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ENRICO LETTA BELLE PAROLE MA AL VENTO

Anna Maria Ciuffa e Maurizio De Tilla

In un recente apprezzabile intervento il presidente del Consiglio Enrico Letta si è affidato a concetti di alto respiro assumendo che «la disuguaglianza sgretola la società perché la fa marcire al proprio interno. Essa ha effetti sulla convivenza civile, minando alla base sia la democrazia sia il mercato. L’ultima cosa che deve fare la politica è rimuovere la realtà e rifugiarsi nelle scorciatoie». Enrico Letta continua, poi, il discorso denunciando che in Italia «sugli squilibri storici, sociali, geografici, tra generazioni, si sono sedimentate nuove e dilaganti forme di vulnerabilità e disagio. E il disagio, se inascoltato o malinteso, si trasforma in indignazione, l’indignazione in rabbia, la rabbia in conflitto sociale».
Il presidente del Consiglio ha concluso affermando che «la nostra comunità non può concedersi il lusso di lasciare qualcuno indietro. E ciò non per un nostalgico afflato di egualitarismo omologante, ma per necessità, direi per convenienza: per essere più forte e competitiva, per non pagare ancora il prezzo delle disuguaglianze che si allargano e diventano sempre più incolmabili, disegnando il profilo di una società bloccata, immobile, senza equità e senza speranza».
Anche se belle, sembrano parole al vento, provenendo da una forza politica non esente da responsabilità sul dissesto e sul degrado del Paese. Oggi paghiamo gli errori e le omissioni che rimontano indietro di decenni e di cui sono responsabili Destra e Sinistra. La nostra crisi viene da lontano, da centinaia di migliaia di pensioni di invalidità erogate a chi non ne aveva diritto, da pensioni baby, da lavori pubblici decisi da Amministrazioni pubbliche di ogni colore e costati dieci volte il previsto, da posti assegnati immeritatamente in base a una raccomandazione.
Viene da organici pubblici gonfiati per ragioni clientelari e per il consenso elettorale, da illegalità diffuse, furbizie, piccoli e grandi abusi, evasioni striscianti ecc. Ernesto Galli della Loggia indica alcuni mali, ma la sua analisi va ampliata. Alla base del disastro nazionale sono fenomeni cui imputare l’80 per cento delle disfunzioni: dilagante corruzione, estensione in tutto il Paese degli affari illeciti della criminalità organizzata, evasione fiscale totale, incapacità ultraventennale della classe dirigente e politica. I danni subiti dal Paese in conseguenza dei denunciati mali, ammontano a più di 200 miliardi di euro l’anno. Secondo Michele Ainis, viviamo in un «sistema che alleva disoccupazione e recessione, prigioniero di lobby armate fino ai denti, lacerato dal divorzio tra Popolo e Palazzo. Zero efficienza economica, equità sociale, legittimazione democratica».
L’enunciazione di Ainis è da condividere, ma va accompagnata da considerazioni che non riguardano solo la modifica della Costituzione o la riforma elettorale che, anche se attuate, non modificheranno nulla o quasi nelle assemblee elettive e nei partiti che governano il Paese. Mancano riforme che da sole potrebbero cambiare radicalmente il sistema e assicurare efficienza, equità e democrazia. Il nostro è uno dei Paesi più corrotti del mondo nel quale la corruzione è pubblica e privata. Ed è alimentata da politici che preferiscono non parlarne se non in modo superficiale e marginale. La politica ha occupato aziende pubbliche, società municipalizzate, banche, assicurazioni, domini istituzionali ed economici, appropriandosi di beni di interesse generale e di natura comune. Nello stesso tempo favorisce dibattiti inutili e inconsistenti, che mascherano la realtà parlando e dividendo su temi quali l’Imu, l’Iva, le riforme e altri temi diretti solo ad evitare il dibattito sull’esigenza di credibilità e integrità morale di una nuova classe dirigente. Abolire il finanziamento significa non dare più soldi pubblici ai partiti. È questo il conseguente effetto della degenerazione che ha riguardato anche l’uso dei rimborsi elettorali con storni, appropriazioni, spese inutili e voluttuarie.
Alla degenerazione si è accompagnata una corruzione che in parte ha finanziato partitocrazia e apparati plutocratici. Una caduta di etica che ha proporzioni colossali. Allora cosa si fa? Si propone nella forma l’abolizione del finanziamento pubblico, ma nella sostanza lo si conferma con il probabile incremento di importi. Commedia e inganno formano spesso il linguaggio paludato di farisei e manipolatori della gente comune, che spesso si fida ingenuamente e non va al di là delle parole.
L’etica in politica non significa solo meno parlamentari e meno affari come ha scritto Aldo Cazzullo, ma anche lotta reale alla criminalità organizzata e alla corruzione. Per procurarsi consensi elettorali e denari molti politici hanno stretti e nascosti legami con le fonti degli scandali nazionali. Si è stabilizzato al vertice un centro di potere che fa riferimento a circoscritti club e gestisce tutto: economia, giustizia, appalti, sanità. Con ipocrisie e menzogne che parte della stampa favorisce facendole apparire esigenze reali del Paese. Il Parlamento punta a varare una legge che abolisca il finanziamento pubblico dei partiti che ha incrementato il degrado morale del Paese. L’istanza della collettività è eliminare subito qualsiasi forma diretta o indiretta di esso. Gli abusi commessi testimoniano la necessità di un appropriato intervento legislativo.
Non crediamo che quelle finora indicate dal Governo siano le soluzioni più idonee. Si rischia di varare una legge iniqua che, con lo scopo apparente di togliere il denaro pubblico, lo lascia o addirittura l’aumenta. La straordinaria articolazione della società moderna e la crescente complessità delle decisioni da adottare evidenziano il difficile rapporto tra politica e società, con le connesse implicazioni. Il dato di fatto è che la rappresentanza politica è in crisi e non riesce a trovare strumenti trasparenti di interazione con il tessuto sociale ed economico del Paese.  

Tags: Gennaio 2014

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