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Giocare d’azzardo e' facile. O forse no, tagliando le rendite di posizione

Massimiliano Dona, segretario generale dell’unione nazionale consumatori

«Mio fratello era schiavo del gioco d’azzardo. Stava distruggendo la sua famiglia, oltre che se stesso con l’alcol e il fumo; arrivò a prendere i soldi messi da parte per il figlio e a giocarseli. Fu un periodo molto difficile per noi, dovevamo chiedere soldi a parenti e amici e inizialmente non sapevamo come aiutarlo. Lui si rendeva conto che ciò che faceva era fonte di infinita sofferenza per noi, voleva smettere, ma non ci riusciva». Questo è l’estratto di un’email arrivata agli sportelli dell’Unione Nazionale Consumatori da parte del fratello di una vittima del gioco patologico. Nella sua disperata richiesta d’aiuto Aldo, il mittente, ha contattato, tra gli altri, anche la nostra associazione (da anni in prima linea nella battaglia contro il gioco d’azzardo), concludendo con un interrogativo: «Come è possibile che lo Stato abbandoni così i propri cittadini? Come è possibile che quasi in ogni bar ci siano queste maledette macchinette mangia-soldi? Come è possibile che sia così facile rovinarsi la vita?»
Quella di Aldo e di suo fratello è solo una delle tantissime storie di persone disperate che si perdono nel mondo oscuro del gioco d’azzardo, fino a rovinarsi e a distruggere tutto. Da storie come queste è nata la mia collaborazione con la psicoterapeuta Paola Vinciguerra che ha portato alla pubblicazione di un libro dedicato al gioco d’azzardo («Gioco d’azzardo. Difendersi si può», Minerva Edizioni) con l’obiettivo di mettere a disposizione di chi ne abbia bisogno qualche strumento in più per difendersi; e per ricordare che con il gioco è facile esagerare, e quel passatempo apparentemente innocuo può trasformarsi in una vera e propria patologia. A quel punto, l’unica cosa da fare è chiedere aiuto.
Siamo chiamati a maggiore responsabilità per evitare che chi ancora gioca per diletto cada nella trappola del vizio e per aiutare chi ne è già vittima. Ma sono soprattutto i Governi a dover intervenire, superando il profondo conflitto di interesse che caratterizza il nostro sistema: da una parte lo Stato deve rispondere al proprio dovere morale di occuparsi della salute dei cittadini, dunque prevenire il diffondersi del gioco e curare i soggetti caduti nella patologia; dall’altra è indubbia l’importanza per le casse degli introiti generati dal giro d’affari legato al gioco. Per questo motivo tutte le proposte di legge che finora hanno tentato di regolamentare il fenomeno hanno perso pezzi nel corso dell’iter parlamentare, strozzate dallo strapotere delle lobby.
Lo scorso luglio, anche dall’Europa è giunta una presa di coscienza della gravità del fenomeno; il problema è che anche Bruxelles ha scelto la strada più facile con delle raccomandazioni che dovrebbero orientare le politiche nazionali ma non sono vincolanti. Si richiama alla trasparenza nelle pubblicità, all’attenzione per i minori, all’assistenza per i soggetti in difficoltà, ma vien da chiedersi quali verifiche saranno adottate dall’Ue sulle serie adozioni di questi impegni. Basta dare un’occhiata ai numeri: nel 2011 in Italia la raccolta del gioco d’azzardo è stata di quasi 80 miliardi di euro, circa il 5 per cento del prodotto interno nazionale: il 56,3 per cento del fatturato totale è stato raccolto da slot machine e video-lotterie, il 12,7 per cento dai Gratta e vinci, l’8,5 dal Lotto, il 4,9 dalle scommesse sportive, il 3 per cento dal Superenalotto, e il resto da bingo e scommesse ippiche.
La preoccupazione non riguarda solo gli adulti, anche i bambini sono vulnerabili. Sembra incredibile, ma secondo gli ultimi dati un bambino su quattro tra 7 e 9 anni si è già avvicinato al gioco d’azzardo (con un gratta e vinci ad esempio). 9 genitori su 10 dicono di non avere idea di cosa significhi il termine «ludopatia» e metà delle famiglie non impongono ai computer di casa un filtro che impedisca di accedere ai siti di giochi on-line vietati ai minori; più di un terzo (il 35 per cento) degli adulti, inoltre, conosce ragazzini che frequentano sale giochi e in un caso su tre vi ha incontrato minori. I genitori hanno la responsabilità di dare il buon esempio, ma anche di non lasciare i bambini con il computer o il telefonino come baby-sitter: d’altra parte, si è mai notato quante app per i più piccoli introducono le slot o altri meccanismi dell’azzardo all’interno dei giochi?
Secondo gli ultimi dati dell’osservatorio del Politecnico di Milano, nonostante la spesa dei giochi on-line sia stabile nel 2014 (728 milioni di euro, + 0.4 per cento sul 2014), è quasi raddoppiata la spesa generata attraverso smartphone e tablet, raggiungendo i 99 milioni di euro. Sulla base di questi numeri, recentemente la nostra associazione ha aderito ad una bella iniziativa lanciata dal Movimento No Slot: il 31 marzo è stata indetta la giornata della guerriglia social contro il gioco on-line con l’obiettivo di dire basta alla mutazione degli smartphone in sale slot e dei social network in casinò on-line. Queste iniziative non possono bastare da sole per sradicare il fenomeno, ma vogliono rendere più difficile il gioco grazie a strumenti tecnologici efficaci e ad una normativa stringente, e ridurre gli stimoli esterni (come le pubblicità che promettono vincite facili e alcuni programmi televisivi basati sull’azzardo).      

Tags: Maggio 2015

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