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Il clamoroso silenzio sceso sui debiti degli enti locali

Avv. PIERO MANCUSI

In momenti di crisi finanziaria sono stati adottati alcuni strumenti, in maniera creativa cosiddetti derivati, i quali, essendo strumenti finanziari complessi aventi un’enorme diffusione sui mercati dei capitali, hanno finito per acquisire un ruolo di assoluta centralità nell’intera economia globale, consolidatosi nei primi anni dopo il 2000. I derivati non sono titoli muniti di un proprio valore intrinseco, bensì derivano il loro valore da altri prodotti finanziari, pertanto sono strumenti ad alto rischio.
Il derivato può essere utilizzato per coprire un rischio finanziario e per finalità di speculazione. In sostanza, i derivati sono solo una scommessa basata su diverse ipotesi previsionali, sull’andamento futuro di un particolare indice di prezzi, ad esempio quotazione di titoli, tassi di interesse, tassi di cambio tra diverse valute, prezzi di merci o materie prime. La conseguenza è che, se l’operazione sottostante va male, per gli scommettitori aumenta il rischio finanziario. In concreto non può negarsi che sui mercati finanziari i derivati si siano affermati soprattutto quale mezzo di speculazione.
Dalla fine degli anni 90, numerosi enti pubblici italiani hanno sottoscritto tali strumenti finanziari e sono stati al centro dell’attenzione non solo della stampa ma anche della magistratura, in particolare i cosiddetti  swap, venduti ai clienti al di fuori dei mercati regolamentati. Proprio perché prodotti altamente sofisticati, era necessario che il sottoscrittore possedesse competenze specifiche per comprendere se erano affidabili o se contenevano un’incognita pericolosa.
Tale considerazione valeva maggiormente quando venivano investite in essi le finanze pubbliche, per cui il Legislatore italiano, a partire dal 2008, ha proibito agli enti pubblici la sottoscrizione di nuovi contratti. Da un’indagine compiuta dalla Banca d’Italia alla fine del 2012 il valore dei derivati degli enti pubblici aveva raggiunto quasi 7 miliardi di euro, con perdite gravanti sul sistema pubblico per oltre 80 miliardi di euro. Peraltro le banche estere sono sempre state molto attive sul mercato italiano.
Amministratori di Regioni, Province e Comuni italiani erano i principali enti sottoscrittori di tali pericolose scommesse che hanno ulteriormente indebitato gli enti stessi. Gli Istituti di credito sono stati accusati di aver lucrato ingenti profitti in commissioni, a causa della scarsa trasparenza e inadeguata informazione ai clienti. Infatti vari giudici italiani, come quelli di Siena, titolari delle varie inchieste sul Monte dei Paschi di Siena nelle quali  si è  molto parlato di due famosi contratti Alexandria e Santorini, e quelli di Milano per la vendita al Comune milanese di prodotti derivati, hanno aperto indagini sulla legittimità di tali condotte. È stata contestata sostanzialmente alla Banca la violazione della normativa di settore o la scarsa correttezza e trasparenza nei confronti dei clienti. Secondo alcuni giudici, infatti, gli ingenti costi celati avrebbero deviato i contratti in questione dalla finalità loro assegnata, che era quella di consentire la ristrutturazione del debito ma che invece, nei fatti, ha determinato un pregiudizio stante la natura rischiosa dei derivati.
Alcune vicende si sono concluse con decisioni favorevoli alle banche, altre con sentenze che dichiarano l’invalidità dei derivati e condannano le banche al risarcimento dei danni, altre ancora con composizioni transattive. Molte controversie sono state incardinate a Londra in base alla normativa finanziaria di riferimento contrattuale, che derogava dalla giurisdizione italiana a favore di quella inglese. Anche tale fattore non favoriva la comprensione del complesso contenuto di tali contratti, i cui effetti si sono rivelati ben diversi dalla finalità di ammortamento del debito.
Sarà interessante capire l’orientamento dei giudici inglesi perché nel diritto anglosassone vige la dottrina del precedente giurisprudenziale vincolante, anche se anche nei Tribunali londinesi si sono già avuti precedenti contrastanti: per esempio uno favorevole alla Provincia di Crotone, l’altro negativo per la Regione Piemonte. 
Ad ogni modo, anche se per molti la soluzione sarebbe quella di vietare del tutto la circolazione di tali prodotti finanziari, bisogna auspicare il varo di una normativa comunitaria che disciplini la materia in maniera chiara e definitiva, e che tuteli i consumatori e il sistema bancario, risolvendo l’incertezza derivante dalle diverse interpretazioni ermeneutiche fatte proprie dai Giudici nazionali e internazionali.
  In un opuscolo edito nel 2010 dalla Ciuffa Editore, editrice di Specchio Economico, il presidente di Sezione della Corte dei Conti Mario Sancetta scriveva: «Nessuna autorità è in grado di compiere un’esatta quantificazione dell’indebitamento degli enti pubblici relativamente ai prodotti derivati». E dichiarava necessario un recupero di razionalità del sistema rivalutando controlli preventivi che garantissero effettivamente il rispetto dei vincoli finanziari cui sono soggetti le Amministrazioni locali.
Ma poi, intervenuta la crisi economica, invece di attuare queste indicazioni ancor più necessarie ed anzi indispensabili, politici e amministratori responsabili accantonavano il problema, mettevano a tacere ogni voce, facevano calare un silenzio clamoroso sul problema del gigantesco indebitamento degli enti locali, dovuto a vari fattori, ma non ultimo, appunto, l’abbondante acquisto di tali pericolosi e strumentali «derivati».   

Tags: Novembre 2014

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