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TURISMO: SE NON ORA, QUANDO? SE NON IN ITALIA, DOVE?

PIERLUIGI MANTINI presidente onorario osservatorio parlamentare per il turismo

di PIERLUIGI MANTINI presidente onorario osservatorio parlamentare per il turismo

D'accordo, non è più il tempo del Grand Tour obbligatorio nel Bel Paese, come ai tempi di lord Byron, ma l’Italia resta pur sempre una delle prime mete anche nella testa dei nuovi 150 milioni del turismo mondiale. Però continuiamo a perdere posizioni e, oltre che dagli Stati Uniti, siamo ormai superati dalla Francia e dalla Spagna e insidiati dalla Turchia e dalla Grecia. E soprattutto il nostro incoming cresce la metà di quello dei concorrenti europei e oltre la metà del prodotto torna ad operatori stranieri più lesti e organizzati nel «vendere» l’Italia. Così non va bene e lo diciamo da tempo. In un convegno svoltosi lo scorso maggio nel Palazzo Giustiniani di Roma, promosso dall’Osservatorio Parlamentare per il turismo, i presidenti delle organizzazioni del settore si sono confrontati con i parlamentari e con il neo ministro Dario Franceschini.
Un punto positivo e largamente condiviso è stato ed è il disegno di riforma del Governo per riportare il turismo tra le materie di competenza esclusiva dello Stato dopo anni di follie «federaliste», di soldi spesi per tradurre in inglese i programmi delle pro-loco, nell’illusione che negli stand cinesi o nelle scelte dei nuovi ricchi indiani o russi si renda visibile il proprio campanile.
Un secondo punto è il consolidarsi di un’agenda ormai comune sui programmi per la crescita del turismo; analisi e proposte sono ricorrenti e condivise. L’Italia deve andare oltre il trinomio «mare-monti-città d’arte» e specializzare l’offerta, sviluppare in pieno il turismo sociale, sportivo, religioso, dei parchi di attrazione e delle crociere, e rivolgersi direttamente ai nuovi mercati. Deve essere protagonista, e non «terra di conquista», nel turismo online dopo il fallimento del portale Italia, perché la maggior parte delle transazioni ormai si svolge sul web. Deve «destagionalizzare», da anni parola magica e ricorrente, perché resta vero che ancora a fine agosto si usa chiudere gli ombrelloni mentre le stagioni turistiche dovrebbero essere ben più lunghe, non solo nel Mezzogiorno.
E a questo proposito resta da anni sconfortante il dato secondo cui solo il 19 per cento del prodotto interno turistico proviene dal Sud, così ricco di bellezze naturali e culturali. È un problema noto ma non risolto, e su esso occorrerebbe un’azione speciale del Governo anche per coordinare l’impegno delle Regioni nella conquista dei fondi europei per la crescita. Forse in tal senso potrebbe aiutare una sorta di B.I.T. intesa come «Bandi Italia per il Turismo», un concorso pubblico che ogni anno premi i dieci migliori progetti innovativi, favorendo la programmazione dal basso e l’emersione del turismo come azione economica e infrastrutturale.
Occorre sostenere, anche con il credito fiscale, la riqualificazione e la migliore classificazione delle strutture alberghiere, un problema sempre più serio, e favorire l’uscita dall’anacronistico «vincolo alberghiero» per quegli alberghi che non ce la fanno, che sono chiusi da anni e che spesso i piani regolatori pretendono di mantenere, a forza, in condizione fallimentare.
Non è neppure inutile ricordare che l’Italia dovrebbe coltivare il modello «paradores», una catena di alberghi in palazzi o immobili storici, frutto anche delle dimissioni pubbliche, che offrano il meglio della storia e della cultura italiana e consentano un tour speciale promosso nel mondo da un grande operatore. Occorre fare meglio i conti anche sulla tassa di soggiorno (ben 7 euro a Roma) che dovrebbe almeno essere finalizzata a qualificare i servizi per il turismo e non a rimpinguare genericamente le esauste casse dei Comuni. Il ministro Dario Franceschini ha assunto un impegno in tal senso, staremo a vedere. E un impegno è stato preso anche sull’idea di costituire in Italia una Scuola di Alti Studi sul Turismo, un centro di eccellenza mondiale ove attrarre studenti ed esportare professionalità e progetti.
Molti di questi temi sono presenti nel Piano Italia Turismo 2020 presentato dal ministro Piero Gnudi ai tempi del Governo Monti. L’agenda è largamente condivisa ma ben poco si muove. Forse l’Enit avrà ora una più efficiente riorganizzazione, ma occorre di più in epoca di forte competizione e di risorse pubbliche scarse. Sta avanzando l’idea, che dovrebbe però tradursi in un vero e forte impegno politico, di aprire un limitato ma preciso programma per il turismo nell’occasione della presidenza italiana del Semestre europeo, ove non mancheranno «tavoli laterali» su varie materie. Siamo europeisti convinti, e non «di ufficio», e proprio perciò convinti che l’Italia debba condurre anche in Europa le azioni utili alla giusta tutela dei propri interessi nazionali. Il recente voto europeo sembra confermare la necessità di questa visione.
Perché Francia e Spagna possono praticare l’Iva sui servizi turistici al 5 e al 7 per cento mentre l’Italia deve rimanere ancorata al 10? Occorre rinegoziare questo punto, anche per una concezione più giusta della concorrenza in Europa. Ci sarà una ragione se il cancelliere tedesco Angela Merkel, nell’incontro con il premier Matteo Renzi, ha chiesto assicurazioni sulle guide tedesche a Roma. Perché applicando rigorosamente la Bolkestein alle guide turistiche, quelle tedesche possono venire a illustrare il Colosseo ai turisti di lingua tedesca senza pagare un euro di tasse in Italia. Sembra difficile immaginare la convenienza del contrario per le guide italiane e di ciò dovrebbe parlarsi anche perché andrebbe applicata non la Bolkestein ma la direttiva n. 36 sulle professioni che prevede almeno un sistema di riconoscimenti.
È davvero difficile riconoscere la specificità delle coste italiane solo quando ci sono gli sbarchi di profughi e immigrati, cui provvedere da soli, per poi negarla per il regime di concessione degli stabilimenti balneari che, secondo l’Unione Europea, devono essere messi in gara: qui occorre almeno garantire 10 anni di stabilità agli attuali concessionari se si vogliono investimenti e qualità. Esistono valide ragioni per affrontare questi ed altri nodi durante il semestre di presidenza italiana perché l’Italia deve riprendere a crescere con l’Europa e nell’Europa. Se non ora, quando? Se non nel turismo, dove?   

Tags: Giugno 2014 turismo Dario Franceschini Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo

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