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Eternit tra prescrizioni e riforma dei reati ambientali

Cosimo M. Ferri sottosegretario al Ministero della Giustizia

Il reato di «disastro innominato» previsto dall’articolo 434 del Codice penale, contestato nel caso Eternit, era prescritto già prima che iniziasse il processo: questo è quello che probabilmente dirà la Cassazione. Infatti, il reato si consuma nel momento della «immutatio loci», cioè nel momento in cui si altera l’ambiente creando una situazione di pericolo per la pubblica incolumità. È un reato di pericolo ad effetti permanenti; non è un reato permanente perché nei reati permanenti vi è una protrazione dell’offesa che dipende dalla protrazione della condotta per cui il reo può in qualsiasi momento interrompere condotta e offesa.
Nel caso Eternit la condotta di alterazione dell’ambiente, secondo la Corte di cassazione, si è senz’altro conclusa con la chiusura dello stabilimento di Casale avvenuta nel 1986. Di conseguenza, il reato probabilmente si sarebbe prescritto anche con la normativa in vigore prima della legge Cirielli, a meno che non c’erano aggravanti; con la Cirielli la prescrizione è al massimo di 12+3 anni, con la normativa precedente sarebbe stata al massimo di 15+7,5 anni, ma poteva essere maggiore con circostanze aggravanti e bisogna calcolare bene gli atti interruttivi.
Il punto è che i tempi di latenza - cioè il tempo che intercorre tra l’inizio del processo patologico con il contatto tra il corpo umano e l’agente patogenetico e il momento in cui la malattia si manifesta - sono molto lunghi per il mesotelioma pleurico (20-30 ma anche 40-50 anni), e quindi inevitabilmente le denunce vengono fatte a notevole distanza di tempo dai fatti e, quindi, ad una distanza ancora maggiore iniziano i procedimenti penali.
Se si fosse contestato il reato di omicidio doloso come ora sta facendo la Procura di Torino e se fossero state contestate delle aggravanti, ad esempio l’uso di sostanze venefiche, non ci sarebbero stati problemi di prescrizione, perché per i reati puniti con l’ergastolo la prescrizione non è prevista. Ugualmente, se fosse stato contestato l’omicidio doloso semplice probabilmente non ci sarebbero stati problemi di prescrizione perché la prescrizione decorre dalla morte della parte offesa (idem per omicidio colposo).
Tuttavia, nel caso dell’omicidio, il problema maggiore è quello della prova del nesso di causalità. Questa prova deve essere raggiunta al di là di ogni ragionevole dubbio, il che implica che devono essere compiute approfondite indagini medico-scientifiche e devono essere ripetute per ognuna delle singole vittime. A volte capita che per qualche persona non sono disponibili i dati perché è deceduta senza che fossero prelevati campioni di tessuto polmonare e, a distanza di anni, il cadavere si è già decomposto, o vi sono persone ancora in vita ma alcune indagini mediche non possono compiersi perché troppo invasive. Oppure può capitare che una persona, oltre ad essere stata esposta all’amianto, sia stata anche un fumatore, il che può determinare il dubbio che il tumore sia stato causato dall’amianto o dal fumo di sigaretta.
Oltre alla questione del nesso di causalità, sul piano della prova nei processi penali altri problemi - in parte risolti dalla giurisprudenza - riguardano il fatto che, all’epoca dei fatti, non esistevano mascherine (o altri mezzi protettivi) per la polvere di amianto idonee a proteggere in maniera assoluta dal rischio di tumore; l’uso dell’amianto è stato espressamente vietato da una legge solamente all’inizio degli anni 90, prima era considerato nocivo per la salute ma il suo uso era lecito. Era noto che l’amianto causava alcune patologie non gravissime come l’asbestosi, ma non era molto diffusa la conoscenza del suo effetto cancerogeno.
Sembra che la Eternit l’avesse comunicato agli operai alla fine degli anni 70, ma allora in questo caso si potrebbe porre anche un problema di consenso delle vittime; vi sono due diverse teorie scientifiche, ugualmente accreditate, su come si innesca il mesotelioma. Per una basta solo un unico contatto con la polvere di amianto, e quelli successivi sono irrilevanti; per un’altra quelli successivi aggravano e accelerano la malattia, con conseguenti diversi effetti processuali sia sul piano della prova dell’elemento psicologico perché in passato non era noto l’effetto cancerogeno, sia sul piano dell’individuazione dei soggetti responsabili, se più persone si sono succedute nel tempo nella gestione di una fabbrica.
Diverso sarebbe stato il discorso se si fossero intentate delle cause in sede civile. Mentre nel penale tutti gli aspetti del fatto illecito devono essere provati oltre ogni ragionevole dubbio, nel civile le regole sulla prova sono differenti da quelle del penale e perciò è più facile arrivare a considerare provato un determinato fatto illecito. Le norme sulla prova spesso pongono a carico di chi esercita determinate attività o gestisce determinati beni l’onere di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare danni ad altre persone, per cui, se non lo prova, sussiste la sua responsabilità.
Il disegno di legge n. 1345-S sui delitti ambientali, approvato lo scorso febbraio dalla Camera e ora all’esame della Commissione Giustizia del Senato con termine per la presentazione di emendamenti al 24 novembre scorso, prevede, tra l’altro, il nuovo delitto di disastro ambientale (articolo 452-ter) che punisce con la reclusione da 5 a 15 anni chiunque, in violazione della normativa (disposizioni legislative, regolamentari o amministrative) a tutela dell’ambiente, cagiona un disastro ambientale. Il testo provvede anche a codificare la nozione di disastro ambientale, specificando che tale deve considerarsi l’alterazione irreversibile dell’equilibrio dell’ecosistema o quell’alterazione dell’equilibrio dell’ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali, o l’offesa all’incolumità pubblica ricavabile dalla rilevanza oggettiva dell’evento a sua volta desumibile dall’estensione della compromissione o dal numero di persone offese o esposte a pericolo. Il disegno di legge inoltre stabilisce il raddoppio dei termini di prescrizione (per cui la prescrizione diventerebbe di 15 anni + 1/4 + raddoppio). Prevede anche la responsabilità delle persone giuridiche, la confisca anche per equivalente, l’incapacità a contrattare con la Pubblica Amministrazione e in sentenza l’ordine di ripristino dello status quo ante.   

Tags: Dicembre 2014

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