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Corsera Story. Da Starace a Stajano, da Stajano ad oggi

L’opinione del Corrierista

Se è stata opportuna senz’altro l’intitolazione di un Largo nell’estremità alta di Via Veneto a Federico Fellini, in quanto autore del film «La dolce vita» che ha fatto conoscere ancor più Roma nel mondo, lo sono state di meno quelle ad Alberto Sordi della Galleria Colonna e ad Ugo La Malfa del Piazzale Romolo e Remo, perché cancellano il ricordo delle origini di Roma e di una delle maggiori famiglie aristocratiche romane. Vi sono tantissime piazze e strade di nuova costruzione o di disadorna periferia da nobilitare con illustri nomi.
Oltre a Fellini, ad Ennio Flaiano al quale pure è stato dedicato un Piazzale, e ad altri personaggi dello spettacolo e della cultura che hanno avuto riconoscimenti del genere, andrebbero in qualche modo ricordati - tra l’altro è invalsa l’abitudine di dare nomi illustri a giardini di limitate dimensioni -, anche cittadini non sempre di grande fama; la toponomastica della vecchia Roma ricorda personaggi umili ma caratteristici, corporazioni di artigiani, oggetti di uso quotidiano: Via delle Colonnette, Via delle Paste ecc.
Non fu solo l’opera di Fellini a creare il mito di Via Veneto: alla fine dello scorso luglio è scomparso Gioacchino Stajano detto Giò, altro personaggio di rilievo sia per i natali - era nipote di Achille Starace -, sia perché fu un animatore di quel milieu romano-internazionale all’epoca definito «cafè society», sia perché fu uno dei primi e rarissimi transessuali del secolo scorso. Se ne è andato silenziosamente a 79 anni nella natia Sannicola, vicino Gallipoli, terra dei suoi avi. Aveva avuto una vita particolare: sin da ragazzo aveva scoperto di non somigliare affatto a suo nonno Achille, classico maschio italiano oltreché personaggio di primissimo piano del regime fascista.
Nato nel 1889 anch’egli a Sannicola in provincia di Lecce, dopo aver partecipato come sottotenente dei bersaglieri alla prima guerra mondiale guadagnandosi una medaglia d’argento, quattro di bronzo, due croci al valor militare, una croce francese con stella, due promozioni per merito di guerra e il cavalierato dell’Ordine militare di Savoia, nel 1923 Achille Starace fu incaricato da Benito Mussolini di istituire la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale e dal 10 dicembre 1931 al 31 ottobre 1939 fu segretario generale del Partito Nazionale Fascista.
Inventò il saluto romano e il sabato fascista, introdusse il voi al posto del lei, assunse e fece assumere agli italiani atteggiamenti anche ridicoli, partecipò alla campagna d’Etiopia e alla seconda guerra mondiale e fu ferito in Albania; nonostante tutto questo fu «licenziato in tronco» da Mussolini, del quale però seguì la sorte: caduto in disgrazia nel 1939, allontanato dal partito e finito quasi in miseria, il 29 aprile 1945 uscì in strada a Milano per compiere i suoi soliti esercizi fisici; riconosciuto e catturato dai partigiani, fu fucilato e il suo corpo appeso a un gancio del distributore di benzina di Piazzale Loreto, accanto a quelli del Duce, dell’amante di questi Claretta Petacci e di altri gerarchi.
Che c’entra allora Giò Stajano con Starace? A tre anni fu condotto dalla madre Fanny a fare visita al nonno a Palazzo Vidoni a Roma, sede del Partito Nazionale Fascista e allora chiamato Palazzo Littorio. Nell’attesa, Giò pescò dei pesciolini in una vasca di pietra incassata nel pavimento, atto inconcepibile in un Figlio della Lupa e nipote per di più dell’icona del fascista perfetto. Starace gli allentò uno scapaccione e lo rispedì con la mamma a Sannicola; ma salito sul treno alla Stazione Termini, gli mandò in regalo un cockerino.
Alto, educato, avvenente, nel 1954 Giò fu accolto a Roma nella strampalata corte della pittrice Novella Parigini e partecipò alle imprese dei seguaci romani di Juliette Greco; erano i tempi in cui si imitavano le mode degli esistenzialisti francesi, in cui Françoise Sagan vendeva un milione di copie del suo libro «Bonjour tristesse», e in cui i ricchi andavano a Parigi più per le ballerine delle Folies Bergère che per il Louvre. A Roma gli artisti bivaccavano nelle sordide trattoriole di Via Margutta e Via del Babuino. Giò non nascondeva le proprie tendenze nient’affatto staraciane: una domenica, tornando dal mare su un’auto scoperta, avvoltosi un foulard intorno al capo, sollevatosi il collo della camicia rossa e inforcati gli occhiali da sole, cominciò a sorridere, salutare e inviare baci agli automobilisti che seguivano, facendogli credere di essere una bellissima donna. Due motociclisti superarono la coda di auto formatasi e gli si accostarono. Giò si tolse il foulard: i due motociclisti rischiarono di finire fuori strada.
Notissimo per il suo stravagante abbigliamento a base di camicie nere e di bracciali, nel film «La dolce vita» Fellini lo fece partecipare alla scena dell’orgia. Di carattere dolce, modi signorili, educazione superiore, gusti raffinati, ebbe però il coraggio di affrontare in quei tempi il giudizio spietato, ingiusto dei «maschi» con un libro pressoché autobiografico, nel quale descrisse abitudini inconfessabili del bel mondo romano, episodi sconcertanti e particolari scabrosi di cui erano protagonisti personaggi in vista della haute romana. Stajano aveva cambiato i nomi, ma gli pseudonimi erano trasparenti. Intitolato «Roma capovolta», il libro sparse il terrore tra chi temeva di esservi riconosciuto; per cui Giò era ricercatissimo, riceveva inviti e regali.
La presentazione avvenne una sera di settembre del 1959 nel Cafè de Paris di Via Veneto, giunse molta gente, madrina fu Novella Parigini, in abito nero con lustrini e tacchi a spillo. Tra i presenti Linda Christian, Caprice Chantal, la principessa Resy di Villahermosa. I lampi dei fotografi richiamarono una folla di curiosi. Cominciata nel caffè, la presentazione proseguì in un ristorante. Al termine Giò Stajano, che si era cosparso di chiazze brune la lucente chioma biondo-oro, si ritrovò con una sola copia del libro tra le mani: erano andate a ruba.
Non trascorsero molte ore che «Roma capovolta» fu sequestrato per ordine della magistratura. Stajano chiese allora che venissero sequestrati anche «Cioccolata a colazione» di Pamela Moore, «Lolita» di Vladimir Nabokov, «Ragazzi di vita» di Pier Paolo Pasolini, «L’anonimo lombardo» di Alberto Arbasino, che erano in libera vendita. Poi per un po’ scomparve dalla circolazione dicendosi impegnato a scrivere un secondo analogo libro, «Meglio l’uomo oggi». Quando tornò, però, il nipote dell’intrepido gerarca fascista era diventato la nipote.
Victor Ciuffa

Tags: libri Roma mussolini Corsera story Victor Ciuffa Corrierista Dolce Vita Settembre 2011

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