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le fonti di finanziamento dell’isis

ANTONIO MARINI

Nel panorama del terrorismo internazionale lo Stato islamico, alias Isis, è oggi indubbiamente l'organizzazione terroristica più ricca e potente del mondo. La sua ricchezza è stimata in due miliardi di dollari. In confronto al Qaeda è «povera» con solo 150 milioni di dollari di fatturato annuo. Da dove viene questo fiume di denaro? Dal petrolio prima di tutto. Nei territori occupati in Irak e Siria, oggi sotto il suo controllo, il nuovo network del terrore dispone, infatti, di numerosi giacimenti petroliferi e di altro.
Ogni giorno dal contrabbando di greggio entrano nelle casse dello Stato islamico due milioni di dollari, che in un anno sono quasi 800 milioni. È questa l'ultima stima contenuta in un rapporto elaborato dall’americana IHS, basata a Englewod nel Colorado, secondo cui la capacità produttiva in mano ai terroristi dell'Isis tra Irak e Siria sarebbe ormai di 350 mila barili al giorno. Questa montagna di denaro viene utilizzata non solo per le operazioni militari e per il reclutamento dei miliziani jihadisti, che risultano essere meglio pagati dei ribelli siriani moderati o dei militari professionisti, sia iracheni che siriani, ma anche per forgiare alleanze con le tribù locali e per fare andare avanti i servizi nei territori che si trovano sotto il suo controllo.
Ciò gli permette di beneficiare di una migliore coesione interna rispetto a qualsiasi nemico statale o non statale che sia. A quanto pare, i raid aerei della coalizione occidentale, se da una parte hanno impedito ai suoi miliziani di avanzare militarmente alla conquista di altri territori, dall'altra si sono rivelati poco efficaci contro le raffinerie e i pozzi da essi controllati. Non è infatti facile colpire le raffinerie «modulari», impianti che possono essere montati e smontati, a volte caricati su camion, a seconda delle esigenze.
Il greggio viene poi rivenduto nel mercato nero a prezzi davvero concorrenziali, con sconti del 40-70 per cento, attraverso vecchie reti commerciali sulle quali le autorità curde, turche e giordane non riescono ad esercitare il proprio controllo. Tra gli acquirenti «paradossalmente» sarebbero anche alcuni esponenti del regime di Damasco. Come mostra una mappa risalente al 2006 trovata da Aaron Zelin, ricercatore del Washington Institute for Near East Policy, non si può dire che questa organizzazione terroristica sia priva di una strategia economica precisa: già vari anni fa aveva pensato a come sfruttare i giacimenti petroliferi per sostenersi finanziariamente.
Oltre al petrolio, che è indubbiamente la fonte principale, un'altra fonte di finanziamento è rappresentata dalla vendita illegale in Turchia delle antichità nazionali, con un ricavato di centinaia di milioni di dollari. Altri milioni provengono dai traffici di esseri umani, soprattutto donne e bambini. Altri ancora da estorsioni e riscatti per gli ostaggi rapiti e dai saccheggi delle città occupate.
Nel prodotto interno del terrore rientrano anche i proventi delle spettacolari rapine, come quella alla Banca di Mosul che ha fruttato ai terroristi dell'Isis circa 420 milioni di dollari. Sempre a Mosul, dal controllo della più grande diga irachena i terroristi starebbero ricavando 8 milioni di dollari al mese.
Come si vede, un modo estremamente efficace per convertire il controllo del territorio in una fonte di reddito. Ma il fatto più importante è che nei territori occupati l'Isis sta cercando di costruire un embrione di Stato, dopo che il suo leader carismatico, Abu Bakr al Baghdadi, ha unilateralmente proclamato la restaurazione del Califfato islamico, amministrato secondo i dettami della Sharia, che si sta insinuando man mano in ogni aspetto della vita sociale e politica di quella regione.
Nulla sfugge al controllo dei terroristi, i quali riescono a beneficiare anche di finanziamenti esterni, come quelli provenienti da alcuni benefattori e cittadini dei Paesi arabi del Golfo Persico, che spesso usano le legislazioni piuttosto morbide vigenti in tali Paesi per fare arrivare il denaro in Siria a chi combatte contro il regime sciita di Bashar al Assad. Da un rapporto del Brookings Institute si evince che nel Golfo sono fiorite moltissime associazioni di raccolta di fondi per i combattenti in Siria contro il regime di Damasco. Attivissime in Rete, sono state capaci di mobilitare gli utenti sui «social» usando video e foto dei massacri del regime per aumentare l'efficacia della raccolta dei fondi, compensando i sostenitori come nelle più innovative campagne di crowdfunding.
Ad esempio la campagna «Finanziamo la Jihad con i nostri soldi» ha premiato, con lo status di sostenitore d'argento, chi donava 175 dollari per comprare 50 proiettili di mitragliatrice, e di sostenitore d'oro per chi ne offriva 350, finanziando l'acquisto di otto colpi di mortaio. Secondo uno studio del Wanshington Institute, il Paese da cui provengono i maggiori finanziamenti è il Kuwait, seguito da Qatar e Arabia Saudita. I Governi di questi tre Paesi, comunque, si sono schierati a favore della grande coalizione guidata dagli Stati Uniti. I sauditi hanno anche partecipato ai recenti attacchi aerei in Siria, mentre il Qatar ha appena approvato una legge che vieta donazioni all'Isis. La situazione è resa ancora più complicata dal sistema articolato di «governo» che i miliziani dell'Isis hanno messo in piedi nei territori caduti sotto il loro controllo, che include una struttura sociale simile a quella che hanno creato Hamas nella striscia di Gaza ed Hezbollah nel Sud Libano.
Questo sistema a suo modo fornisce servizi alla popolazione. Il risultato è che differenziare i finanziamenti al terrorismo da quelli per il sostegno alla popolazione colpita dalla guerra civile in Siria non è facile. I finanziamenti arrivano anche dall'Italia, come dimostra un'indagine della Procura di Milano nel corso della quale si è scoperta una maxi-operazione di riciclaggio di denaro. Partendo dalla denuncia di un commercialista, si è potuto accertare che un’associazione anglo-pakistana e una franco-israeliana stavano acquistando certificati «carbon credit» con transazioni intracomunitarie, quindi escluse dal pagamento dell'Iva, attraverso società fittizie con sede in Italia, le quali producevano fatture intestate a prestanome cinesi.
A queste aggiungevano il 20 per cento dell'Iva e le vendevano ad altre società, pure queste fittizie, le quali funzionavano da intermediari con acquirenti finali. Grazie a questo stratagemma sono riusciti ad incassare Iva che, invece di essere versata, veniva fatta sparire assieme alla società fittizia. Questi soldi, oltre un miliardo di euro, venivano poi riciclati in diamanti e investimenti immobiliari, un canale per finanziare il terrorismo internazionale di matrice islamica. Operazioni simili a favore dei jihadisti sono state perpetrate in tutta Europa, come hanno dimostrato le varie investigazioni attivate in molti paesi europei.
Comunque, a differenza di altri gruppi islamisti che combattono in Siria, l'Isis non ha bisogno per la propria sopravvivenza di questi finanziamenti esterni. Come si è visto, nei territori sottoposti al proprio controllo militare ha infatti istituito una sorta di Stato, grande approssimativamente come il Belgio, che amministra con un’economia autosufficiente, alimentata principalmente dal contrabbando del petrolio. Circostanza questa che ci presenta un'immagine completamente nuova della capacità di autofinanziarsi di questa organizzazione terroristica, un tempo affiliata ad Al Qaeda, dipendente come questa da finanziamenti provenienti soprattutto dai Paesi arabi del Golfo e, più in generale, dal mondo musulmano.
In effetti il sistema di finanziamento dei gruppi terroristi non è più lo stesso dei tempi di Osama bin Laden. Dopo l'attentato dell'11 settembre 2001, gli Stati Uniti e i loro alleati riuscirono a smantellare il sistema di finanziamento usato da Al Qaeda, basato soprattutto su donazioni esterne. Lo stesso Bin Laden si lamentò ad un certo punto della mancanza di fondi nelle casse dell'organizzazione, in seguito all’introduzione della normativa internazionale e nazionale relativa al congelamento e alla confisca dei beni delle persone sospettate di finanziare il terrorismo. Da allora la situazione per Al Qaeda e specialmente per i suoi gruppi affiliati, ha cominciato a cambiare: oggi, come si è visto, i nuovi sistemi di finanziamento si basano sempre più su fondi raccolti localmente e meno su finanziamenti esterni, che comunque sono ancora presenti.
Oggi quasi tutti i gruppi terroristici ricavano le proprie entrate soprattutto dai rapimenti e dalle successive richieste di riscatti, nonché da vari traffici illeciti illegali che garantiscono un profitto di decine di milioni di dollari. Un sistema simile, come si è visto, è stato quindi adottato anche dall'Isis, ma con risultati notevolmente superiori. Dalla città siriana di al-Raqqa, ora considerata la capitale dello Stato islamico, alla città irachena di Mosul i jihadisti dell'Isis gestiscono, altresì, un sistema di pagamento di tributi nei confronti delle imprese e degli agricoltori, accompagnata dal pagamento di un'imposta sui trasporti pubblici e dall'imposizione di una sorta di «pizzo» sulle comunità cristiane ed anche su altre minoranze religiose presenti nell'area.
Come si vede, una strategia di finanziamento locale che ricorda quanto accadeva in Iraq con Al Qaeda, quando nessuno poteva eseguire una semplice transazione senza pagare un tributo. Peraltro, per conservare il proprio appeal presso i donatori del Golfo e gli altri centri di finanziamento sparsi nei 5 continenti, prendendo come si è visto a modello realtà storiche e radicate territorialmente come Hamas in Palestina e Hezbollah in Libano, l'Isis ha cominciato ad intercalare le azioni militari e quelle estorsive nei confronti della popolazione con iniziative di tipo umanitario in favore delle vittime civili del conflitto, instaurando una sorta di Welfare, all'interno dei territori occupati, che da una parte facilita i rapporti dei miliziani con le popolazioni assoggettate al loro controllo, dall'altra consente di usufruire dei flussi di donazioni provenienti ancora dai Paesi del Golfo per motivi umanitari. In pratica l'Isis è riuscito a massimizzare al massimo ciò che gli ha offerto la guerra civile in Siria. E per dimostrare la propria potenza e forza economica lo Stato islamico ha manifestato l'intenzione di reintrodurre il dinaro d'oro, moneta degli albori dell'Islam, che andrà a sostituire il dinaro iracheno e la lira siriana nei territori occupati e sottoposti al suo controllo. Insomma, l'Isis batterà moneta come un vero Stato.
Per quanto concerne la difficoltà di tagliargli i finanziamenti, non si può fare a meno di rilevare che irrisorio è stato il primo tentativo da parte della comunità internazionale rivolto ad arginare le fonti di sostentamento di questa pericolosa organizzazione terroristica, consistito nell'inserimento nell'elenco delle sanzioni delle Nazioni Unite di sei cittadini coinvolti nelle attività di reclutamento e finanziamento per suo conto e nel conseguente divieto di spostamento dei beni.
Certo è che le misure volte ad interrompere il meccanismo economico che alimenta lo Stato islamico dovranno essere sviluppate in maniera precisa, pesando il potenziale effetto che potrebbero avere sulle popolazioni locali. Esse perciò dovranno essere calibrate in modo da interrompere o limitare i flussi di finanziamenti, rispettando i bisogni umanitari delle persone che soffrono sotto il suo controllo.    

Tags: Dicembre 2014 Antonio Marini

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