conoscenza del settore: ha fatto parte della Commissione per il riordino fondiario dell’Ersa-Emilia Romagna; è stato consigliere di amministrazione della Cassa per la formazione della proprietà contadina di Roma, fa parte dell’Osservatorio per l’imprenditoria giovanile in agricoltura. Per sette anni consigliere del Cnel con la carica di Capogruppo delle Libere professioni, revisore dei conti dell’Enpaia, è anche presidente del Consiglio nazionale della propria categoria. Dal 2001 è vicepresidente del Cup-Comitato unitario delle professioni, presidente di Agroform-Emilia Romagna, consigliere di Agroform Piemonte, Puglia, Sicilia. Costituito nel 1986, l’Albo conta attualmente 14.263 iscritti, 61 Collegi territoriali e 16 Federazioni regionali; all’apice della struttura sta il Collegio nazionale. Roberto Orlandi così illustra i problemi e le prospettive della propria categoria.
Domanda. Com’è cambiata, in questi 27 anni, la vostra categoria?
Risposta. Dal 2001, in seguito alla riforma universitaria, il nostro albo si è aperto a classi di laurea diverse da quelle agrarie. L’effetto è stata la sua trasformazione da monodisciplinare in pluridisciplinare. Vi si iscrivono anche laureati in Scienze naturali, in Ingegneria ambientale, ovviamente i laureati in Scienze agrarie e forestali, in quella che era il vecchio corso di Scienze delle produzioni animali a cavallo tra Veterinaria e Agraria; ed anche gli architetti del paesaggio e i laureati in Economia aziendale agraria provenienti da Economia e commercio. L’albo è costituito da un nucleo principale di provenienza agraria, ma essendosi arricchito di professionalità diverse, possiamo dire che è interprofessionale in quanto contiene vari profili tecnici: dal professionista che si cura solo del verde in Architettura del paesaggio a quello più specializzato in Economia dei bilanci delle aziende agrarie, che le accompagna nel mercato. Ciò costituisce da un lato un problema perché vanno omologati diversi profili, ma dall’altro una ricchezza; inoltre dal 22 aprile scorso nell’Albo possono entrare le prime STP, società tra professionisti. Il fatto di avere soggetti interprofessionali in esso consente per esempio a noi, che abbiamo un’esperienza specifica di 20 anni in questo settore e profili diversificati, di creare società con all’interno figure diverse; questo è utile per le singole aziende che ormai chiedono un servizio completo, senza più rivolgersi a vari professionisti, e noi siamo in condizioni di farlo.
D. Nel 2012 il vostro albo professionale ha avuto il maggior numero di candidati agli esami di stato abilitanti alla professione, 943, il 15,37 per cento in più rispetto all’anno precedente. A cosa è dovuto l’aumento?
R. Nel 2012 tutte le professioni tecniche hanno visto ridurre il numero degli iscritti. La nostra è l’unica professione tecnica e l’unica del settore agrario ad aver avuto questo incremento. Il totale dei candidati nel 2012 è pari ad un migliaio di unità; rispetto alle altre professioni sembra un numero basso, ma questi sono i numeri del settore agrario. Credo che il crescente favore di cui godiamo derivi da due circostanze. La prima è rappresentata dall’apertura al mondo accademico. Mi spiego meglio. Per entrare nel nostro albo è obbligatorio un tirocinio di sei mesi, che cerchiamo di far fare prima del conseguimento del titolo accademico, per cui abbiamo avviato convenzioni con 135 corsi di laurea per far svolgere il tirocinio professionale direttamente nel corso di studio. Questo consente al laureato di affrontare subito le prove di esame guadagnando come minimo un anno di tempo rispetto al soggetto che si laurea ma che deve ancora eseguire il tirocinio. In tal modo abbiamo anche pressoché debellato il fenomeno dello sfruttamento dei tirocinanti, per il semplice fatto che i nostri studi non hanno più praticanti che lavorano gratuitamente, avendo assolto all’obbligo formativo già durante il corso di studi. Questo ci è costato qualche critica interna, ma nello stesso tempo ci ha avvantaggiato, perché ha indotto molti ad avvicinarsi all’albo, ed ora tutti lo stanno capendo. I giovani apprezzano molto questa modalità perché gli consente di anticipare di un anno l’immissione nel mondo del lavoro. Se vogliono, possono rivolgersi subito al settore libero-professionale, possibilità lavorativa non unica ma molto apprezzata. La certificazione del compiuto tirocinio viene rilasciata direttamente dall’Ateneo in cui si è iscritti. Noi abbiamo sostanzialmente rinunciato al nostro potere sui tirocini trasferendolo, dov’è possibile, alle facoltà convenzionate con noi.
D. E l’altra circostanza?
R. Abbiamo avviato una politica di sostegno per le persone che entrano nell’albo, fornendo loro corsi preparatori agli esami di abilitazione gratuiti e non obbligatori; tutti i nostri candidati possono frequentarli, vengono organizzati variamente nel territorio, consistono nell’attività di docenza e nella fornitura di dispense. Per consentire a tutti i candidati di frequentare i corsi - vi sono infatti neo laureati ma anche gente che lavora - svolgiamo anche corsi di carattere residenziale nei fine settimana, dal giovedì alla domenica, full immersion, con vitto e alloggio gratuiti. Molti sostengono che gli albi sono chiusi, che non desiderano iscrivere altri, che sostenere l’esame di Stato è come andare davanti a un plotone di esecuzione; i nostri candidati si rendono conto, invece, che noi siamo così disponibili nei loro confronti da farli perfino pernottare a nostre spese, pur di assicurargli una buona formazione per l’esame.
D. In che modo l’Ordine ha promosso la nascita di strutture collettive per avviare i neo iscritti al lavoro?
R. Il nostro albo è nato nel 1986 in un settore, quello dell’agricoltura, che era già in forte riduzione rispetto al prodotto interno, che peraltro ha continuato a calare; oggi il prodotto interno agricolo rappresenta il 2,5 per cento del totale, apparentemente poco. All’epoca nel settore agrario operavano altri albi: degli agronomi, dei periti agrari ed anche quello dei geometri, con molti professionisti che si occupano di catasto agrario, stime e perizie. In parte, di agricoltura e di ambiente si occupavano anche altre categorie come alcuni ingegneri e architetti, per cui in un settore economicamente in riduzione e già pieno di professioni sembrava un’impresa impossibile istituirne un altro e farlo prosperare. Abbiamo dovuto ideare qualcosa di nuovo rispetto alla tradizionale attività di un albo. Tipicamente infatti il Consiglio dell’Ordine vigila e controlla, ma il professionista deve autonomamente organizzare la propria attività professionale, cercare i clienti, fare tutto. Nel settore agro-ambientale non c’erano molte prospettive, per cui abbiamo spinto gli iscritti a creare strutture collettive per lavorare, che possono essere cooperative di tecnici le quali, unendo le forze dei singoli, hanno partecipato a gare e vinto appalti, ottenuto commesse poi ripartite tra i soci. Spesso le più grandi e più forti fanno da incubatore d’impresa, offrendo a giovani neo iscritti possibilità lavorative, attività anche brevi, di 20 giorni o di un paio di mesi, secondo le commesse. I giovani, che non hanno la strumentazione, non possono acquistarla per un lavoro di 20 giorni, ma l’ottengono in comodato d’uso dalle cooperative.
D. Quali sono le altre iniziative?
R. Abbiamo creato una fondazione per fornire consulenza aziendale alle imprese, finanziata dall’Unione Europea; abbiamo creato società chiamate Centri di assistenza agricola. Uno di essi serve 22 mila aziende che si rivolgono ad esso per svolgere pratiche. Insomma a quella individuale abbiamo unito un’attività collettiva interdisciplinare, perché senza queste modalità è difficile entrare nel mondo del lavoro; oggi un giovane fatica a svolgere un’attività se non è seguito o se non ha uno studio in famiglia. Per quel che si può fare, cerchiamo di supplire a questo e aiutiamo nel lavoro. Vorremmo fare di più, ma già così ciò che facciamo sembra molto, soprattutto perché gli altri non fanno niente; quando è buio anche una flebile luce fa giorno.
D. Ma c’è lavoro per tutti questi giovani dal momento che sono aumentate le iscrizioni?
R. Il lavoro c’è, ma va creato, il mercato va ampliato. Nel settore agrario siamo molto indietro, se un’azienda ha bisogno di un fitopatologo non sa dove trovarlo, nella rubrica telefonica non ve n’è nessuno mentre è facile trovare ortopedici, dentisti, avvocati con le relative specializzazioni. In campo agrario non c’è l’esposizione delle specialità, e la domanda di servizi è insufficiente perché non c’è una sufficiente offerta di tecnici adeguati. C’è molto «fai da te», mentre occorrono più tecnici specializzati e aggiornati. La domanda potenziale è alta, dato lo stato della finanza pubblica molti enti pubblici dovranno esternalizzare sempre più le funzioni tecniche e mantenere solo la parte finale del controllo. Si aprono immense praterie di lavoro.
D. Il lavoro della terra non è considerato di prestigio; come correggere questa mentalità?
R. I dati della Coldiretti mostrano un numero più alto, rispetto al passato, di giovani che si stanno avvicinando al mondo agricolo. È vero che l’agricoltura è vista o in forma bucolica o come un lavoro misero e faticoso. Il vero problema è che rende poco perché il nostro Paese non ha mai attuato una seria politica del settore. Nel mondo c’è una forte richiesta di prodotti food made in Italy; l’Unesco ha riconosciuto la dieta mediterranea come patrimonio dell’umanità, le classi medie o ricche di India, Cina e Brasile vogliono vestire e mangiare italiano. Il settore dovrebbe avere un’espansione esponenziale. Per ogni chilo di pasta fabbricata in Italia se ne vendono 10 chili imitati; se si stroncasse la contraffazione, potremmo quintuplicare, o più ancora, la produzione interna.
D. Quali altri campi potrebbero rientrare nell’agricoltura?
R. Oltre al settore alimentare, quello per le biomasse, la produzione energetica, il verde pubblico e urbano, gli interventi economici con i contributi europei. All’Unione Europea l’Italia versa più di quanto dovuto, l’accordo andrebbe rinegoziato, ma il paradosso è che non riusciamo a spendere quello che ci viene dato. L’anno scorso nei piani di sviluppo rurale non abbiamo speso un miliardo di euro che dovremmo restituire a vantaggio dei Paesi più bravi. I tecnici devono aiutare le imprese a fare i piani, a renderli più coerenti con le attuali esigenze del mercato.
D. Come si è risolta la polemica con il ministro Paola Severino, durante il passato governo Monti, sulla riforma dell’accesso alla professione?
R. Il titolo del suo decreto era «La semplificazione all’accesso» ma è diventato la complicazione all’accesso. L’abbiamo impugnato al Tar del Lazio, l’udienza è prevista per il 4 luglio prossimo; la nostra azione non è diretta ad annullare la riforma, ma a renderla coerente con le norme scritte e con i principi. In un momento di grave crisi economica le famiglie non possono investire nell’avviamento professionale, devono cercare alternative di lavoro immediato e remunerativo. Confidiamo che il Tar del Lazio riconosca che il decreto della Severino è «ultradelega», introduce cioè una serie di restrizioni e cambia sostanzialmente la legge.
D. Quali altre azioni avete in programma per il futuro?
R. Mettere in campo più sforzi ancora per aiutare i giovani che scelgono un’attività libero professionale. Abbiamo intensificato il controllo di tutti gli incarichi pubblici, non c’è settimana in cui non interveniamo nei confronti di comuni, province o regioni che indicono bandi troppo ritagliati su alcune figure locali, o emettono norme particolari per cui altri non possono accedervi, o che prescrivono titoli non proprio coerenti con l’oggetto del bando. Interveniamo in tutti i bandi che escludono i nostri professionisti, se la materia è di loro pertinenza; questo aiuta ad aprire il mercato perché aumentano le chances.
D. E nel campo della previdenza?
R. Come ogni altro albo, abbiamo una nostra autonoma cassa di previdenza nata dalla riforma Dini; il problema di tutte le nuove Casse che applicano il sistema contributivo rispetto a quello retributivo del passato consiste nel fatto che la pensione è determinata dai contributi versati, mentre prima era fissata in base a parametri diversi che prescindevano dai versamenti. Con il nuovo sistema le pensioni future saranno costituite dai contributi versati da ogni singolo professionista e da quanto questo denaro frutterà alla cassa nel tempo.
D. Non c’è nessuna rivalutazione?
R. La legge prevede che ogni anno i contributi che daranno origine alla pensione aumentino di un indice fissato dall’Istat in base al prodotto interno quinquennale; anni fa questa aliquota era discreta, superiore anche al 4 per cento, ma con l’arrivo della crisi ha cominciato a calare. Quando il tasso di incremento sarà calcolato su cinque anni di prodotto interno negativo, come gli attuali, gli iscritti non vedranno rivalutati i loro contributi. Il fenomeno è già evidente: nel 2011 l’aliquota è stata dell’1,6 per cento, bassissima, nel 2012 dell’1 per cento e calerà ancora.
D. Quanto saranno in sostanza le vostre pensioni?
R. Secondo studi attuariali, con rivalutazioni così basse le pensioni saranno pari al 30-40 per cento dell’ultimo reddito del professionista, insufficienti per vivere. Il ministero del Lavoro ci spinge ad elevare la contribuzione che attualmente è il 10 per cento del reddito netto, ma non si rende conto che, in un momento di grave crisi economica, ciò significa spingere molti professionisti a ricorrere al lavoro nero. Infatti noi ci siamo rifiutati di aumentare i contributi obbligatoriamente, ma abbiamo lasciato libertà agli iscritti di farlo, a loro scelta. In più abbiamo deciso di aumentare del 50 per cento la rivalutazione di quanto da loro versato. Ad esempio, il rendimento del 2011 è passato dall’1,6 al 2,4 per cento. È tantissimo, parlando di previdenza, e gli effetti saranno notevoli. E tutto questo senza chiedere un solo euro ai nostri iscritti, ma impiegando gli utili della buona gestione. 

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