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CORSERA STORY. IL CORINFORM E IL GIORNO, LA FANTASIA E IL PETROLIO

L'opinione del Corrierista

La nascita del Giorno, il quotidiano milanese fondato nel 1956, fu frutto di un’operazione editoriale, giornalistica o semplicemente politica, anzi lobbistica? A 54 anni da quell’avvenimento la domanda potrebbe sembrare priva di valore. All’epoca fece scalpore, ma chi si ricorda oggi di quella testata? Eppure il mondo della carta stampata e non solo questo, dovrebbe farlo, perché Il Giorno costituisce un tassello esemplare del giornalismo del dopoguerra. L’occasione per parlarne viene fornita dal libro «Orfani e bastardi» di Vittorio Emiliani, che non partecipò alla sua nascita ma vi lavorò negli anni successivi, quando già erano venute o stavano venendo meno le ragioni della sua esistenza, della cospicua spesa che lo Stato e quindi la società italiana fu costretta a subire a beneficio del Psi, che in cambio avrebbe dovuto fornire stabilità alla maggioranza parlamentare e ai traballanti Governi di fine anni 50.

Il 1956 fu l’anno dell’invasione di Budapest da parte dei carri armati sovietici, della spaccatura del Psi in due tronconi, gli autonomisti guidati da Pietro Nenni che condannarono l’intervento militare sovietico, e i carristi guidati da Lelio Basso, che lo approvarono. Fu l’anno della fine del patto di unità di azione fra Pci e Psi, il cosiddetto Blocco del Popolo. Ma anche l’anno dei grandi fermenti nel quadripartito centrista, ossia nella maggioranza parlamentare formata da Dc-Pri-Psdi-Pli; l’anno in cui lo scandalo Montesi acuì la spaccatura all’interno della Dc, orfana ormai di Alcide De Gasperi battuto politicamente nel 1953 e morto nel 1954; e dell’avanzata della sinistra dc facente capo ad Amintore Fanfani.

Ma era anche e soprattutto l’era del fulgore, in campo politico-economico, di Enrico Mattei che, creato il colosso dell’Eni, aveva bisogno di consenso e appoggio presso l’opinione pubblica, anche internazionale. Per questo fu fondato Il Giorno e fu scelto per dirigerlo un bravo inviato del Corriere della Sera, Gaetano Baldacci. Il suo nome impressionò la redazione di provenienza, che conosceva sia il suo attivismo sia i grandi mezzi finanziari che l’Eni gli metteva a disposizione. Baldacci arruolò addirittura giornalisti del Corriere della Sera e del suo quotidiano del pomeriggio Corriere d’Informazione.

Ma presto al Corriere il timore di essere sorpassati dalla grande novità del Giorno svanì, perché il modello imitato da Baldacci fu piuttosto il Corriere d’Informazione: il Giorno cercava di fare concorrenza non al Corriere ma al suo fratello minore che, diretto da Gaetano Afeltra, era più spigliato, moderno, aperto alla società emergente del «miracolo economico», scanzonato, non di rado critico e irriverente verso il potere e l’establishment politico ed economico post-bellico.
Un piccolo esempio dimostra quel tentativo di emulazione: quando il Corriere d’Informazione decise di puntare prevalentemente sulle notizie e i servizi che io gli inviavo da Roma sul mondo di Via Margutta, Via del Babuino, Via Veneto e dintorni, creando una formula giornalistica ma soprattutto un fenomeno di costume sul quale Federico Fellini avrebbe realizzato il film «La dolce vita», visto il successo presso i lettori - in pochi mesi portai le vendite del Corriere d’Informazione a Roma da 40-50 a 2.500 copie giornaliere -, Baldacci inviò a tallonarmi nei miei itinerari notturni un suo redattore, Umberto Segato, e un suo fotografo, Giacomo Alexis.
Perché questi ricordi? Perché Emiliani non solo ignora ma nega questo raccontando vicende del Giorno avvenute una dozzina di anni dopo, negli anni 70 inoltrati, quando egli vi lavorò.

Riportate dal giornalista Gabriele Moroni che l’ha intervistato, le sue affermazioni pongono in una luce completamente diversa i fatti, i personaggi, la realtà e quindi una formula vincente del giornalismo del dopoguerra. Uscito dal giornale nel 1960 il primo direttore Baldacci e scomparso nel 1962 il finanziatore Enrico Mattei, dopo lo sprint iniziale che non sottrasse copie al Corriere della Sera e tantomeno al Corriere d’Informazione, Il Giorno si avviò sulla strada della decadenza, nonostante la bravura del nuovo direttore Italo Pietra e del redattore capo Angelo Rozzoni.
Rimasto quasi privo di giornalisti di fede socialista, che via via dal Giorno e dall’Avanti venivano trasferiti in più ambiti e retribuiti posti - Emiliani ottenne la direzione del Messaggero quando questo era controllato dall’Eni -, nel 1972 il Giorno fu affidato dal Psi a Gaetano Afeltra che, nel 1961, era stato costretto a lasciare il Corriere dal suo nuovo direttore Alfio Russo, un laudatore dei tempi antichi contrario ad ogni novità, e i cui sforzi furono diretti per 7 anni quasi unicamente ad affossare il Corriere d’Informazione.

Emiliani ha dichiarato che nel 1972 vinse le elezioni il centrodestra in quale, per «normalizzare» Il Giorno, avrebbe licenziato Pietra e assunto Afeltra, «un uomo che era fuori dal giornalismo da dieci anni», «una scelta devastante» ecc. La verità è che l’effervescenza del Corriere d’Informazione era frutto della ricchissima fantasia giornalistica di Afeltra e del suo esiguo staff di collaboratori, l’effervescenza del Giorno era invece soltanto quella del petrolio che sgorgava copioso dai pozzi di Enrico Mattei, ossia dello Stato italiano e di tutti noi.

La prima fu spenta dal conservatorismo retrò di Alfio Russo, paesano di Mario Scelba, dal lord extraparlamentare di sinistra Piero Ottone e dalla P2; la seconda dalla successione, a una generazione di puri antifascisti come Afeltra, Pietra, Leo Solari, Leo Valiani, Giuliano Vassalli, Sandro Pertini ecc., di una generazione di neo-socialisti amanti di potere, privilegi e agiatezze. Non ho mai visto Afeltra spellarsi le mani per applaudire in convegni e congressi gli interventi di leader politici; mi è capitato però di vederlo fare da direttori di giornali in quota Psi.

Victor Ciuffa

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