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Corsera Story - Giornali, se muore la carta, morranno anche web e tv

L'opinione del Corrierista

Per i giornalisti italiani questo è un periodo veramente triste. Non tanto per quello che avviene nel loro ambiente, ma soprattutto per quello che si sente dire e che si legge in giro; per quelle credenze che proprio loro, gli stessi giornalisti, diffondono tramite giornali, internet ed emittenti pubbliche e private. Ovunque, infatti, si annuncia l’agonia della carta stampata, si citano dati catastrofici, crolli di vendite, moria di testate, introiti pubblicitari vanificati, licenziamenti, bilanci 2012 in profondo rosso, scioperi di giornalisti e poligrafici, proteste di associazioni e sindacati della stampa ecc. La pur utilissima newsletter sui temi dell’informazione e della comunicazione che Franco Abruzzo, giornalista dal 1959 e presidente per 18 anni dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia, pubblica quotidianamente nel proprio sito web, sembra un bollettino di guerra, ovviamente perduta, con elenchi di morti e feriti, ossia testate chiuse o in procinto di esserlo, lettere di licenziamento, colleghi disoccupati e molto altro ancora. Allo stesso scenario, se non peggiore, si assiste se si leggono le relazioni svolte nei convegni della Fieg, la federazione degli editori di giornali, forse interessata a dipingere ancor più di nero la situazione, e di rosso i bilanci degli editori, per giustificare la soppressione di intere redazioni, l’assottigliamento degli organici, i risparmi fino all’osso compiuti per tutti altri motivi, primo tra tutti la diffusa incultura padronale. A sentir dire, proprio da chi la stampa, che la carta stampata si avvia alla tomba, c’è da meravigliarsi; e ancor più quando si sente annunciare, dagli stessi editori, consistenti investimenti di capitale in nuove iniziative, testate e rubriche, ma nel web. Ma come? Dei tanti economisti, sociologi, psicologi, esperti di mass media o presunti tali, che hanno a disposizione e ai quali pagano profumatamente articoli di fondo su temi di politica, di economia e di costume, nessuno spiega agli editori che, per frenare l’emorragia dei lettori della carta stampata, basterebbe ridurre il prezzo del giornale e le tariffe della pubblicità, aumentare le pagine e, soprattutto, elevarne la qualità? Invece si assiste a ulteriori riduzioni dei costi con licenziamenti dei più anziani e più bravi, svuotamento dei contenuti, sviamento di risorse finanziarie sul web. Sarà pure vero che quest’ultimo cresce, che gli apparecchi telematici - computer fissi, portatili, tablet, telefonini - aumentano continuamente; ma si è sicuri che non si tratti di un’ennesima bolla della serie di quelle della «nuova economia» e della «finanza creativa» registratesi negli ultimi vent’anni? Bolle che hanno arricchito pochi furbi e depredato e danneggiato le masse. È ovvio che il web cresca; ognuno può scriverci o farci quello che vuole, non costa niente o quasi. Sembra proprio che il sito web, il blog, facebook, twitter, costituiscano la risorsa miracolosa a disposizione di giornalisti disoccupati e di aspiranti tali. Nessuno si accorge che questa meravigliosa attrazione pubblica e privata comincia a saturare il mercato, e addirittura a deludere. Continuerà certamente ad essere utile per risparmiare le spese postali, diramare facilmente circolari a limitate schiere di adepti di associazioni, categorie, cooperative. Ben diverse sono, però, l’utilità e soprattutto la funzione della carta stampata. Ma è tutta colpa della crisi economica italiana e internazionale se all’edicola calano le vendite di giornali e periodici? Non è piuttosto il risultato del comportamento ultradecennale tenuto proprio dagli editori con una serie di loro «intelligenti» trovate? Nei primi anni della tv, faceva aumentare la vendita dei quotidiani la pubblicazione, il giorno dopo, di intere pagine contenenti le domande di Mike Bongiorno e le risposte ad esempio della prosperosa Paola Bolognani nella seguitissima trasmissione «Lascia o raddoppia». Fu un’intuizione miracolosa di giornalisti, sui quali ancora non erano prevalsi i «ragionieri», disprezzati dai primi al punto di far perdere treni e aerei pur di inserire nel giornale un’altra notizia o di ampliare quelle esistenti. Lo stesso si fece con i resoconti dei grandi processi, pubblicando domanda della Corte e risposta dell’imputato e del testimone. Oggi non si fa più questo, si pubblicano però ampi resoconti di squallide trasmissioni. Poi ci si lamenta che i lettori calino. C’erano quotidiani, ad esempio Il Tempo di Roma, che contavano moltitudini di lettori tra gli impiegati pubblici. Da alcuni anni, alle uscite delle metropolitane, a questi impiegati frettolosi, editori pseudo illuminati, generosi e intraprendenti regalano giornali gratuiti. Come pretendere poi che quei lettori passino all’edicola per comprare quanto è già contenuto nell’ingiustificato e sospetto dono? Negli ambienti giornalistico-editoriali si lamenta la crescente disoccupazione dei giornalisti della carta stampata; nello stesso tempo si pubblicizza l’apertura di nuove scuolette per aspiranti giornalisti che resteranno inevitabilmente disoccupati. Ma nessun politico propone una legge per declassare diplomi o lauree così ottenute in titoli di studio di valore altamente ma solamente culturale e onorifico, non certo professionale. Quanto alle rassegne stampa trasmesse dalle tv e via internet, per tanto tempi gli editori non hanno protestato; solo ultimamente hanno raggiunto un accordo con Camera e Senato per limitare ai soli parlamentari e a categorie privilegiate l’accesso a quelle redatte dal Parlamento. Fino alla fase più critica della crisi economica hanno ritenuto che le rassegne trasmesse dalla tv fossero uno strumento gratuito di pubblicità e di promozione per il giornale. Ma ormai era troppo tardi, il problema è diventato di difficile soluzione. In alcuni campi, come in quello dell’informazione, la concorrenza si deve combattere subito, strenuamente, e con mezzi adeguati. Invece nei giornali spesso i rapporti e i resoconti sulla mala gestione amministrativa e finanziaria della Rai-tv sono affidati a giornalisti che aspirano ad essere assunti da quest’ultima o ad ottenere sostanziose e ben remunerate collaborazioni. È anche questo uno strumento di subdola alterazione della verità, di strumentalizzazione delle informazioni, se non di velata corruzione. Ma anche in questo caso c’è una responsabilità: se gli stessi editori fanno capire che la carta stampata ha una vita breve e comunque stentata, è ovvio che i suoi giornalisti guardino all’altra sponda del Tevere.

Victor Ciuffa

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