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leggi, prassi e consigli per consentire alle imprese di evitare il fallimento

di LUCIO GHIA

Con questo articolo si conclude il trittico disegnato in occasione della conferenza di Modena dell’ottobre 2013, che ha rappresentato un’importante occasione di riflessione sull’efficacia dell’attuale legislazione italiana sull’insolvenza. Negli ultimi anni, infatti, si sono susseguiti numerosi provvedimenti, nell’attuale fase dell’economia nazionale, tesi a far uscire dalla crisi quelle imprese ancora in grado di creare valore, ma appesantite dai debiti pregressi.
Nei precedenti due numeri di Specchio Economico è stato rappresentato, con la forza della quantità delle imprese fallite o liquidate, il risultato più emblematico dell’attuale crisi economica. Parliamo di circa cinquanta dichiarazioni di fallimento da parte dei tribunali italiani al giorno; ma i relatori della conferenza di Modena hanno fornito anche alcuni dati confortanti. Sotto il profilo della riorganizzazione delle imprese, e quindi sull’efficacia dei provvedimenti messi a punto dal legislatore anche molto recentemente con il «decreto Fare» dell’agosto 2013 in tema di concordati in bianco e dei concordati in continuità, emergono i primi risultati positivi.
Due misure queste che si basano su esperienze analoghe compiute prevalentemente oltreoceano, che si fondano sulla necessità di salvare la residua capacità di creazione di valore da parte dell’impresa ancorché in crisi, bloccando il pagamento dei debiti pregressi e mirando alla continuazione della produzione e della presenza nel mercato, e al pagamento dei debiti legati all’esercizio dell’attività d’impresa, malgrado la sua crisi.
Ebbene, in questo quadro, nell’ultima tornata dei lavori, si sono avute due relazioni finali sulle responsabilità degli amministratori delle imprese in crisi. Il presidente di sezione della Corte di Cassazione Renato Rordorf e chi scrive hanno delineato la cornice normativa con un attento approfondimento sui provvedimenti che nascono dalla prassi dei vari Tribunali italiani circa le responsabilità che assumono i «directors», come dicono gli anglosassoni, ovvero gli amministratori, i sindaci, i direttori generali dell’impresa in crisi o nel periodo immediatamente antecedente alla sua emersione.
Le pressioni e i problemi che si addensano sulle imprese in crisi, e quindi gravano sugli amministratori nel momento in cui la liquidità scarseggia e l’accesso al credito diventa più difficile, sono molteplici. Infatti alcuni pagamenti vanno effettuati, vanno adottate decisioni strategiche per il futuro dell’attività e per la continuità aziendale, ma nello stesso tempo non bisogna ampliare il passivo esistente, non bisogna ingenerare nei terzi false impressioni sulla solidità dell’impresa, né realizzare quindi ipotesi di «ricorso abusivo al credito».
Sono temi questi di estrema delicatezza poiché, se le responsabilità che gli amministratori devono assumersi sono eccessive, si avrà il risultato di allontanare dall’impresa in crisi proprio quelle risorse professionali che appaiono più necessarie e decisive, scoraggiando quindi l’apporto dei migliori e lasciando il campo alle esperienze professionali peggiori, a coloro che non hanno alcunché da rischiare.
Tratteremo insieme queste due relazioni perché in realtà sono andate integrandosi per quanto attiene al quadro nazionale, mentre chi vi scrive si è soffermato maggiormente sul confronto con i temi emersi in sede internazionale in particolare in sede Uncitral, la commissione permanente delle Nazioni Unite per la legislazione sul commercio internazionale, nel gruppo di lavoro sull’insolvenza. Esaminiamo quindi i consigli che emergono dalla Guida legislativa sulla responsabilità degli amministratori e dei direttori generali, messa a punto negli ultimi due anni, dall’Uncitral.
Una prima risposta deve essere data al quesito «chi sono gli amministratori?». Senz’altro sono coloro che assumono la responsabilità di guidare l’impresa e possono anche identificarsi con gli amministratori in carica, ai quali l’azionista conferma la propria fiducia anche dopo l’emersione di una situazione critica per l’impresa. La guida raccomanda che in questi casi siano privilegiate professionalità indipendenti e che possano meglio difendere il valore residuo dell’impresa; ciò è ancora più opportuno quando la crisi affonda le proprie radici nel cosiddetto passaggio generazionale. Nel periodo di crisi dell’impresa i suggerimenti dedotti dalle cosiddette «best practices» di carattere internazionale possono rivelarsi utili.
Gli amministratori devono essere sicuri della validità e dell’efficienza dell’impianto contabile e amministrativo esistente. Quindi, se i conti sono confusi e non si riesce a fare chiarezza, è opportuno staccare il vecchio dal nuovo. Vengono consigliate la tenuta di una nuova contabilità affidata a nuove strutture o consulenti e l’apertura di nuovi rapporti con nuove banche per poter distinguere tra la gestione precedente e quella relativa all’immediatezza della crisi; la situazione finanziaria della società dovrebbe essere esaminata anche alla luce di una rappresentazione esatta di quelle che sono le azioni poste in essere dai creditori e dei provvedimenti in corso di emanazione o già emanati dai tribunali competenti.
Viene raccomandata anche la costante attenzione ai rimedi offerti dalla legge e all’opportunità di interessare il Tribunale circa la situazione di crisi, magari avvalendosi di una delle procedure di ristrutturazione. Gli amministratori devono cercare di ottenere accurate, tempestive e rilevanti informazioni acquisendole direttamente sul campo, quindi non facendo affidamento solo a quanto i loro subordinati, o i direttori centrali, il direttore generale, i capi delle singole funzioni, possano riferire, ma devono acquisire dati di prima mano.
La vita degli amministratori all’interno della società esige in questa fase una spendita di tempo molto superiore rispetto a quanto non sia immaginabile in tempi di ordinario benessere dell’impresa. Un altro consiglio che proviene dalle «best practices» e dal commentario della guida legislativa è relativo alla necessità di realizzare regolarmente riunioni dei vertici degli amministratori per sorvegliare continuamente la situazione.
Ed è valida la raccomandazione di conservare le «minute» di questi vertici perché, specialmente in Italia dove, anche al tavolo delle crisi di imprese nell’ambito delle ristrutturazioni che vengono compiute con il ricorso al tribunale, siedono i pubblici ministeri; ebbene questa regola di condotta assume un particolare significato. Una puntualizzazione delle ragioni che consigliano di consentire alla società di continuare la propria attività d’impresa e di restare sul mercato va continuamente rapportata alla valutazione delle conseguenze che si avrebbero in caso di liquidazione per i creditori, gli azionisti, gli stock holders.
Per esempio è utile il continuo raffronto, anche avvalendosi di esperti indipendenti e di agenzie specializzate ecc., tra il valore di liquidazione dei singoli assets dell’impresa rispetto al valore complessivo dell’azienda connesso alla continuità dell’impresa. Ovvero quanto si otterrebbe dalla vendita in blocco e quale sarebbe il risultato economico di una vendita dei singoli assets. Questo confronto può confortare la decisione degli amministratori di procedere nell’attività di impresa.
È opportuno, suggerisce la guida legislativa dell’Uncitral in linea con quanto ricordava il presidente Rordorf e con le indicazioni che provengono dalla nostra giurisprudenza di merito convalidate dall’insegnamento della Corte di Cassazione, che gli amministratori si avvalgano di specialisti in ristrutturazioni privilegiando gli «aziendalisti» e i «commerciali». Certamente anche i consigli di carattere legale possono rivelarsi necessari, ma soprattutto vanno analizzate le posizioni finanziarie e gli aspetti tipicamente commerciali perché la sopravvivenza economica dell’impresa costituisce il «benchmark» da assicurare.
Quindi l’indipendenza di questi consigli su questi temi assume una particolare importanza. È tipico della cultura anglosassone puntare, appunto in questa fase, su amministratori indipendenti, come anche su addetti all’amministrazione, esperti di ristrutturazione capaci di analizzare tutte le possibili opzioni che possano confortare il vertice degli amministratori in relazione alle varie proposte, per scegliere la soluzione che può essere ritenuta la migliore in quel determinato contesto.
Ancora vengono consigliati «auditing» esterni, da parte di società di revisione. Ovviamente influiranno le dimensioni dell’impresa perché non tutte, specialmente quelle medie e piccole, hanno la possibilità di affrontare gli oneri finanziari connessi al coinvolgimento di un’estesa gamma di esperti. Ma certamente anche l’analisi della struttura dell’impresa, in relazione alle funzioni considerate strategiche per la continuazione degli affari, finisce per essere posta al centro di queste analisi. Per esempio anche la «ristrutturazione dell’azionariato» così come la riorganizzazione della rete commerciale devono essere esaminate «funditus».
Gli amministratori devono anche considerare la capacità e quindi l’idoneità del management in forza, rispetto ad ostacoli, difficoltà che dovrebbero essere superate o ridefinite. Inoltre si raccomanda che nella modifica dell’attività concreta del management siano tenuti presenti i molti interessi in gioco anche sulla prospettiva fallimentare ove la ristrutturazione non desse i risultati sperati, per esempio non solo quelli di creditori, impiegati, fornitori, clienti, anche quelli di autorità locali, di stockholder e anche di soci che non devono essere considerati agnelli sacrificali.
In alcune attività d’impresa anche gli aspetti di carattere ambientale, specie nei periodi di crisi, sono importanti, e vanno attentamente considerati. Infatti i costi del risanamento delle aree inquinate e le azioni da intraprendere tempestivamente nei confronti dei reali responsabili devono essere tenuti in debito conto, specie nel periodo in cui l’insolvenza comincia ad essere imminente e inevitabile perché la crisi è diventata irreversibile; infatti, è necessario attivarsi con le corrette e legittime iniziative per aumentare il valore dell’impresa.
Anche le richieste ai soci di fornire opportuni incentivi affinché gli amministratori riescano a contenere le conseguenze della crisi o dell’insolvenza, nei confronti dei creditori e di tutti coloro che vi sono coinvolti, si riveleranno utili per ridurre i rischi di responsabilità per «mala gestio» degli amministratori. A tal proposito si consiglia di avere periodici incontri con i gruppi di creditori più rilevanti per mettere a fuoco i loro interessi per cercare di realizzarli, e comunque, per informarli. Prassi non molto seguita in Italia. Gli amministratori devono anche cercare di proteggere il valore dei singoli assets della società, quindi non favoriranno né consentiranno che da determinate azioni di singoli creditori conseguano perdite per i dipendenti e per i creditori, specie se privilegiati.
Dovranno essere evitate quelle azioni che in caso di fallimento possano essere soggette a revocatoria come le vendite di assets a prezzi sotto mercato. Di contro alcune cessioni di beni non strategici possono essere necessarie per assicurare la continuazione dell’attività di impresa. In Italia la sopravvivenza dell’attività va assicurata anche sotto il profilo normativo dopo la revisione dell’articolo 67 della Legge fallimentare; i pagamenti compiuti come ordinarie manifestazioni dell’attività d’impresa non sono revocabili. Però anche al riguardo è opportuno, a futura memoria, conservare agli atti del consiglio d’amministrazione i verbali relativi alle riunioni nelle quali sono state decise queste transazioni.
Infine anche gli incontri con i soci devono essere frequenti e i soci devono essere tempestivamente e adeguatamente informati sulla situazione. Gli amministratori dovranno bilanciare le iniziative necessarie alla continuità dell’attività all’impresa con l’opportunità di evitare inutili erosioni del valore delle azioni, pur tenendo presente che non è questo lo scopo essenziale dell’attività degli amministratori, che deve essere tesa soprattutto al mantenimento del valore della impresa.
Un’altra raccomandazione dell’Uncitral attiene alla revisione della composizione dei vertici degli amministratori. Per esempio il taglio delle spese e dei costi di gestione, rispetto all’attività normale, può esigere l’ingresso di specifiche professionalità effettivamente utili nel momento che l’impresa sta vivendo. Anche l’individuazione degli assets effettivamente strategici e dei beni che non richiedono più protezione a tutti i costi e in tutte le circostanze può essere estremamente utile. Sarà opportuno esaminare il costo della loro manutenzione rispetto alle esigenze delle attività più strategiche per l’impresa e allo stesso valore di realizzo che si potrebbe ottenere. In sostanza l’Uncitral continua a lavorare per realizzare un metodo specifico e flessibile, con particolare attenzione alle attuali situazioni di crisi di impresa.
La sua filosofia si basa sulla considerazione che, se l’impresa in crisi è ancora capace di creare valore, tale ricchezza non va dispersa con la liquidazione fallimentare. Conservare è spesso difficile ma la distribuzione dei relativi costi tra tutti gli intervenuti, proprietari, azionisti, dipendenti, fornitori, autorità locali e centrali, fisco, previdenza ecc., spesso evita costi maggiori in termini di disoccupazione, malessere sociale ed economico e impoverimento generale.   

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