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L’italia di oggi: Albania, la mossa del cavallo

È poco ma sicuro: non è stato certo l’euro a far chiudere negli ultimi anni decine di migliaia di aziende in Italia, Spagna, Grecia e Portogallo. Ma l’avvento della globalizzazione. Tutti questi Paesi hanno un’economia storicamente agricola, convertita solo «recentemente» e soltanto in parte a economia industriale. I loro sistemi produttivi poggiano su aziende di minori dimensioni che riuscivano a confrontarsi alla «pari» con i colossi europei operanti nei loro settori, grazie alle dogane ed, «estrema ratio», alla svalutazione della moneta. Cadute le frontiere, il gioco è cambiato. Sulla scacchiera europea le poche chance di tenuta e di riscossa per tali economie possono arrivare solo dal coraggio, tipicamente imprenditoriale, di compiere un salto di qualità che per forza di cose dovrà essere ben mirato e dotato di una logica vincente. Si tratta di «muovere il cavallo» verso una direzione precisa, con chiari orizzonti di sviluppo. L’idea più concreta al riguardo? Valutando bene una serie di elementi, la risposta che appare più ovvia è guardare ad Est, orientare la bussola verso i Balcani, e mettere a fuoco un obiettivo ricco di potenzialità.
La casella in cui sistemare il cavallo - e il più presto possibile per trarne maggiore efficacia - è quella su cui è scritto Albania. Il senso strategico di tale mossa che - l’abbiamo sperimentato direttamente anche in recenti occasioni di confronto - è ampiamente condiviso da un numero crescente di imprenditori, deriva dalle nuove interessanti scelte di politica economica del Governo albanese. Esse possono diventare la soluzione ideale per i problemi delle imprese minori italiane, condizionate nel loro sviluppo da fattori storicamente consolidati nel nostro sistema economico. Entriamo in dettaglio. L’Albania è un Paese che sta aprendo con convinzione le porte agli investitori ma soprattutto è alla portata delle nostre imprese, che non possono competere sul mercato mondiale con i colossi tedeschi, francesi e nordeuropei. Essi si sono sviluppati di pari passo ai loro Stati in un arco secolare più ampio mentre il nostro modello imprenditoriale - anche a causa della relativa giovinezza del nostro Stato - è composto di realtà agili, creative ma sottodimensionate rispetto alle esigenze del mercato globale.

Un eldorado non esagerato
Ciò impone di individuare e conquistare nicchie di mercato promettenti. E l’Albania è una di queste. Parlare di Eldorado o di novella «terra promessa» può sembrare esagerato ma non lo è: la vicinanza geografica - solo 72 chilometri dalla Puglia - il clima favorevole, la diffusione dell’italiano nella popolazione, la rendono idealmente una regione consorella. Il sistema fiscale e il basso costo della manodopera (un operaio guadagna mensilmente tra 170 e 425 euro, un ingegnere da 253 a 630, un dirigente da 550 a 1.354) e la voglia dei singoli di lavorare per la ripresa la trasformano in un terreno da arare sotto il profilo imprenditoriale.
L’International Trade Center segnala che l’Albania vanta la più alta crescita economica del sud est europeo. E, come se non bastasse, l’Italia è il suo primo partner commerciale. Ciò significa, per le imprese minori nostrane che sapranno cogliere quest’occasione davvero ghiotta, poter valutare la proiezione albanese non come pura e semplice fuga delocalizzatrice dall’Italia, ma come fattore complementare della loro strategia di sviluppo in Italia: si tratta di fare utili in un promettente mercato estero per reinvestirne una parte in quello d’origine, oggi in crisi.
Un dato: la Banca Mondiale, nel rapporto Doing Business, assegna all’Albania il 16esimo e il 24esimo posto nella classifica che misura i progressi delle economie mondiali a vantaggio di affari e imprese; l’Italia figura al 65esimo e al 98esimo di quelle liste. E c’è di più: la legge albanese protegge gli investimenti stranieri; non prevede restrizioni sulla loro entità e ammette società a capitale totalmente straniero. L’investimento può riguardare beni mobili e immobili, società e partecipazioni, proprietà intellettuali, brevetti, acquisti di titoli e obbligazioni. Con libertà di trasferire all’estero i relativi proventi: utili, dividendi, capital gain.
Il Governo albanese non fa mistero della propria determinatezza ad attirare imprenditori, persino affittando a un euro capannoni e basi militari da riqualificare a scopo produttivo, con contratti a tempo indeterminato. Deve infatti rilanciare una crescita che nel 2008 era del 7,5 per cento rallentata all’1,3 per cento del 2012 e allo 0,7 per cento del 2013, e le imprese italiane sono in «pole position» per partecipare a questo progetto: nei settori del pellame e dei filati, nei campi dell’energia, delle infrastrutture, delle telecomunicazioni, del turismo, dei servizi. Si pensi solo al business dei call center.
A Tirana e dintorni ci sono già circa 1.500 attività italiane su 4 mila a matrice estera e 120 imprese minori che danno lavoro a più di 50 dipendenti. Il quadro economico, tenendo conto dell’intervento del Fondo Monetario Internazionale che ha un programma di 1,1 miliardi di dollari, potrà solo migliorare anche se a medio termine. Ma tenendo conto del fatto che gli investimenti diretti esteri in Albania sono già pari al 10 per cento del prodotto interno - una cifra davvero elevata – e che i vantaggi e le agevolazioni finanziarie nonché le opportunità e le esenzioni fiscali sono davvero appetibili, si può dire che la partita è promettente.
Sarebbe un vero peccato al riguardo veder giocare soltanto le imprese di altre nazioni europee. Da questa considerazione è nata la nostra scelta di insediare a Tirana un ufficio di consulenza. Non va infatti dimenticato che per l’Albania sono previsti finanziamenti della Banca mondiale, della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, della stessa Comunità Europea, per la formazione professionale e per la penetrazione commerciale, per partecipare alle gare e per promuovere le esportazioni italiane, nonché per progettare gli studi di fattibilità propedeutici agli investimenti.

Zone franche, esenzioni doganali
Anche sotto il profilo fiscale sono notevoli le opportunità che si stanno delineando in Albania in questa fase delicata, ossia mentre il Paese cerca di allinearsi il più possibile agli standard economici delle altre nazioni europee per poter aspirare alla promozione tra i Paesi membri. Sono previste in Albania - tanto per dire - zone franche con esenzioni doganali sulle licenze, sull’esportazione di profitti; esenzioni dalle tasse pluriennali nelle fasi di insediamento e di promozione delle attività, per i beni di investimento e le materie prime importate. L’elenco è più lungo.
E a queste condizioni, se non si muove il cavallo si rischia davvero uno stupido scacco matto. L’Italia, come il Portogallo, la Grecia, la Spagna, deve invece affidarsi proprio a occasioni del genere per riprendersi. Non può lasciarsele sfuggire. È lo scenario d’insieme che impone ai Paesi più deboli di Eurolandia rapide e intelligenti scelte economiche. L’avvicendarsi di Governi in Italia purtroppo non ha finora portato risultati apprezzabili, anzi il tasso di disoccupazione ha raggiunto i livelli drammatici di quarant’anni fa. È ora di muoversi e con intelligenza.
Secondo l’Osservatorio europeo sulla sicurezza il 73 per cento degli italiani si sentono preoccupati per la crisi economica, il 52 per cento si sente parte della classe medio bassa e solo il 13 per cento si fida dello Stato. Le imprese minori sono state massacrate dalla crisi e negli ultimi 5 anni in media - in media, sentiamo l’esigenza di ripeterlo - ne sono state chiuse mille al giorno. La CGIA di Mestre rivela che il saldo negativo tra imprese nate e morte è di 134 mila. Il reddito medio da lavoro indipendente è sceso del 10 per cento, e con un’incidenza della tassazione sui profitti del 66 per cento; i fallimenti sono saliti del 12 per cento.

Dati incredibili eppur veritieri
Questa è la settima economia del mondo. Spiegano i motivi della discesa in piazza di migliaia di commercianti, artigiani, piccoli imprenditori scoraggiati. Disvelano cosa c’è dietro i tracolli che hanno condotto a disperate scelte personali. Avvalorano la necessità di un approccio urgente ai problemi sul tappeto da parte di chi ha l’incarico di guidare il Paese. E soprattutto rendono indispensabile, da parte di ogni imprenditore dinamico, un ulteriore sforzo di creatività, di progettualità, di pianificazione fiscale, capace di preludere ad una stagione di vero e proprio riscatto economico.
Bisogna dire subito che le imprese minori italiane hanno una combattività impressionante. Secondo uno studio della Confartigianato, tra gennaio e settembre 2013 dal nostro Paese sono volati nel mondo prodotti realizzati dalle piccole imprese per un valore di 72,9 milioni di euro, con un aumento del 4,1 per cento rispetto allo stesso periodo del 2012. È ora di dare il giusto riconoscimento a questo ruolo. Secondo i dati dell’Associazione di categoria, le vendite all’estero dei prodotti delle piccole imprese sono in controtendenza rispetto all’andamento complessivo delle nostre esportazioni che, nel 2013, hanno registrato una diminuzione dello 0,1 per cento.
Ma l’incremento delle esportazioni a livello di sistema può non bastare a competere nell’attuale quadro economico. Per le imprese familiari, la scelta espansiva vincente finora è stata lo shopping di aziende concorrenti sui mercati internazionali. Gli ultimi dati dell’Osservatorio Aub (Aidaf, Unicredito, Università Bocconi e Camera di Commercio di Milano) dicono però che negli ultimi 13 anni il 90 per cento delle imprese familiari ha disdegnato tale strategia. Carenze organizzative, dimensionali, di governance - legate ad una collegialità nelle scelte non sempre assistita da competenze dei consulenti maturate all’estero - hanno fatto da freno al riguardo.
Come regolarsi per il futuro? Risposta d’obbligo: le piccole e medie imprese che in Italia sono «ingessate», soprattutto le migliori, quelle convinte nella bontà della propria proposta produttiva, devono andare all’estero, proprio come quei giovani talenti spesso umiliati e penalizzati nel nostro Paese, obbligati a varcare le frontiere per poi essere apprezzati in tutti i campi. Ma la parola estero è un orizzonte troppo generico: quando si parla di imprese occorre usare la parola mercati e riflettere sulle prospettive che ciascuno di essi offre.
Al riguardo i problemi sono molteplici. In particolare occorre distinguere con attenzione tra scelte puramente speculative e scelte dal carattere concretamente produttivo. Pensando a questa seconda impostazione, è bene considerare come proiezione estera prioritaria quella verso l’Europa. Un’Europa allargata, però. Da più parti si registra peraltro ampia condivisione sul concetto che è importante rilanciare la Comunità europea perché soltanto agganciandoci ad essa potremo uscire dalla nostra crisi.
L’euro non va abbandonato, ma attenzione: senza un sistema-Paese dinamico, un’economia capace di farsi valere sui mercati esteri, esso rischia di essere un peso insostenibile. Il cambio attuale con il dollaro ci penalizza. Dunque, in sintesi, occorre far seguire fatti alle parole. Riuscire a trasformare semplici relazioni di buon vicinato tra Paesi europei - inclusi quelli situati nei Balcani che del Continente europeo sono parte essenziale - in qualificate relazioni economiche, foriere di sviluppo e di scambi commerciali. Anche i flussi dei capitali in perenne movimento confermano questa esigenza. Recentemente c’è stato un flop delle economie dei BRIC, che sembravano inarrestabili: Brasile, Russia, Cina e India si sono rivelati assai meno dinamici che negli anni passati. E secondo gli analisti più quotati di importanti fondi d’investimento globali, i capitali esteri, ed anche quelli provenienti proprio da quei Paesi, si stanno dirigendo verso l’Europa del Sud. Occorrerà capire se e quali timori potranno ostacolare, in seguito alla crisi ucraina, questo trend, ma è innegabile che c’è una seria possibilità che in questo movimento di flussi di investimento si riscoprano mercati considerati fino a poco fa privi di prospettiva.
Quali? L’Europa allargata in primo luogo e i Balcani nel suo interno. Stando ad una segnalazione del Wall Street Journal ripresa dalla società di analisi EPFR, sulle Borse europee da inizio gennaio sono confluiti 24 miliardi di dollari contro i 5 dirottati sulle Borse statunitensi. Secondo una nota della Royal Bank of Scotland anche i PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna) sono attrattivi. Ad essi vanno aggiunti anche i Balcani e in particolare l’Albania. Soprattutto se l’UE saprà ben interpretare le potenzialità di quest’area, superare gli interessi dei Paesi più ricchi e agire in chiave di coesione, con il pensiero verso una seria costruzione europea allargata.

Guardare ad est, dovere per l’UE anche in prospettiva di una sfida economica intercontinentale. Da Est c’è peraltro molta attenzione all’attuale UE. La crisi ucraina ne è testimonianza. Ma lo sono anche le «avances» dell’Armenia, che ha inviato a Roma il direttore della propria Agenzia per lo sviluppo ad invitare le imprese nostrane a sfruttare il «ponte armeno» per proiettarsi in Asia. Lo sono infine, e in modo assai più accattivante e conveniente, le condizioni offerte da Paesi come l’Albania per propiziare un processo di progressivo insediamento industriale da parte delle imprese europee sui loro territori.
Queste ultime e in particolare quelle italiane, oggi ad Est hanno un’occasione irripetibile per porsi in modo competitivo sui mercati compiendo il salto di qualità capace di renderle vincenti sulle imprese di altri continenti. Anche il mondo del web, attraverso un’apposita piattaforma denominata Epic, si sta attrezzando per aiutarle, e per offrire occasioni di finanziamento ad imprenditori intenzionati ad espandersi all’estero. La globalizzazione economica è inarrestabile. Sta alle imprese italiane più intelligenti cogliere le opportunità che offre saltando gli ostacoli che al momento trovano in patria.
Occorre tener sempre presente in prospettiva che uno dei più ambiziosi disegni politici dell’UE è l’allargamento, che ha l’obiettivo di creare una casa comune per i popoli europei vogliosi di condividere istituzioni democratiche e coesione politica, economica e sociale. Non è facile, in soldoni, arrivare agli Stati Uniti d’Europa ma converrebbe. Al momento c’è la Turchia in fase di stallo politico, malgrado l’interscambio in aumento. Serbia, Macedonia e Montenegro hanno lo status di candidati ufficiali, mentre Bosnia-Erzegovina e Kosovo sono candidati potenziali, con ingresso nell’UE che appare ancora lontano. L’Albania a giugno dovrebbe invece diventare candidato potenziale.
Una disamina condotta da «www.lavoce.info» sostiene che l’UE attrae Paesi che presentano caratteristiche sociali ed economiche delicate, mentre viene snobbata da Paesi ricchi come Svizzera e Norvegia. Una situazione che si ripropone per l’euro: danesi e svedesi, come cechi e polacchi, sono lontani dall’adottare l’euro come moneta comune, per non parlare del Regno Unito. Ma il processo non si ferma per questo: l’UE guarda con intenso interesse a Est e deve saper combinare allargamento e integrazione, condizioni e tempistiche. Le imprese italiane possono favorire questo processo traendone enormi vantaggi.

Eurozona più larga. Il processo di allargamento accrescerà il peso politico di questi Paesi e contribuirà all’ampliamento dell’Eurozona. E avrà un risvolto finanziario relativo all’allocazione dei fondi previsti dalla politica di coesione per il periodo 2014-2020. Oltre 2/3 del budget saranno destinati alle regioni meno sviluppate, a beneficio dei nuovi Stati membri. Secondo una simulazione della Commissione, le regioni che si spartiranno la maggior parte dei fondi strutturali (Fes, Fondo di coesione ecc.) saranno quelle dell’Europa orientale.
Il trend si accentuerà man mano che accederanno nell’Unione Europea gli altri Paesi balcanici. Esso va assolutamente «intercettato». La «mossa del cavallo» si ripropone, dunque, e prende la forma di un «salto dell’Adriatico» che può essere foriero di grandi prospettive. La visita nella vicinissima Albania del Capo dello Stato conferma questa ipotesi che, se saprà inserirsi in una logica di valorizzazione dell’allargamento della costruzione europea come veicolo migliore per far uscire il sistema Italia dalla crisi, usando il faro albanese come strumento per arrivare ad un approdo favorevole, può consentirci di smettere, di navigare a vista.   

Tags: Aprile 2014 Enrico Santoro

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