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CORSERA STORY LA TECNICA GIORNALISTICA DEL CERCHIO E DELLA BOTTE

L'opinione del Corrierista

Non c’è alcun dubbio che fondisti, articolisti e commentatori del Corriere della Sera in questi ultimi anni abbiano sbagliato le valutazioni politiche quotidianamente espresse. Valutazioni che di certo non potevano e non possono essere considerate solo opinioni personali. Se fossero tali, non si vede perché il Corriere non avrebbe dovuto e non dovrebbe ospitare anche articoli di chi la pensa in maniera diversa. In realtà un giornale, e non solo il Corriere della Sera, per portare avanti gli interessi o anche semplicemente le idee dei propri editori si serve solitamente, oltreché del proprio direttore e della propria redazione, di una serie di collaboratori esterni, i cosiddetti opinionisti, scelti prevalentemente tra professori di università.

L’ovvio interrogativo che questo sistema pone è il seguente: su chi può ricadere tale scelta? Certamente su esperti o ritenuti tali che la pensino nello stesso modo degli editori, ovvero nutrano, manifestino e propagandino idee funzionali agli interessi della proprietà. E, comunque, su esperti che si prestino a sostenerne le tesi; non è difficile trovarli, perché non è difficile cambiare idea quando si ottiene una cattedra in una tribuna ben più ampia, autorevole, seguita e retribuita di quelle ricoperte nel ristretto ambito universitario: costituita dall’articolo di fondo sul primo giornale d’Italia e tra i primi del mondo occidentale.

Premesso questo, va precisato però che gli errori di valutazione e di previsione non erano contenuti, almeno per il recente passato, solo nei singoli articoli dei singoli opinionisti, per cui erano rilevabili e addebitabili esclusivamente a loro carico. Essi dipendevano da un altro errore, più grande e più esteso, consistente nella decisione della proprietà di far assumere al giornale una decisa linea politica, qualunque essa fosse; questo esclude che possa essere riferita ai singoli autori, magari lasciati liberi di esprimere i propri giudizi personali.

Inoltre la proprietà ha costretto, indotto o consentito al direttore non solo di assegnare al giornale una decisa linea politica, ma di avallarla ufficialmente. Questo è avvenuto con l’editoriale da lui firmato e pubblicato alla vigilia delle elezioni del 2006, nel quale si concedeva l’appoggio al centrosinistra e si invitavano i lettori e gli italiani in generale a votarlo. Una presa di posizione che era meglio evitare per l’immagine del Corriere della Sera. Innanzitutto perché ha dimostrato che con tutta la propria autorevolezza, l’alta diffusione, la gloriosa storia, gli altisonanti nomi degli articolisti, le loro quotidiane critiche al centrodestra e addirittura i loro attacchi personali al vetriolo contro il leader di questo schieramento, il giornale non è riuscito a far vincere le elezioni al centrosinistra. Anzi, se ha spostato un po’ di voti, ha contribuito a creare o ad aumentare quella situazione di massima confusione e di ingovernabilità che sosteneva di voler combattere.

Sarebbe per me ingeneroso verso il mio antico giornale - mio in quanto per lunghi anni suo redattore e attualmente suo affezionato lettore - ricordare la delusione espressa dagli editori nel non ricevere tempestivamente, dopo le elezioni del 2006, le contropartite cripticamente ma energicamente richieste, tramite i suoi più audaci opinionisti, al nuovo Governo di centrosinistra; delusione manifestatasi via via con un crescendo di consigli, avvertimenti, rimproveri, critiche, sconfessioni, riassunzione di distanze ecc.

Sono trascorsi due anni nel corso dei quali il centrosinistra non ha accolto nessuna delle grandi contropartite chieste dal ristretto clan dei proprietari che sono banche, assicurazioni, gruppi finanziari e grandi industrie del Nord; e che consistevano nella riforma delle pensioni e nello sviluppo della previdenza integrativa per favorire appunto le assicurazioni private, nella vendita a loro di altre tranches di azioni Enel, nelle concessioni per la costruzione di rigassificatori, nell’attribuzione dei servizi pubblici gestiti dalle aziende municipalizzate, nella vendita dell’Alitalia ecc.

Alcuni provvedimenti adottati da quel Governo un qualche vantaggio, anche consistente, l’hanno arrecato ad alcuni azionisti del Corriere della Sera, in particolare alle banche: basta ricordare il provvedimento di «liberalizzazione» adottato dal ministro dello Sviluppo Economico Pierluigi Bersani che ha imposto e ampliato il ricorso alle banche, e quindi il pagamento delle loro commissioni, ai liberi professionisti; misura che ha aggiunto ulteriori ingiustificati e irrazionali adempimenti a carico di una massa di professionisti alienandone le simpatie, ove c’erano, verso il centrosinistra e verso lo stesso Corriere della Sera.

Tutto questo, è vero, riguarda il passato e, come su tutto, anche sui più recenti errori della proprietà del Corriere della Sera è ormai inutile parlare. Non così però per la nuova fase politica, economica, sociale e culturale che si è aperta. L’esperienza dovrebbe servire a qualcosa. È il caso del grande giornale? La sua proprietà ha appreso la lezione? In qualche modo sì, perché vi è stata costretta. E in questa direzione vanno letti gli avvenimenti politici dell’ultimo anno: la scissione dei Ds, la fusione tra ex comunisti ed ex dc, la nascita del Pd, la vittoria del centrodestra, i tentativi di collaborazione tra Pdl e Pd, la prospettiva di un grande centro ed altro.

Come si comporta il Corriere della Sera dinanzi a questa nuova realtà? Ha riacquistato la sua antica, sia pure presunta, indipendenza e dignità, certamente funzionale a una proprietà economica e finanziaria, ma illuminata e sensibile agli interessi del Paese, che poi sono anche i suoi interessi? Da una parte sembra di sì, dall’altra di no. Diciamo il perché. Martedì 27 maggio scorso nell’articolo di fondo di Angelo Panebianco dal titolo «Se lo Stato fallisce», sul controllo territoriale da parte dello Stato, riapparivano concetti per anni introvabili in questo giornale, apprezzati dai comuni cittadini interessati solo a vivere tranquilli, lavorare, progredire e migliorare la società.

Ma accanto, secondo la tecnica di un colpo al cerchio e uno alla botte, c’era un corsivo dal titolo «Xenofobia. Pietà l’è morta» in cui strumentalmente si usavano, falsandoli, avvenimenti di questi giorni per invitare, o istigare, la minoranza politica a «riprendere voce», cioè a strumentalizzare tali fatti non per il bene della società ma per la rivincita di una classe di professionisti inveterati della politica.

di Victor Ciuffa

Tags: banca banche alitalia Corsera story Victor Ciuffa Corriere della Sera Corrierista politica giornalisti editori Enel Giugno 2008

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