CORSERA STORY - Stampa, quando la crisi si combatte allungando il brodo
L'opinione del Corrierista
Mi basta leggere le prime quattro righe dell’articolo di Romano Bartoloni dal titolo «L’Ordine ridotto a uno zombie» per sottoscrivere subito la sua iniziale affermazione: «L’ordine dei giornalisti, come peraltro gli altri ordini professionali, non è stato sciolto dalle leggi, ma sarebbe più dignitoso che lo fosse. Se pure era un inutile carrozzone sforna-disoccupati, adesso è un carrozzone inutile, malridotto e impotente; che scarica illusi e senza lavoro sul pronto soccorso dell’Inpgi, e che prolifica tesserati senza speranza. Né carne, né pesce, non serve più a nulla, se non ad affossare il giornalismo». Romano Bartoloni è iscritto a quest’ordine da mezzo secolo, io da qualche anno di più, e quando fui chiamato al Corriere della Sera, nel 1956, vi trovai suo padre, bravissimo vaticanista, che era il nostro informatore dal Vaticano. Romano è stato degno del padre, non solo nell’attività giornalistica ma anche nella tutela della dignità e della passione per il giornalismo: per anni ha diretto, e lo fa tuttora, il glorioso Sindacato Cronisti Romani, mantenendo eroicamente accesa la fiaccola della grande passione che ha animato e continua ad animare i giornalisti veri, non i carrieristi, non gli esibizionisti, i superpagati, i mezzi busti, i tromboni. Bartoloni ha tutti i motivi per sostenere una campagna che fino a qualche anno fa, quando la conducevano per propri interessi e ripicche personali i radicali, avversavamo tenacemente non per motivi corporativi, non per mantenere privilegi e vantaggi, non per mettere le mani nella gestione della «cassa» della categoria, come hanno fatto organismi pseudo sindacali, feudo di pseudo giornalisti e di pseudo amministratori. L’avversavamo tenacemente, ma sempre alla luce di quella fiaccola che ci spinse verso questa professione e che spinge ancora molti giovani, pochi però rispetto alla massa di quanti sono illusi e deviati dai falsi miti e modelli diffusi dalla televisione. Sono d’accordo quindi a priori con Bartoloni, e non mi dilungo sui motivi che l’hanno portato ad abbracciare questa dolorosa posizione. Sull’operato, sul «tasso di giornalismo» di troppi nostri presunti e autoproclamatisi colleghi, e sui loro complici politici, amministrativi e manageriali di strumenti di informazione, sarebbero da scrivere libri, non articoli. Ringrazio comunque Bartoloni per avermi inviato il suo articolo, dopo aver letto il mio ultimo sull’insidia, sulla pericolosità e sul danno prodotto dal proliferare di «scuolette» di giornalismo. Quando mi è giunto, stavo proprio accingendomi a segnalare un’altra macroscopica deficienza, inerzia, passività e quindi complicità dell’ordine dei giornalisti. Si continua a leggere che i giornali stanno chiudendo, che centinaia di giornalisti sono in via di licenziamento, che le entrate della pubblicità sono diminuite drasticamente, che la gente non solo non compra più i giornali, ma si rivolge in massa ad internet; insomma una serie di litanie iettatorie a danno del vero giornalismo e dei veri giornalisti. Possibile che questi ultimi, espertissimi nel compiere inchieste, scoprire la verità, avvertire il vento prima che si alzi, credano e si facciano ingannare da comunicati e false o comunque inesatte notizie diffuse da tutti altri centri di potere e interesse, da gente esperta nel diffondere false credenze a danno proprio dei veri, autentici, onesti giornalisti? La domanda che aggiungo allo scritto di Bartoloni è allora questa: che cosa sta a fare l’ordine dei giornalisti? Quando, come e dove interviene per confutare le favole metropolitane che servono ad arricchire non certo editori puri e onesti che non esistono quasi più, ma faccendieri, ciarlatani, avventurieri, poteri occulti, infiltratisi e impadronitisi dell’editoria e del giornalismo non certo per amore dell’informazione e della verità, non per fornire notizie e conoscenze ai lettori, non per diffondere la cultura e migliorare la vita della società, ma per inconfessati disegni di potere, di arricchimento, di sfruttamento? Abbiamo in questi anni sotto gli occhi casi clamorosi. In nome del miglioramento del servizio al pubblico vengono operati con grande clamore e pubblicità i «restyling» di organi di informazione nazionali: grandi cerimonie, invitati prestigiosi, intervenuti altolocali, la crema del potere, della pseudo cultura, della politica, delle istituzioni. Gli annunci dell’operazione creano grandi aspettative, speranze, buoni auspici, ricredenze: possibile che in tempi così neri per il settore, per i motivi tanto strombazzati - crisi, calo di vendite e di pubblicità ecc. -, c’è qualcuno che investe capitali per rilanciare la carta stampata, per aumentare e per migliorare i servizi al pubblico? Presto poi si scopre che l’osannata operazione punta a ben altro: non ad andare contro corrente, a compiere un atto di fiducia e di coraggio, a rischiare un po’ di capitali guadagnati in altri lucrosi campi di attività grazie al condizionamento operato sul mercato proprio attraverso il possesso di quello strumento di informazione, ma, mantenendo lo stesso prezzo al pubblico, a tagliare i costi dell’impresa riducendo proprio il numero dei giornalisti, il giornalismo, l’informazione, la diffusione della cultura e della conoscenza. Come? Con mezzi e con sistemi piuttosto meschini. Facciamo qualche esempio, senza riferimenti specifici: servendosi della «grafica», che si presta benissimo allo scopo, cioè ad «allungare il brodo», a ridurre il numero e l’estensione degli articoli pubblicati; ad ingrandire i caratteri e ad aumentare l’interlinea, ossia la distanza tra una riga e l’altra; a «sbandierare» le righe, ossia ad andare a capo ad ogni riga, prima di raggiungerne l’estremità; a lasciare spazi bianchi; ad ingrandire le fotografie in misura abnorme e non funzionale al testo. Mezzucci, furbizie che non sfuggono a un vero giornalista, e forse neppure ai lettori. Il passaggio ad internet elimina la spesa per la carta e trasferisce dagli editori ai lettori quella per i macchinari: via, infatti, le gigantesche rotative per stampare i giornali e accollo a milioni di lettori del prezzo di acquisto di computer, tablet, telefonini. In tutta questa pseudo rivoluzione, favorita dall’incessante salmodiare sulla crisi economica, l’ordine dei giornalisti dovrebbe intervenire anche più volte al giorno per chiarire, confutare, contestare, diffondere la verità, mobilitare l’opinione pubblica ed altro. Invece nulla. Dobbiamo accontentarci di Bartoloni.
Victor Ciuffa
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