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l’attualità della minaccia anarchico-insurrezionalista

Antonio Marini

Oggi il vero terrorismo in Italia è l’anarco-insurrezionalismo con le sue molteplici sfaccettature e i suoi pericolosi legami a livello internazionale. Fra i primi a riconoscerlo fu Antonio Manganelli, il compianto capo della Polizia, che durante la celebrazione per i 160 anni della fondazione della Polizia, nel maggio del 2012, ebbe a lanciare l’allarme. In quella occasione egli affermò senza mezzi termini che non si poteva più continuare a sottovalutare la minaccia anarco-insurrezionalista, come era stato fatto negli anni precedenti, che invece rappresentava un vero e proprio pericolo per il nostro Paese.
Secondo Manganelli quello dell’anarco-insurrezionalismo era «un fenomeno colpevolmente trascurato, non sempre compreso nella sua effettiva dimensione anche dal legislatore», che non era «riuscito ad elaborare strumenti normativi idonei a contrastare più efficacemente» tale fenomeno, che «solo per caso non aveva portato a dei morti». A conforto della sua coraggiosa analisi sopravvenne nella stessa occasione l’intervento del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano il quale, dall’alto del proprio scranno, ammonì a mantenere alto «il livello di guardia» rispetto a tutte quelle «forme di violenza destinate a sfociare in atti di terrorismo».
A sua volta l’allora ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri ebbe a sottolineare che mai più sarebbero state tollerate le «logiche dell’intimidazione e del terrore». Ma già nel febbraio del 2012, durante un’audizione alla Camera, Manganelli aveva avuto modo di affermare che l’area anarco-insurrezionalista era pronta a fare «il salto di qualità», pronta addirittura «all’assassinio». E in quella occasione citò come esempio il grave attentato avvenuto in Grecia, nel corso del quale l’assistente del ministro dell’Interno morì in seguito all’esplosione di un pacco-bomba.
Ai deputati che lo ascoltavano con attenzione e interesse rivelò che la Federazione anarchica informale (Fai) costituitasi in Italia aveva aderito alla proposta degli omologhi greci della Cospirazione delle Cellule di Fuoco, «proposta di adesione a un network internazionale più agguerrito che mirava a mettere in piedi azioni violente antiterrorismo».
Nel corso dell’audizione pose il problema di individuare una risposta più efficace da parte dello Stato ad un fenomeno, quello dell’anarchismo, da sempre considerato «sinonimo di spontaneismo». Un errore di valutazione che veniva fatto, secondo Manganelli, anche dalla Magistratura che stentava a perseguire quei gruppi anarchici che non hanno una vera e propria organizzazione con gerarchie precise, come le Brigate Rosse, bensì un’organizzazione orizzontale caratterizzata dall’autonomia dei singoli componenti ai quali nessuno vietava di compiere azioni individuali. Di qui la proposta di elaborare in sede legislativa un’altra figura normativa diversa dall’associazione eversiva o dalla banda armata, per un’azione di contrasto più efficace contro gli appartenenti alle associazioni come quelle anarchiche, strutturate nel modo sopra indicato.
Il temuto salto di qualità si è poi realizzato con la gambizzazione di Roberto Adinolfi, amministratore delegato di Ansaldo Nucleare, avvenuta il 7 maggio 2013 a Genova. L’attentato fu rivendicato da un gruppo di fuoco della Fai-Fri (Federazione anarchica informale-Fronte rivoluzionario internazionale), nata come si è già accennato sull’asse Roma-Atene. Attentato dedicato ai compagni greci della Cospirazione delle Cellule di Fuoco, detenuti nelle carceri elleniche.
Sei mesi prima le CCF avevano fatto uscire dal carcere un documento che chiariva cosa si dovesse intendere per lotta armata, in polemica con «quella stupida divisione formulata da alcuni anarchici di certi Paesi, che accetta la violenza anarchica solo se questa è rivolta esclusivamente contro un obiettivo materiale, ma che marginalizza e disapprova la pratica di giustiziare un dignitario, un direttivo del sistema, il tutto sulla base del rispetto della vita». Secondo gli autori di quel documento «non c’è nessun rispetto della vita umana di uno sbirro, di un giudice, di un magistrato, di un giornalista o di un infame».
Su questa stessa scia si erano così posti gli autori dell’attentato di Genova, criticando nel documento di rivendicazione «quell’anarchismo ideologico e cinico che solo nella teoria e nel presenzialismo ad assemblee e manifestazioni trova la propria realizzazione». La critica agli anarchici meno agguerriti diventava feroce, quasi un epitaffio, quando nello stesso documento con il quale avevano rivendicato l’attentato si ironizzava sullo stile di vita di chi aveva scelto un antagonismo pacifico, affermando esplicitamente: «Produciamo cultura radicale e musica alternativa e lentamente, molto lentamente crepiamo senza mai aver impugnato un’arma o colpito un oppressore», e sottolineando che non basta «un qualche sporadico scontro di piazza per mettere a tacere la propria coscienza».
Di qui l’invito a saltare il fosso e ad instaurare un nuovo corso della strategia insurrezionalista, seguito dalla rivelazione che l’attentato ad Adinolfi era stato realizzato da «compagni senza alcuna esperienza militare», che con quell’azione avevano voluto «segnare definitivamente un solco tra loro e quell’anarchismo infuocato solo da chiacchiere». Dopo anni di plichi esplosivi, l’uso delle armi da fuoco nel ferimento di Adinolfi costituiva un pericoloso cambio di passo, che se non aveva destato grande sorpresa aveva invece diffuso nel Paese un’enorme preoccupazione. Il rischio di un ritorno del terrorismo era divenuto di colpo più concreto ed attuale. Per fortuna all’attentato era seguita una fase di stallo derivante sia dalle diatribe interne all’area anarco-insurrezionalista, sia dalle difficoltà conseguenti alla pressione investigativa e giudiziaria.
Nella relazione annuale presentata dai Servizi segreti al Parlamento nello scorso mese di marzo si pone in evidenza che la campagna terroristica ha avuto poi una ripresa con i plichi esplosivi recapitati, nell’aprile del 2013, al quotidiano torinese «La Stampa» e ad una società di investigazioni di Brescia, dalla Cellula Damiano Bolano della Fai-Fri. Secondo i Servizi con queste azioni, indirizzate contro settori accusati di coadiuvare il lavoro della repressione, in particolare i media che si occupano delle inchieste e le imprese che forniscono strumenti tecnologici per le intercettazioni, si è voluto dimostrare la fattibilità della ripresa di una campagna terroristica, superando la fase di stallo seguita, per le ragioni anzidette, al ferimento di Adinolfi.
La vicenda processuale degli autori del ferimento di Adinolfi, condannati nel novembre dello scorso anno a Genova, ha dato ulteriore impulso al dibattito tra le diverse componenti d’area, da tempo impegnate a cercare convergenze sulle differenti modalità di lotta. A livello internazionale, alcune di esse hanno apertamente «reso omaggio» agli attivisti italiani con interventi e documenti ad essi dedicati, in particolare in Grecia, dove la strategia della Fai/Fri è stata rilanciata dalla campagna denominata «Progetto Fenice». L’offensiva è stata avviata proprio dal gruppo ellenico Cospirazione delle Cellule di Fuoco che, dopo un periodo di fermo operativo dovuto all’arresto di numerosi membri, ha annunciato il proprio «ritorno dalle ceneri», compiendo un attentato dinamitardo ai danni dell’automobile della direttrice del carcere di Koradilios.
Nel documento di rivendicazione, intitolato «Progetto Fenice Atto 1° - Libertà agli anarchici della prassi incarcerati in Italia», gli insurrezionalisti greci ricordano, tra l’altro, tutti gli anarchici in carcere, la cui liberazione potrà avvenire «solo con la violenza, le armi, il terrorismo anarchico e l’intensificazione della guerriglia urbana». Il «Progetto Fenice», oltre a confermare la particolare sintonia tra anarchici italiani e greci, ha evidenziato la pronunciata proiezione della «cospirazione internazionale» dell’anarco-insurrezionalismo a firma Fai-Fri, volta a creare una «diffusa rete di nuclei di azione diretta» capaci di agire in maniera sia autonoma che coordinata. Il quadro delineato dai Servizi profila un innalzamento del rischio di iniziative violente anche da parte di «affini» alla Fai-Fri o di altri elementi oltranzisti, sia contro appartenenti alle Forze dell’Ordine, magistrati e addetti alle carceri, sia contro soggetti collegati in qualche modo ad altri fronti di lotta: dall’antimperialismo ai poteri economici e finanziari, dai media di regime al dominio tecnologico e all’industria nucleare con tutte le sue applicazioni.
Nella relazione si evidenzia, altresì, che gli anarchico-insurrezionalisti continuano, inoltre, a svolgere un ruolo trainante nella mobilitazione contro l’Alta Velocità in Val di Susa. Secondo i Servizi, il rischio di salti di qualità nella lotta all’Alta Velocità resta collegato soprattutto a interventi di matrice anarco-insurrezionalista. Emblematico al riguardo è stato l’arresto il 9 dicembre scorso, di quattro militanti anarchici per l’assalto al cantiere di Chiomonte (TO) avvenuto nella notte tra il 13 e il 14 maggio 2013, con l’accusa di attentato con finalità di terrorismo con ordigni micidiali ed esplosivi, detenzione di armi da guerra e danneggiamento. Tuttavia, il 6 dicembre scorso la Corte Suprema di Cassazione ha annullato con rinvio l’ordinanza con cui il Tribunale del Riesame di Torino aveva confermato l’arresto dei quattro con l’accusa di terrorismo.
Il nuovo processo di appello prenderà il via dopo che saranno depositate le motivazioni della Cassazione, che ha ritenuto che si debba riesaminare l’accusa di terrorismo usata per la prima volta contro gli attivisti no TAV. Si dovrà attendere il deposito della motivazione per capire perché è stato disposto tale annullamento. Sta di fatto che il Tribunale del Riesame di Torino, che aveva ritenuto l’assalto al cantiere «connotato da un’organizzazione strategica assimilabile a quella militare», e dunque di portata tale da porre in grave pericolo la vita e l’incolumità dei lavoratori, nonché idoneo ad arrecare un grave danno al Paese, dovrà ora rivalutare di nuovo la questione alla luce delle indicazioni fornite dalla Cassazione.   

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