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la finalità di terrorismo e quella di eversione democratica

di ANTONIO MARINI

Non si placano le polemiche suscitate dalla sentenza con la quale il 23 novembre 2013 la I Corte di assise di Roma, dopo aver escluso lo scopo di terrorismo dell’atto delittuoso considerato come un semplice sequestro di persona, ha assolto, per un vizio procedurale due degli autori del rapimento dei cittadini italiani Maurizio Agliana, Umberto Copertino, Salvatore Stefio e Fabrizio Quattrocchi,
Il sequestro avvenne il 12 aprile 2004 in Iraq, esattamente 5 mesi dopo l’attacco terroristico avvenuto il 12 novembre 2003 contro la base militare italiana «Maestrale» di Nassiriya, dove persero la vita 19 persone tra carabinieri, militari e civili. Il sequestro ebbe una durata di circa due mesi, esattamente 58 giorni, fino a quando l’8 giugno dello stesso anno gli ostaggi furono liberati durante il blitz delle truppe speciali statunitensi - navy seals -, che riuscirono a catturare in quell’occasione anche due dei carcerieri.
Esso fu rivendicato dalle «Brigate dei Mujaheddin» e delle «Falangi Verdi di Maometto» che, per tutto il periodo in cui tennero in ostaggio i nostri connazionali, diffusero diversi video, con i prigionieri tenuti sotto la minaccia delle armi, nei quali si chiedeva al Governo italiano, in cambio della loro liberazione, il ritiro dei nostri militari impegnati in Iraq, nell’operazione «Antica Babilonia», durante la guerra iniziata dal presidente degli Stati Uniti George W. Bush nel 2003 per deporre Saddam Hussein.
Appena due giorni dopo il sequestro Fabrizio Quattrocchi fu assassinato con un colpo alla nuca, dopo essere stato costretto ad inginocchiarsi con un cappuccio infilato sulla testa, sotto gli occhi di una telecamera con la quale i rapitori effettuarono una video-registrazione, che venne poi diffusa dapprima attraverso le emittenti arabe Al Jaazeera e Al Arabiya e, successivamente, attraverso le televisioni di tutto il mondo. Prima di morire Quattrocchi tento di togliersi il cappuccio, gridando ai suoi assassini: «Adesso vi faccio vedere come muore un italiano».
Il 26 marzo 2006, su proposta del ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu, il presidente della Repubblica Azeglio Ciampi conferì una medaglia d’oro al valore civile alla memoria di Quattrocchi con questa motivazione: «Vittima di un brutale atto terroristico, con eccezionale coraggio ed esemplare amor di patria affrontava la barbara esecuzione, tenendo alto il prestigio e l’onore del suo Paese». E non v’è dubbio che il brutale assassinio di Quattrocchi venne deciso dai terroristi per far capire al nostro Governo che solo accettando il ritiro delle nostre truppe dall’Iraq sarebbe stata garantita la salvezza degli altri rapiti.
Non è questa la sede per una disamina critica della sentenza che tuttavia offre lo spunto per brevi considerazioni sulla nozione del terrorismo, in particolare sulle condotte aventi finalità di terrorismo. Quando nel 2005 fu elaborato, anche sull’onda dell’emozione suscitata dagli attentati nella metropolitana di Londra, il decreto legge recante «Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale», nato anche come «Pacchetto Pisanu» dal nome dell’allora ministro dell’Interno, quest’ultimo, nel corso del suo intervento alla Camera dei Deputati del 30 luglio 2005 ebbe a dire che si era rinunciato «volontariamente a formulare una definizione di terrorismo essendosi trovato in una certa difficoltà, stretto tra la definizione quadro del Consiglio europeo e quella delle Nazioni Unite, e ritenendo inoltre, data la delicatezza e complessità della materia, che fosse meglio rinviare la soluzione alla valutazione del Parlamento».
Dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti, la necessità di reagire alla minaccia del terrorismo di matrice islamica aveva riproposto, anche nel nostro Paese, il tema della definizione del concetto di terrorismo. D’altra parte l’elaborazione giurisprudenziale, risalente all’epoca dei cosiddetti «anni di piombo» e formatasi su un fenomeno criminale in parte diverso da quello che si trovava improvvisamente ad affrontare, non forniva un valido contributo all’interprete. Con un progetto di «convenzione globale» contro il terrorismo, in seno all’Onu, che si era arenato proprio per l’incapacità della comunità internazionale di individuare una definizione in grado di accontentare tutti, lo stesso diritto internazionale si rivelava altrettanto incapace di fornire un’indicazione sicura sul significato globale della nozione di terrorismo.
Era inevitabile, perciò, l’attività di supplenza esercitata dalla Magistratura la quale, dopo una prima fase di assestamento, seppe trovare, all’interno della legge vigente, una risposta convincente alla domanda su come dare la corretta definizione al concetto di terrorismo. Al riguardo, non si può fare a meno di richiamare la sentenza dell’11 ottobre 2006, Bouyahia, con la quale la Corte Suprema di Cassazione stabilì che la «la formulazione della Convenzione del 1999 - cioè della Convenzione dell’Onu contro il finanziamento, resa esecutiva con la legge numero 7 del 27 gennaio 2003, ha una portata così ampia da assumere il valore di una definizione generale.
Definizione applicabile sia in tempo di pace che in tempo di guerra, comprensiva di qualsiasi condotta diretta contro la vita o l’incolumità di civili o, in contesti bellici, contro «ogni altra persona che non prenda parte attiva alle ostilità in una situazione di conflitto armato» al fine di diffondere il terrore fra la popolazione, o di costringere uno Stato o un’organizzazione internazionale a compiere o ad omettere un atto, con l’ulteriore requisito della motivazione politica, religiosa o ideologica, conformemente a una norma consuetudinaria internazionale accolta in varie risoluzioni dell’Assemblea generale e del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, nonché della Convenzione del 1997 contro gli attentati terroristici commessi con l’uso di esplosivi.
Definizione in linea con quella ricavabile dalla Convenzione, che è poi la stessa formulata dal Consiglio d’Europa nella decisione quadro numero 2002/475/GAI sulla lotta al terrorismo, ma con due eccezioni: la prima eccezione è che la definizione in essa contenuta non avrebbe potuto trovare applicazione a fatti commessi in contesti bellici, laddove la Convenzione dell’Onu teneva espressamente conto anche dell’ipotesi in cui l’atto terroristico fosse stato commesso in tempo di pace piuttosto che nel quadro di un conflitto bellico.
La seconda eccezione è che la definizione nella decisione quadro, diversamente dalla definizione della Convenzione dell’Onu, annoverava, tra le possibili «finalità terroristiche», accanto alla diffusione del terrore tra la popolazione e alla coazione della volontà di uno Stato o di un’organizzazione internazionale, anche il fine di «destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali economiche o sociali di un Paese o di un’organizzazione internazionale».
Questa ulteriore estensione della nozione di terrorismo anche a fatti di eversione, non poteva, però, trovare immediata applicazione nel nostro ordinamento, in assenza di uno specifico intervento legislativo, stante la differenziazione allora espressamente prevista dalla normativa in vigore tra finalità terroristica e finalità eversiva. Per ovviare a tale situazione, con la legge numero 155 del 2005 fu introdotto nel Codice penale l’articolo 270 sexies, che contiene l’espressa definizione delle condotte con finalità di terrorismo.
Questo articolo dispone che devono considerarsi tali quelle condotte: 1) che «per la loro natura o contesto possono arrecare grave danno a un Paese o a un’organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici, o un’organizzazione internazionale a compiere o ad astenersi dal compiere un qualsiasi atto»; 2) che «possono destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o un’organizzazione internazionale»; 3) che siano «definite terroristiche o commesse con finalità di terrorismo da Convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l’Italia».
In realtà la finalità di terrorismo aveva già fatto la propria comparsa negli articoli del Codice penale 280 come attentato con finalità terroristiche o di eversione; 280 bis come atto terroristico con ordigni micidiali ed esplosivi; 289 bis come sequestro di persona a scopo di terrorismo. In passato, la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, in contrasto con un’autorevole dottrina, rispettando alla lettera il dato testuale riteneva concettualmente distinti e attualmente sempre distinguibili la finalità di terrorismo e quella di eversione dell’ordinamento democratico.
Successivamente, però, proprio in seguito all’introduzione dell’articolo 270 sexies nel nostro ordinamento, la Cassazione ha cambiato orientamento stabilendo, con la sentenza numero 12.252 del 2012, che quando la condotta terroristica è tenuta allo scopo di raggiungere gli obiettivi sopra indicati al numero 2, ossia destabilizzazione e distruzione dei fondamenti politico-costituzionali o socio-economici di uno Stato fa «corpo unico» con tale finalità.
Ma quest’opera di destabilizzazione/distruzione altro non è che l’eversione violenta. Nella stessa sentenza la Cassazione chiarisce che il terrorismo, anche se qualificato come «finalità» o come «scopo», non costituisce, in genere, un obiettivo in sé, ma funge da strumento di pressione, da metodo di lotta, da modus operandi particolarmente efferato: si diffonde il panico colpendo anche persone e beni non direttamente identificabili con l’avversario o riferibili allo stesso, per imporre a quest’ultimo una soluzione che, in condizioni normali, non avrebbe accettato, sottolineando che solo l’eversione rappresenta un obiettivo, mentre il terrorismo costituisce un mezzo, ovvero una strategia che si caratterizza per l’uso indiscriminato e polidirezionale della violenza, non solo perché accetta gli «effetti collaterali» della violenza diretta, ma anche perché esso può essere rivolto in incertam personam, proprio per generare panico, terrore, diffuso senso di insicurezza, allo scopo di costringere chi ha il potere a prendere decisioni, a fare o tollerare ciò che non avrebbe fatto o tollerato.
Nella stessa sentenza si evidenzia che la repressione del terrorismo, in campo internazionale, risponde ad una finalità di tutela dello status quo nei rapporti tra Stati e tra questi e organizzazioni internazionali; nella sfera interna, viceversa, rappresenta «difesa avanzata» dell’ordine democratico da intendersi come ordine costituzionale, in base all’interpretazione autentica fornita dal legislatore con l’articolo 11 della legge numero 30 del1982.  

 

di ANTONIO MARINI

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