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CORSERA STORY. TELEVISIONE FA RIMA CON ESTINZIONE. STAMPA FA RIMA CON CAMPA

L’opinione del Corrierista

Un singolare fenomeno sta avvenendo da qualche tempo: contemporaneamente a un incontestabile declino della popolarità del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, si sta registrando anche un calo di popolarità della televisione. I fatti non sono connessi, anche se Berlusconi è stato e tuttora è indubbiamente il numero uno, il signore delle televisioni in Italia. Sono fenomeni indipendenti: probabilmente l’astro di Berlusconi era destinato a splendere nel cielo italiano non più di una ventina di anni, del resto come quelli di Benito Mussolini e di Bettino Craxi; mentre la supremazia della televisione fra i mezzi d’informazione, se è finita e comunque sta per finire, è durata due volte e mezzo, mezzo secolo.
Ma ora tutto mostra che è al tramonto, e non tanto perché è un sistema di comunicazione superato dal progresso scientifico e tecnologico, ma soprattutto perché si è superata da se stessa. Ossia dal progressivo abbassarsi, fino a scomparire del tutto, della qualità. Anzi ancora peggio: dall’apparizione e dall’irresistibile invadenza e baldanza del requisito opposto, la «disqualità». Non c’è più trasmissione, infatti, che non cerchi di superare e travolgere il primato della negatività raggiunto da quelle esistenti. Le eccezioni sono pochissime, e sono infatti eccezioni.
Debbo dire che, se condanno questo fenomeno deteriore che la porta alla disgregazione, in realtà esso mi procura moltissima gioia. Perché io fui testimone delle preoccupazioni e delle angosce di quelle generazioni di autentici giornalisti più avanti di me negli anni, che videro nell’avvento della televisione in Italia un’imminente, pesante minaccia alla sopravvivenza della carta stampata, soprattutto dei quotidiani. Ricordo l’atmosfera di timore, quasi di terrore, che aleggiava nelle redazioni sia tra chi aveva scelto quel mestiere per pura passione, sia tra chi vi faceva sicuro affidamento per mantenere la famiglia.
Chi non ha vissuto quei momenti e avvertito quelle sensazioni diffuse può forse capirlo solo vedendo i filmati dell’epoca sull’affollamento dei bar e dei cinematografi, dotati di televisore, per assistere alle trasmissioni di «Lascia o raddoppia» con Mike Bongiorno e con gli improvvisati personaggi che esse creavano: uno per tutti la bellissima Paola Bolognani. La preoccupazione era diffusa perfino in quella «ridotta» giornalistica che è sempre stato il Corriere della Sera, della cui redazione romana io, giovanissimo, facevo parte. «Ridotta» psicologicamente messa a dura prova, due anni dopo, anche dal pretenzioso esordio sulla ribalta giornalistica quotidiana del rampante, minaccioso «Il Giorno», per di più superdotato di munizioni ossia di mezzi finanziari, in quanto espressione dell’Eni e dell’industria di Stato.
Ma dopo gli anni 60 densi di vere trasmissioni giornalistiche e di veri spettacoli ad opera di veri professionisti dell’una e dell’altra categoria, la televisione - non la radio - ha rapidamente imboccato e proseguito una parabola discendente nonostante le incommensurabili somme spese dagli italiani per il suo prolungato, improduttivo, plateale parassitismo, per i suoi scandali, le sperequazioni, i clientelismi e favoritismi, il foraggiamento continuo e vergognoso di presunti miti da essa stessa creati sia nel campo dello pseudo giornalismo sia in quello dello pseudo spettacolo.
Una serie di trasmissioni ripetitive, stantie, nepotistiche, autoreferenziali, hanno certamente vanificato l’acculturamento dei telespettatori compiuto da giornalisti e autori tv nei suoi primi lustri di vita; hanno anzi abbassato sempre di più, invece di elevare, il livello culturale della massa, abituandola e inducendola ovviamente a chiedere il prodotto sempre peggiore. Così di fronte ai grandi giornalisti degli anni 50 e 60, di fronte ai grandi attori dello stesso periodo, per non andare ancora indietro nel tempo, ci troviamo sul teleschermo incolti, spocchiosi, volgari ragazzotti, e ignoranti, inespressive, artefatte «divette», indegne perfino di una comparsata in un filmetto da «Poveri ma belli». Altro che Luigi Barzini senior, altro che Eleonora Duse. Semmai collezioniste di alcove altolocate.
Non è però che certi difetti del mondo della comunicazione siano esclusivi della televisione e dei suoi autocelebrati protagonisti. Perché i due mondi, del giornalismo e della tv, sono confinanti, anzi interconnessi. Quindi gli operatori tv hanno la colpa di inquinare il mondo giornalistico, i giornalisti hanno quella di non bonificare il mondo della tv. E qui veniamo al nocciolo. Inutile pretendere dai giornalisti giudizi e atteggiamenti obiettivi sulle sue trasmissioni e sui suoi personaggi, dirigenti, autori e interpreti, quando vengono chiamati a collaborare ricevendo compensi impensabili nel loro settore.
Ho visto affidare a direttori di giornali consulenze superpagate consistenti in una paginetta di pareri che finiva in un cestino senza essere letta; serviva ad inviare un cospicuo assegno all’autore in funzione delle critiche pubblicate dal giornale su una trasmissione o uno spettacolo. Avveniva negli anni 60 e avviene molto di più e sfacciatamente oggi. Molti giornalisti non si rendono conto che, favorendo in qualsiasi modo la tv, si tagliano l’erba sotto i piedi, perché vengono usati e presto gettati. La colpa maggiore è degli editori, ossia banche, assicurazioni, industrie, imprenditori vari che, osannando la televisione, sperano di averne vantaggi sia di immagine sia concreti.
Pensare che la trasmissione di rassegne stampa da parte delle tv reclamizzi e faccia vendere i giornali è un’illusione, una stoltezza, anzi un suicidio: perché i frettolosi spettatori sono ancor più frettolosi lettori, e una volta conosciuti i titoli degli articoli non corrono all’edicola ad acquistare i giornali; anzi, se prima volevano farlo, vista la rassegna stampa lo trovano superfluo. Qual è allora il futuro previsto da un giornalista, non da sapientoni professori di giornalismo che in lezioni anche universitarie, dibattiti e convegni pretendono di insegnare e parlare di materie che non conoscono, anche perché non esistono?
Il futuro è che la televisione deteriore che abbiamo conosciuto in questo ultimo trentennio sta morendo nonostante l’alluvione finanziaria che le deriva da abbonamenti e pubblicità; e che la carta stampata, cui presunti medici hanno ripetutamente prescritto olio santo, continua a campare nonostante i tagli «politici» del sostegno pubblico e i bavagli che si tenta e ritenta di metterle

Tags: televisione Corsera story Victor Ciuffa Corriere della Sera Corrierista giornalisti Novembre 2011

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