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LE SILENZIOSE SCALATE DI GIORNALISTI POLITICIZZATI AI GIORNALI INDIPENDENTI

L’opinione del Corrierista

La confusione anzi la commistione tra giornalismo e politica in questi ultimi mesi è diventata tale da snaturare completamente la figura e quindi la professione del giornalismo. Si stampano, si vendono, si comprano e si leggono alcuni giornali “cosiddetti indipendenti” come fossero organi di partiti; li acquistano iscritti, simpatizzanti, galoppini, portaborse di leader politici. In tali giornali si svolgono e si pubblicano inchieste non in funzione della verità, della cronaca, del giornalismo, ma di lotta politica, di attacco, di denigrazione degli avversari. Questa funzione comporta obbligatoriamente la distorsione della verità, la strumentalizzazione delle notizie e dei commenti, la forzatura, mistificazione e falsificazione dei fatti, il dileggio dell’avversario. In conclusione, la negazione del giornalismo.

Un comportamento che suscita, ovviamente, la reazione e il medesimo comportamento della parte avversaria, che non può non ricorrere agli stessi sistemi. L’antigiornalismo pertanto si diffonde e il vero giornalismo si riduce, confinato in spazi sempre più insignificanti dal momento che a ciò si aggiungono le deformazioni dei fatti e le strumentali interpretazioni fornite dai giornali non politicizzati ma di proprietà di grandi gruppi economici e finanziari, e quindi funzionali ai loro interessi. Il lettore alla ricerca di cronaca vera e di spiegazioni e commenti obiettivi dovrebbe semplicemente girare al largo dalle edicole. Figuriamoci poi da trasmissioni, rubriche, dibattiti e talk show televisivi, ridotti a spettacoli di infimo livello culturale e di negata informazione.

Non c’è da meravigliarsi molto: anche altre volte, nella storia, si è assistito a una strumentalizzazione esasperata della stampa “cosiddetta indipendente”. Inoltre gli spazi di vero e obiettivo giornalismo si sono ridotti anche per un altro motivo: i costi di produzione dei giornali sono alti, il prezzo di vendita è insufficiente a coprirli, in Italia si legge poco e gli editori devono far quadrare i conti. E ormai li fanno quadrare quasi sempre gestendo altre attività, che sono lucrative anche grazie al possesso di giornali e all’influenza da questi esercitata sui politici, sulle istituzioni e sull’opinione pubblica in generale.

Considerato il fatto che, ove almeno teoricamente esiste la libertà di stampa, è giusto e meritorio che i partiti e le organizzazioni politiche in generale possiedano strumenti di informazione attraverso i quali far conoscere le loro idee, i loro programmi e le loro realizzazioni, un argomento che causa forti perplessità non solo nella ristretta cerchia degli addetti ai lavori cioè dei giornalisti, è costituito dai giornali “cosiddetti indipendenti” che tali invece non sono per vari motivi. Di uno ho già parlato a proposito degli editori che gestiscono altre attività produttive dirette a conseguire profitti, ad esempio banche, assicurazioni, industrie ecc.

Un altro motivo, meno conosciuto dai lettori ma che, anche a dispetto della linea politica dettata dall’editore, distorce il contenuto dell’informazione, consiste nella progressiva, subdola, silenziosa infiltrazione di giornalisti politicizzati i quali, una volta assunti, collegandosi tra loro fanno carriera all’interno e compiono una metodica e programmata scalata, pilotata da centrali politiche esterne, ai ruoli decisionali, fino ad influire pesantemente e spesso addirittura a determinare di fatto le modalità di pubblicazione o di occultamento di notizie e di commenti, a dare maggiore o minore risalto a determinati avvenimenti, a spiegarli e a interpretarli in un senso o in un altro.

Non sono esenti da queste silenziose scalate i grandi giornali, anche quelli “cosiddetti indipendenti”, Corriere della Sera in testa. Non parlo di quello di oggi, mi limito al Corriere del passato, quando era ancora di proprietà degli industriali lombardi fratelli Crespi, editori illuminati, tiepidamente simpatizzanti per il Partito Liberale. Già negli anni 50 cominciò la scalata politica ai posti nella sua redazione. Tra i primi scalatori fu il Psdi il cui ministro del Lavoro dell’epoca, Ezio Vigorelli, fece assumere il proprio capo ufficio stampa Ugo Indrio, proveniente dalla Gioventù Littoria e dai Littoriali fascisti.

Negli anni 60, dopo che il Pli uscì dalla maggioranza di Governo e dopo che dal quadripartito centrista si passò al centrosinistra, Indrio fece destituire il capo della redazione romana Manlio Lupinacci, un liberale all’antica, e si fece nominare al suo posto; allargò la pattuglia socialdemocratica facendo assumere come resocontista della Camera Eugenio Melani e come notista politico del Corriere d’Informazione Antonio Spinosa, entrambi del Psdi; e fece assumere e nominare inviato speciale all’estero un corteggiatore di sua figlia il quale però, una volta entrato, lo deluse perché non la sposò, come il padre sperava.

Nel decennio successivo si registrò la scalata di giornalisti “in quota Psi”, come avveniva alla Rai, seguita da quella, nella fase del “compromesso storico”, dei rampolli del Pci, figli e nipoti dei big comunisti dell’immediato dopoguerra. Ma salvo le due clamorose sbandate politiche compiute dai direttori Piero Ottone e Paolo Mieli, rispettivamente nel 1973 e nel 2006, che hanno fatto perdere un mare di consensi, di lettori, di grandi firme e di credito, il Corriere ha retto alle scalate di giornalisti politicizzati i quali, tranne casi isolati di irriducibile faziosità, di scarsa professionalità e di innata predisposizione al conformismo, una volta assunti hanno egregiamente assimilato lo spirito e la cultura del grande giornale milanese.

Tranne appunto il Corriere della Sera e qualche altro, oggi i giornali “cosiddetti indipendenti” sono coinvolti in furibonde polemiche e lotte politiche, tanto che è difficile trovarvi l’indipendenza perfino nei “tamburini”, ossia nella programmazione cinematografica cittadina. Sembra un paradosso ma non sempre lo è.

Ricordo che Giovanni Amati, re dei cinema romani, quando trovava una critica negativa dei film in prima visione nei suoi cinematografi sul glorioso Momento Sera, telefonava al suo editore Realino Carboni e, riferendosi alle manchette pubblicitarie dei propri film, gli chiedeva: “A Reali’, ma che te fanno schifo i sòrdi mia?”. E a suo fratello, distributore dei film che talvolta deludevano il pubblico, tornando alla loro comune origine di macellai Giovanni sbraitava: “A Edmo’, t’avevo chiesto er filetto e m’hai mannato er gricile”.

Victor Ciuffa

Tags: cinema Corsera story Corriere della Sera Corrierista politica giornalisti editori Giulia Crespi

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