Il nostro sito usa i cookie per poterti offrire una migliore esperienza di navigazione. I cookie che usiamo ci permettono di conteggiare le visite in modo anonimo e non ci permettono in alcun modo di identificarti direttamente. Clicca su OK per chiudere questa informativa, oppure approfondisci cliccando su "Cookie policy completa".

fisco italiano, una corsa ad ostacoli

PIERO MANCUSI studio santoro-mancusi

Mentre i Governi di turno giuravano di voler semplificare, il Parlamento approvava leggi che complicavano sempre di più la vita ai contribuenti. Le riforme che i Governi promettevano per semplificare il rapporto con l’Erario hanno creato altri labirinti. Nel giugno del 2008 Silvio Berlusconi annunciava una «semplificazione storica per imprese e cittadini»; Mario Monti prometteva di migliorare la qualità della vita dei contribuenti; Enrico Letta affermava di avere un piano specifico per la semplificazione del lavoro e della fiscalità. Sei anni di promesse non mantenute. Per ogni regola che dovrebbe rendere le procedure fiscali più semplici ne spuntavano 5 o 6 che peggioravano l’impatto burocratico e rendevano il rapporto fisco-imprese-cittadini più tortuoso.
L’ufficio Studi della Confartigianato ha concluso che negli ultimi sei anni è stata emanata o modificata una norma a settimana, per cui dobbiamo affrontare un fisco sempre più complicato e ostile. Fra il 2005 e il 2014 le entrate tributarie sono aumentate nominalmente del 21,1 per cento, quasi il doppio rispetto all’andamento del prodotto interno. Sulla base degli indicatori della Banca Mondiale, la somma delle tasse nazionali e territoriali ha raggiunto una pressione del 65,8 per cento. Con una spesa pubblica in crescita inarrestabile e una crescita economica inesistente, sarebbe stata necessaria una ben diversa politica fiscale.
Ciò non agevola il contribuente né la legislazione nazionale, che non brilla per chiarezza e trasparenza, né gli orientamenti giurisprudenziali in materia che appaiono eccessivamente evolutivi e oscillanti. Valga per tutte il dibattito giuridico accesosi dopo una serie di sentenze della Corte di Cassazione a Sezioni Unite (n. 30055, 30056 e 30057 del 2008) che ha introdotto i principi dell’abuso del diritto in materia di elusione fiscale. Secondo la Corte di Cassazione esiste un principio generale, non scritto, volto a contrastare le pratiche fiscalmente elusive, definite «abuso del diritto».
Il concetto di abuso del diritto nel settore tributario, nel corso degli anni, ha subito un processo evolutivo spesso contraddittorio e fumoso prima di arrivare alle su indicate pronunce di legittimità. L’intervento legislativo nel corso degli anni si è sviluppato attraverso l’articolo 10 comma 1 della legge n. 408 del 29 dicembre 1990 e l’articolo 37 bis comma 1 del decreto presidenziale n. 600 del 29 settembre 1979, inserito nel decreto legislativo n. 358 dell’8 dicembre 1997.
Il legislatore in pratica ha previsto come scopo illegittimo ogni operazione che abbia come fine esclusivo quello di ottenere fraudolentemente un risparmio di imposta. Su tale filone si è inserita una vasta e talvolta contraddittoria giurisprudenza sia nazionale che comunitaria. È opportuno segnalare che, pur essendo la materia dell’imposizione diretta attribuita alle competenze degli Stati membri, gli stessi sono comunque vincolati al rispetto dei principi fondamentali del diritto comunitario.
In definitiva si possono trarre i seguenti principi per individuare l’abuso del diritto nel campo tributario: esiste un principio generale non scritto volto a contrastare le pratiche compiute essenzialmente per il conseguimento di un vantaggio fiscale; il soggetto che utilizza forme giuridiche non usuali deve dimostrare l’esistenza di seri contenuti economici nell’operazione aziendale adottata. La lotta all’evasione fiscale e quindi l’abuso del diritto deve però trovare un limite nell’articolo 41 della Costituzione che tutela la libertà economica, e nel principio di stretta legalità e tipicità in ambito penale.
Pare questa la ratio sottostante alla recente sentenza della Cassazione (Sez. III penale n. 15186 del 2014) che ha accolto il ricorso di un contribuente italiano reo di aver acquistato un veicolo in Italia avendolo fatto importare prima in Danimarca, ove vi è un regime impositivo più mite. La Cassazione, nella sentenza citata, ha affermato, a nostro avviso a ragione, che, non essendo stata violata alcuna specifica norma fiscale, il contribuente non può nemmeno soggiacere ad alcuna sanzione di tipo penale.
Ci preme segnalare che il tema dell’abuso del diritto è stato affrontato con la sentenza n. 685 del 29 dicembre 2013 dalla Corte costituzionale francese, la quale ha affermato che, per il rispetto dei principi costituzionalmente rilevanti, di piena conoscibilità e accessibilità delle leggi, è escluso ogni margine di apprezzamento all’Amministrazione finanziaria, imponendo al legislatore l’adozione di leggi precise e non equivoche. Da noi molti credono che il ricorso a norme tributarie volte ad attenuare l’impatto fiscale degli atti e dei negozi giuridici equivale ad incoraggiare l’evasione fiscale creando falsi miti e determinando la fine della certezza del diritto tributario.
Invece non avere parametri legislativi e giurisprudenziali certi, crea inquietudine agli operatori economici nazionali e stranieri, rendendo più difficili e problematiche le operazioni commerciali. Il problema dell’economia italiana è la difficoltà di stimolare investimenti esteri, ed infatti nel 2013 il Censis ha accertato che sono entrati in Italia 12,4 miliardi di euro con un calo del 58 per cento rispetto al 2007, e ciò deriva anche dalla mancanza di un sistema giuridico, legislativo e giurisprudenziale omogeneo, in cui ci sia certezza tra il confine del lecito e dell’illecito in materia fiscale.
Sotto tale profilo il principio dell’«abuso del diritto», che è una costruzione della giurisprudenza, non aiuta ad aprire scenari positivi per il nostro Paese. L’obiettivo della certezza del delitto fiscale si può raggiungere attraverso processi che, in modo trasparente e rispettando le regole della concorrenza, prevedano una «tax ruling», consentano un accordo tra Stato e contribuente che preveda come una data operazione di business verrà tassata.
In questo ambito già si muovono alcuni Paesi europei, senza attribuire alle società condizioni di vantaggio o benefici fiscali, che sarebbero in violazione dei principi comunitari degli aiuti di Stato, ma che soddisfano l’esigenza delle imprese di avere regole certe e predeterminate in materia fiscale.   

Tags: Luglio Agosto 2014

© 2017 Ciuffa Editore - Via Rasella 139, 00187 - Roma. Direttore responsabile: Romina Ciuffa