FERROVIE: UNA PRIVATIZZAZIONE AVVOLTA NELLA NEBBIA
Le privatizzazioni in Italia sono state un percorso ad ostacoli irto di fallimenti e di incognite nel quale, profuse a piene mani, si sono intrecciate operazioni finanziarie poco trasparenti, improntate a logiche di appartenenza o di utilità per le più disparate lobbies. La letteratura è ricca di retroscena tanto affascinanti quanto ipotetici. Una sola, sino ad oggi, la certezza: lo Stato quasi mai ne ha tratto vantaggio né dal punto di vista economico, né tanto meno da quello della competitività. La «vulgata» giornalistica ci ha lasciato in eredità la crociera del Britannia con l’autorevole partecipazione di Mario Draghi, allora direttore generale del Tesoro. Uno scenario privo di conferme, ma altrettanto di smentite.
Alienare i pezzi pregiati del patrimonio pubblico italiano per rendere più efficienti e competitive le imprese nazionali e ridurre, con i profitti ottenuti, l’immane debito pubblico è un assunto sul quale convergono economisti, Governi, addetti del settore, non ultimo il sindacato. Passare dall’enunciazione di principio ai fatti è un itinerario impervio, sino ad oggi assai parco nei risultati finali. Tutto ciò non ha fatto venire meno l’esigenza, ed anche il Governo Renzi, con un novismo di maniera, ha previsto una tornata di privatizzazioni e metterne a bilancio gli effetti è un punto qualificante, un vanto politico, forse una necessità economica.
La moda di privatizzare prima ancora di conoscere, di scegliere una strategia, condivisibile nella teoria ma tutta da dimostrare nella prassi, ha portato l’Italia a mettere in campo gli ultimi gioielli della corona. Investe, infatti, le Poste, le Ferrovie, una ulteriore quota dell’Enel. Un percorso già tracciato dal Governo Letta, seguito senza dubbi, né esitazioni, dall’attuale ministro dell’Economia Giancarlo Padoan. La difficoltà di portare a compimento un disegno equilibrato di privatizzazione è resa evidente dal prolungarsi dei tempi, rispetto ai tanti annunci susseguitisi mese dopo mese. Segna il passo la privatizzazione di Poste sotto la spinta del nuovo amministratore delegato Francesco Caio, impegnato a meglio definirne i confini. Progetto ancor più avvolto nelle nebbie è quello delle Ferrovie dello Stato. Il cambio al vertice deciso nella primavera scorsa ha visto l’uscita dell’incontrastato dominus delle ferrovie Mauro Moretti, approdato, con grande soddisfazione, ai vertici di Finmeccanica, una delle aziende leader italiane da rimettere in sesto. Il governo delle FS è stato affidato all’economista Marcello Messori e all’amministratore delegato Michele Mario Elia, un ferroviere di lungo corso con una quarantennale esperienza di gestione del settore.
Il processo di privatizzazione, nonostante i reciproci meriti e la professionalità del duo di vertice, è apparso subito farraginoso e ricco di ostacoli, tant’è che il presidente Messori si è trovato nell’autunno scorso a rimettere le deleghe specifiche sulla privatizzazione, probabilmente perché, sostengono i ben informati, le sue proposte non collimavano con i progetti del Ministero dell’Economia.
Le notizie, sino ad oggi, sono frammentarie ed ovattate. Filtrano con grande difficoltà dal piano nobile di Via XX Settembre, coinvolgono una ristrettissima cerchia di addetti ai lavori e sembrano denotare linee di pensiero eminentemente tecnico economiche, distanti da una valutazione di merito dell’asset strategico legato all’infrastruttura ferroviaria, alla mobilità e alla logistica, elementi determinanti per la competitività dell’intero sistema socio produttivo italiano.
Pochi i punti fermi, vediamo di ricapitolarli. L’azionista Mef (Ministero dell’Economia e delle Finanze) ha dato incarico alla Bofa Merryll Lynch, nella qualità di advisor, di individuare le opzioni più efficaci per la quotazione o il collocamento presso investitori istituzionali di circa il 40 per cento del gruppo FS. L’advisor legale dell’operazione sarà Cleary Gottlieb. Quello industriale verrà scelto dalle FS. La task force interministeriale che governerà l’intero processo di privatizzazione è composta dall’ad delle FS Michele Elia e dal presidente Marcello Messori, dal responsabile della segreteria tecnica del Ministero dell’Economia Fabrizio Pagani, che dipende direttamente al ministro Padoan, dal responsabile Finanza Francesco Parlato, nonché da Alessandra Dal Verme, ispettore capo per gli Affari economici della Ragioneria dello Stato.
Il disegno di privatizzazione delle FS appare delicato, ricco di interrogativi, destinato a suscitare da un lato preoccupazioni, dall’altro grandi interessi, più per il valore patrimoniale dei ricchi asset di cui dispone che per la redditività economica della gestione industriale. La holding di Piazza della Croce Rossa è una società dal voluminoso valore patrimoniale, viene da una storia ultra secolare, è approdata da pochi anni all’utile, resta fondamentale per la mobilità integrata del sistema Paese. Non sarà facile sciogliere, in un sol colpo, questo reticolo di implicazioni. Comunque, l’operazione è destinata a suscitare polemiche e forse a produrre frutti avvelenati per cittadini e lavoratori, prima ancora che per gli azionisti. Le ferrovie, al di là del loro assetto societario, rappresentano un bene strategico per il Paese ed una risorsa per tutti gli italiani. Occorre grande prudenza, lungimiranza di disegno ed effettiva redditività per mettere mano ad una società che, pur in una stagione di gravissima crisi economica, è riuscita a vincere la sfida della competitività, fregiandosi, nel caso specifico dell’alta velocità, del primato mondiale assoluto: garantire la concorrenza tra due operatori, uno pubblico e l’altro privato sulla propria rete. Lo scorporo presumibile della rete ferroviaria riguarderà quella tradizionale in quanto i circa 1000 chilometri di linea ad alta velocità resteranno a FS poiché costruiti dagli anni 90 in poi, quando le ferrovie erano già trasformate in spa.
Le notizie che si rimpallano da fine 2014 evidenziano un Governo promotore e forte sostenitore della privatizzazione delle Ferrovie dello Stato. I temi caldi da sciogliere sono da una parte il rapporto con RFI (la controllata che gestisce la rete), che andrà disciplinato in modo tale da assicurare l’accesso agli altri operatori e da garantire la remunerazione degli investimenti che verranno messi in campo, dall’altro il versante Trenitalia con i vari contratti (dalla lunga percorrenza sino a tutta la partita del trasporto locale). La rete ferroviaria, inoltre, è un nodo che andrà affrontato a monte dell’operazione: si parla di scorporare la proprietà della stessa, riportandola in capo allo Stato, magari attraverso uno spin off, e di lasciare a RFI la titolarità della concessione. Sul tema il ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi ha ribadito che l’opzione numero uno resta quella della quotazione. L’ipotesi citata dal ministro è quella del collocamento sul mercato del 40 per cento della holding e non di singole parti, come pure si era ventilato nei mesi scorsi.
Per Lupi una cosa è certa: l’operazione di privatizzazione «dovrà sempre tener presente che le Ferrovie sono un asset strategico del Paese». «Noi–ha detto Lupi–siamo aperti al mercato e dovremo stare molto attenti a quello che attiene alla rete e alla sua gestione e all’erogazione dei servizi. È una grande opportunità in cui FS, Ministeri delle Infrastrutture e dell’Economia insieme ragionano rispetto all’obiettivo. D’altra parte un altro obiettivo che abbiamo è quello di ridurre il debito pubblico e possiamo farlo solo attraverso le dismissioni e le privatizzazioni».
Poche parole invece da parte dell’amministratore delegato delle FS Michele Elia, impegnato a mantenere alta la bandiera delle ferrovie, con il massimo rispetto verso l’azionista Ministero: «Occorre definire il quadro regolatorio, lavorando in parallelo sulla chiarezza delle presentazione del gruppo agli eventuali investitori. Il 2015 sarà l’anno in cui si lavorerà duramente per mettere a punto tutto questo e nel primo semestre del 2016 si concluderà di fatto la privatizzazione».
Grande cautela si respira al piano nobile di Via XX Settembre in merito al dossier FS. È in dirittura d’arrivo la short list di banche per definire il consorzio di collocamento del pacchetto azionario di minoranza della società ferroviaria. Il progetto è ancora da definire nelle sue linee operative. Indiscrezioni riferiscono di una quotazione che sarebbe resa possibile da una riduzione del 40 per cento del capitale della holding, attraverso lo scorporo della rete convenzionale che ha un valore di circa 35 miliardi di euro. Sarà necessario, per procedere su questa linea, un advisor industriale scelto dalle ferrovie attraverso un bando internazionale per definire il percorso societario e commerciale necessario per una apertura ai privati del gruppo FS. Questo fa pensare a tempi ragionevolmente più lunghi di quelli preventivati. La procedura non dovrebbe chiudersi prima della fine del 2016.
Questa scelta, diversa da altre ipotizzate in precedenza anche dal presidente delle ferrovie Messori e già accantonate, suscita perplessità e interrogativi perché appare legata ad un modello di stretta osservanza tecnico economica, forse non del tutto idoneo ad un mercato particolare come quello del trasporto ferroviario. La necessità è ridurre il patrimonio complessivo dell’impresa FS in modo tale che il capitale venga meglio remunerato e quindi le ferrovie siano più appetibili da parte degli investitori, sia che si scelga di operare in borsa o un collocamento privato o addirittura con un mix di entrambe le soluzioni. Altro elemento per ridurre il patrimonio ipotizza la cessione delle attività commerciali di Grandi Stazioni, nonché la valorizzazione degli immobili attraverso joint venture o conferimento a specifici fondi. Le linee progettuali sin qui conosciute, rispetto alle quali è d’obbligo la massima prudenza, ridefiniscono in modo estremamente incisivo ruolo, confini e asset del gruppo FS. RFI, l’attuale società che gestisce la rete affidatale dalla costituzione in società per azioni delle FS, si ritroverebbe ad essere esclusivamente il gestore dell’infrastruttura e della sua manutenzione, attraverso un contratto di servizio completamente da scrivere. In altri termini, le ferrovie da proprietarie di beni consistenti diverrebbero solo gestori, perdendo sia capacità operative, sia un punto di forza decisivo sul quale sino ad oggi si è puntato per conseguire il rilancio delle FS e per garantire gli investimenti in autofinanziamento, che l’allora amministratore delegato del gruppo, Mauro Moretti ha concluso, non ultimo l’acquisto della nuova flotta di treni ad alta velocità del tipo ETR1000.
Le FS verrebbero, in sostanza, svuotate di valore e di contenuti, il tutto per racimolare pochi miliardi di euro, tra i 5 e i 10 sostengono gli analisti più informati. Davvero poca cosa rispetto ai 2 mila miliardi di debito pubblico accumulati dal nostro Paese. Non convince infatti un’architettura strategica così diversa dal passato, lontana dalla stessa struttura dei grandi concorrenti europei come le ferrovie tedesche e francesi. Viene da chiedersi perché mettere mano ad una società solida, in crescita, capace di operare bene sul mercato italiano e di aprirsi ad una competitività nel trasporto ferroviario e alla logistica anche a livello continentale. Mettere cioè a repentaglio profitti, livelli occupazionali e qualità professionali solo per garantirsi nell’immediato una modesta entrata economica e più ancora una privatizzazione, vissuta come fiore all’occhiello, per dimostrare che l’Italia è capace di aprirsi al mercato.
L’abilità professionale del team che sta lavorando al progetto non lascia dubbio che la rete tradizionale, scorporata, debba essere affidata ad una società diversa dal Ministero dell’Economia. Sarebbe incomprensibile che 30 anni dopo lo Stato vedesse rientrare nel proprio bilancio pubblico l’infrastruttura ferroviaria, con ciò che ne consegue in termini di passività. Quale società sarà allora proprietaria della rete FS? Confluirà ad esempio in un grande contenitore strategico delle reti infrastrutturali materiali e immateriali di proprietà pubblica? Potrebbe essere accorpata a Cdp Reti insieme a Terna e Snam, cioè alla rete elettrica e del gas?
Altre indiscrezioni ipotizzano invece la costituzione di una società veicolo. Tanto famigerate sono state nella storia recente del Paese questo tipo di società. Basti ricordare lo scempio attuato dal Ship1 e Ship2 in occasione della cessione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali pubblici voluta agli inizi degli anni 2000 dal deus ex machina della politica economica italiana, Giulio Tremonti, e risoltasi in un fiasco completo. Proprietà di pregio svendute a banche di affari, a grandi immobiliaristi nazionali e internazionali, il resto ai soliti noti, con il risultato che lo Stato ci ha rimesso, hanno guadagnato le lobbies mentre gli enti previdenziali hanno dovuto addirittura ricomprare l’invenduto dallo Stato.
Un’operazione che richiederebbe ancora oggi un’inchiesta parlamentare, che nessuno sembra aver voglia di fare. Si deve solo osservare, che in quel caso i soggetti e il bilancio erano integralmente pubblici e la partita di giro non incideva di certo sulla funzionalità dei servizi resi o sulle quote di mercato contendibili. Scorporare la rete tradizionale delle FS significa in altri termini affidare binari, stazioni, scali e altri beni necessari allo Stato attraverso una sua emanazione.
Questo progetto contempla tra l’altro la vendita dei circa 9 mila chilometri della rete elettrica delle ferrovie a Terna. Una scelta già perseguita da Mauro Moretti ed ora portata avanti con il solito rigore da Michele Mario Elia, per un valore calcolato attorno al miliardo di euro. L’ipotesi ha suscitato non poche perplessità in sede politica, tant’è che in particolare i parlamentari del Movimento 5 Stelle hanno ribadito, carte alla mano, che le indicazioni europee prevedono specificamente che le reti elettriche ferroviarie non siano scorporabili. È un dettaglio di questo quadro più ampio di cui in mancanza di informazioni resta vaga la strategia.
Non appare chiaro quanto tutto ciò possa servire a rafforzare il ruolo delle Ferrovie dello Stato ad aprirsi al mercato, a favorire una migliore competitività del sistema e un’offerta integrata dei servizi siano essi passeggeri, delle merci o della logistica. Speriamo che questi ed altri dubbi possano essere fugati. La consegna del silenzio che avvolge l’operazione stimola interrogativi, soprattutto alla luce della storia delle privatizzazioni in Italia. Bocche cucite nelle Ferrovie dove il presidente Messori e l’amministratore delegato Elia rispettano il più rigoroso riserbo, non fosse altro perché tutta la partita è condotta dall’azionista, Ministero dell’Economia, cui entrambi rispondono. Analoga scelta viene dal dicastero di Via XX Settembre. È ben strano che opzioni di così ampia rilevanza, non solo in termini economico-patrimoniali, ma per le ricadute che potrebbero avere su milioni di utenti-viaggiatori e sull’intera collettività che negli anni ha tanto investito nelle ferrovie, siano avvolte dal mistero e tra stanze blindate e corridoi paludati.
Le aree delle FS sono un bene pregiato cui molti fin dai tempi di Lorenzo Necci hanno guardato con sommo interesse, ma non si è mai trovato il giusto equilibrio per valorizzarle. Lo scorporo potrebbe rimetterle in circolo e gli appetiti in tempi di auspicabile ripresa economica sono vastissimi. Sarebbe l’occasione invece di presentare un progetto complessivo sia agli addetti ai lavori, sia all’opinione pubblica, perché questi beni appartengono ai cittadini e non sono riserva privata di ministri, accademici o burocrati. Questo il segnale di novità che ci si attende da chi, come il Governo Renzi, vuole essere trasparente, moderno e innovatore. Obiettivi condivisi, non accordi nelle segrete stanze, magari a beneficio di gruppi di interesse ben nascosti nelle pieghe di un disegno di privatizzazione.
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