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socialdemocrazia, l’altra voce dell’europa, un’uscita di sicurezza per l’italia

GIANCARLO LEHNER giornalista, storico, deputato della xvii legislatura

Dal fertile e sofferto cammino intellettuale di Giuseppe Averardi  scaturisce, ora, in perfetta coerenza con la sua precedente produzione saggistica, «Socialdemo-crazia, l’altra voce dell’Europa. Un’uscita di sicurezza per l’Italia», con prefazione di Franco Ferrarotti. Averardi si augura che l’Europa possa uscire dalla crisi economica, sociale e politica di questi anni attraverso il recupero dei parametri della socialdemocrazia e del liberalsocialismo. In questo Averardi mi sembra, però, assai ottimista. Per quanto riguarda l’Italia, infatti, il sole dell’avvenire del socialismo democratico è tramontato, probabilmente per sempre, dal momento della demonizzazione politica e morale di Bettino Craxi, che cercò di adeguare il riformismo socialista, affrancandolo dalla subalternità al Pci e dai ricatti del pansindacalismo.
La caduta di Craxi e della sua incoercibile fedeltà all’idea di nazione,  insieme alla distruzione della parte migliore della Dc, fra l’altro favorì un insanabile squilibrio istituzionale, la progressiva perdita della sovranità nazionale, la fine del primato della politica e della sua autonomia rispetto al potere finanziario nazionale e globale. Del resto, anche riguardo alle drammatiche asimmetrie generate dall’Unione Europea, Craxi, profeta inascoltato e criminalizzato, raccomandò, invano, di rivedere gli accordi di Maastricht: «Alle condizioni attuali–disse–, dal quadro dei vincoli così come sono stati definiti, ad aspettare l’Italia non c’è affatto un Paradiso terrestre. Senza una nuova trattativa e senza una definizione di nuove condizioni, l’Italia nella migliore delle ipotesi finirà in un limbo, ma nelle peggiori andrà all’inferno».
Il saggio di Averardi si fa apprezzare anche nella sezione nella quale ricostruisce, con sapiente acribìa, la storia del Welfare State, a cominciare dalle prime assicurazioni a vantaggio dei lavoratori di fine dell’Ottocento, su malattia, infortuni, invalidità e vecchiaia. In parallelo, Averardi rivisita in maniera puntuale i grandi pensatori marxisti, da Karl Kautsky ad Eduard Bernstein, denotando una conoscenza profonda dell’itinerario ideologico del marxismo ortodosso, subito confliggente con l’interpretazione forzata e la vocazione idealistico-volontaristica di Lenin e Trockij, paradossalmente più vicini a Giovanni Gentile che a Carlo Marx.
Kautsky, sprezzantemente definito dall’allievo Lenin «rinnegato», illustra, di contro, la goffaggine e la truffa del pseudo marxismo introdotto dal bolscevismo. «Lo schematismo leniniano–annota Averardi–, nella critica di Kautsky, risulta essere proprio la decomposizione e la degenerazione del marxismo, il cui senso e la cui portata diventano appunto il terrore e la regressione storica verso una metodica barbarie». Di contro alla staticità asiatica, totalitaria, poliziesca, antimoderna del leninismo realizzato, il pensiero del socialismo democratico o liberale ebbe una continua evoluzione, adeguandosi alle conquiste scientifiche, filosofiche e tecnologiche dell’Occidente, sottoponendosi, quindi, ad un felice revisionismo ideale e valoriale, sino alla conquista della irrinunciabilità della centralità della persona, con i tre indispensabili corollari: democrazia, libertà, diritti civili.  Da Kautsky e Bernstein, sino a Turati, Matteotti, Nenni, Saragat, Rosselli, Craxi, le ulteriori condizioni costituenti il socialismo umanitario ed umanistico moderno divennero lo Stato di diritto, le garanzie costituzionali, la tripartizione dei poteri, il libero mercato, sottoposto solo alla direzione politica nel ruolo di garante delle esigenze primarie del popolo.
Insomma, mentre il comunismo promise il paradiso a futura memoria, ma a prezzo dell’inferno illiberale, concentrazionario, cruento, hic et nunc, il socialismo democratico tenne fermo il cammino gradualistico del miglioramento costante delle condizioni di lavoro e di vita dei cittadini. La sola osservazione critica che mi sento di sottoporre all’attenzione di Averardi è come abbia potuto credere alla possibilità che i postcomunisti, attraverso il cammino verso la «Cosa due», intendessero sinceramente approdare alla socialdemocrazia. Basti pensare che, nella miriade di sigle via via riverniciate (Pds, Dc, Pd) dal gruppo dirigente di origine togliattiana manca sistematicamente l’aperto riferimento al socialismo.
Raccomando a tutti e in specie ai più giovani la lettura e, direi, lo studio di «Socialdemocrazia, l’altra voce dell’Europa», per liberarsi definitivamente dai miraggi e dalle sciagurate semplificazioni di quanti, allontanandosi dalla «coscienza critica dei fatti e dei valori», seguitano a propagandare la possibilità che la Storia possa, senza tragedie e crimini contro l’umanità, compiere salti e scorciatoie.   

Tags: Novembre 2014

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