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I diritti umani e il dialogo con i musulmani moderati

GIUSTO SCIACCHITANO procuratore nazionale  antimafia aggiunto

La presente epoca sembra caratterizzata da forze centripete e dalla mancanza di dialogo: gli Stati si separano o addirittura si sfaldano, persone singole e organizzazioni statuali sembrano affette dalla incomunicabilità. In questa realtà, la società civile si trova però a dovere affrontare tre sfide globali: terrorismo, criminalità organizzata, economia. Per superarle occorre intervenire su più fronti: politico, sociale, diplomatico, giudiziario. Per quanto può riguardare il terrorismo di matrice islamica occorre certamente anche il dialogo con l’Islam moderato. Tutti lo sosteniamo, specialmente dopo le tragedie che hanno visto come vittime sia cristiani sia gli stessi musulmani.
Credo però che sia necessario porsi la domanda su quale debba essere l’oggetto vero e profondo del dialogo, quello cioè che tocca un punto nevralgico che distingue le nostre due differenti culture: esso può essere certamente incentrato sui diritti umani. È giusto quindi riflettere su di essi, se siano universali e se trovino applicazione omogenea nelle diverse culture. Vi sono diversi metodi per indicare quali sono i diritti umani. Il primo, e il principale, è quello descrittivo usato dai giuristi: diritti umani sono quelli designati come tali dalla legge.
Un secondo fa riferimento ad una concezione etica e morale, nel senso che i diritti umani derivano dall’idea di dignità della persona umana e debbono essere rispettati quale espressione di giustizia e non solamente perché possono essere fatti rispettare in quanto decisi dalla volontà del legislatore. Tutti riconoscono che il riferimento alla dignità della persona umana è necessariamente uno dei fondamenti oggettivi dei valori che debbono ispirare e governare l’ordine internazionale, ma questo principio basato sull’etica, che già avvicina diritto e religione, è declinato diversamente secondo le diverse concezioni di ciascun popolo.
Storicamente diritto e religione giungono alla nostra cultura occidentale dal mondo greco-romano, più precisamente dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma, ossia tra la fede nel Dio di Israele, la ragione filosofica dei greci (vedi il simbolo perenne di libertà di coscienza incarnato da Antigone, che antepone il diritto naturale alla legge di Creonte), il pensiero giuridico di Roma, che già conosceva il principio «Summum jus summa jniuria» e riteneva che il popolo romano e gli dei costituissero un’unitarietà basata sugli stessi valori.
Il mondo occidentale ha però avuto una rivisitazione del rapporto religione-diritto con la rivoluzione francese e il secolo dei lumi, con la separazione netta tra le due realtà, tra «trono» e «altare», nessuna delle quali è superiore all’altra nell’amministrazione dello Stato. La nostra cultura greco-romana, innervata dall’illuminismo, è giunta alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e libertà fondamentali (1950) e agli altri atti internazionali tesi ad un riconoscimento sempre più profondo dei diritti della persona.
È in questo quadro che si ripropone il tema se oggi questi valori si possono considerare universali, o se invece essi sono riconosciuti solo nel ristretto ambito della cultura «occidentale». Il tema è naturalmente esploso negli ultimi tempi con la globalizzazione, con l’immigrazione incontrollata, con il tentativo di raggiungere un interculturalismo che consentisse la pacifica ma razionale convivenza tra chi professa religioni e tradizioni giuridiche diverse, con l’acutizzarsi del terrorismo di matrice islamica, in una realtà che è chiamata a dare una risposta che coniughi sicurezza del singolo e della collettività.
Oggi nel mondo si confrontano tradizioni culturali e antropologiche del tutto diverse da quella che tendiamo a qualificare come occidentale: da un lato c’è l’Islam, dall’altro la cultura indiana e le culture dell’induismo e del buddismo, e le grandi culture tribali dell’Africa. Davanti a questa realtà già Benedetto XVI osservava che il fenomeno chiamato «interculturalismo» sembra, in vaste proporzioni, mettere in questione la razionalità occidentale e, in qualche misura, la stessa rivendicazione universalista della rivelazione cristiana.
In un incontro tenutosi nel novembre 2014 presso l’Istituto superiore internazionale di scienze criminali (Isisc) di Siracusa tra studiosi di diritto italiani e iraniani, è stato dibattuto - per la prima volta tra i nostri due Paesi - il tema dei diritti umani, gli elementi costitutivi dei sistemi giuridici e giudiziari italiani e iraniani e i principi ispiratori degli stessi. Si sono avuti, dalle due parti, interventi di grande interesse. Il sistema giuridico iraniano è organizzato sulla base dell’evoluzione del pensiero islamico della Sharia, e quindi tiene in considerazione il sistema morale e i valori morali della propria società e cultura, e in qualche modo li serve ed esercita una funzione strumentale alla loro osservazione e protezione.
Diritto e religione nella dottrina sciita sono quindi inscindibili: il vero giurista deve essere anche un teologo, e la funzione di quest’ultimo è quella di consentire una lettura e un’interpretazione evolutiva della legge coranica che, dunque, ha poi un riflesso sul progresso del diritto interno. Non vi è quindi spazio per una legge di livello superiore anche internazionale; una Convenzione internazionale può essere recepita nell’ordinamento interno solo se contiene norme e principi in linea con la legge coranica.
Deve certamente attribuirsi a questa considerazione la ragione per la quale i Paesi islamici non hanno ratificato la Convenzione universale dei diritti dell’uomo, e l’Iran neppure la Dichiarazione del Cairo sui diritti umani nell’Islam del 1990: viene pertanto a cadere il principio della «etero fondazione» dei diritti umani, sganciata dal potere sovrano dello Stato, che considera questa materia espressione della volontà internazionale in quanto tale, indipendentemente dalla sovranità dei singoli Stati.
Ho potuto constatare una concreta attuazione di questa impostazione giuridica in Nigeria, Paese a maggioranza musulmana, in occasione di una visita colà effettuata per illustrare i principi della Convenzione Onu contro la criminalità organizzata - che riguardano anche il contrasto alle nuove schiavitù e al traffico di migranti - quando ci hanno fatto osservare che quei principi sono per loro estranei e ritenuti una nuova forma di colonialismo culturale. La questione non era quindi solo la mancata applicazione della Convenzione, ma l’approccio culturale e ideologico alla stessa che rendeva difficile la comprensione dei principi in essa contenuti. Era già questa una chiara dimostrazione di quanto sia ancora estremamente complesso trovare una vera sinergia tra popoli diversi per affrontare criminalità organizzata e terrorismo, appunto le sfide globali che oggi affliggono l’umanità.
I fatti di Parigi, le manifestazioni terroristiche in Nigeria, Libia, Siria, Irak, Pakistan ulteriormente esplicitano quanto dichiarato da Bashir Warda, arcivescovo di Erbil: «È l’antica cultura della nostra convivenza con i musulmani che viene cancellata», e da Amel Nona, arcivescovo caldeo di Mosul fuggito ad Erbil: «Cercate di capire voi occidentali che i vostri principi liberali e democratici qui non valgono nulla» (Corriere della Sera del 10 agosto 2014, a firma Lorenzo Cremonesi, inviato a Erbil), e quanto osservato da Vittorio Emanuele Parsi su Avvenire del 20 gennaio 2015: «Ogni ossessione per il ritorno alla purezza delle origini rischia di implicare una sempre maggiore commistione tra fede religiosa, potere politico e persino lotta armata».
Viene quindi confermata la permanente unione nel mondo islamico tra trono e altare, e la difficoltà di applicare nella loro cultura quelli che noi chiamiamo diritti umani universali: le libertà della persona senza distinzione per ragioni di religione, razza, sesso, opinione politica.
La scrittrice libanese Etel Adnan rilevando però che anche l’Occidente ha abbandonato alcuni propri valori, osserva che esso è troppo impegnato nell’economia e nelle questioni militari per prendersi il tempo di capire davvero il retroterra storico e culturale del Medio Oriente: è come se la cultura occidentale fosse arrivata ad un tale punto di completezza da pensare che altri universi siano inutili. Qui ritornano in mente le lucide affermazioni sopra ricordate di Benedetto XVI sul multiculturalismo e sulla diversità dei valori riconosciuti.
All’indomani della strage di Parigi quasi tutte le Autorità nazionali e internazionali hanno sottolineato la necessità di assicurare maggiore sicurezza ai cittadini e approntare maggiori finanziamenti per realizzare un più soddisfacente inserimento degli immigrati nei nostri Paesi. Ancora più di recente, dopo le stragi in Tunisia, in Nigeria e in Kenia, si è evocata la possibilità di un intervento armato internazionale contro il sedicente Stato islamico e contemporaneamente un dialogo più approfondito e concreto con i Paesi islamici moderati.
È certamente necessario dare sicurezza ai propri cittadini, assicurare alla giustizia i terroristi e un migliore inserimento sociale agli immigrati; pochi però si chiedono quale può essere l’oggetto del dialogo con i Paesi islamici moderati. Anche essi ormai dichiarano che gli autori di quelle stragi sono terroristi e come tali vanno perseguiti; non spiegano però, in modo esaustivo e teologico, perché li considerano terroristi, atteso che entrambi  (autori e vittime delle stragi, quando sono mussulmane), fanno riferimento al Corano.
Sarebbe un grande passo avanti se la cultura islamica e la politica spiegassero agli stessi musulmani da quale parte del loro Libro sacro può derivare una così diversa interpretazione. Forse l’oggetto del dialogo potrebbe essere proprio la necessità della convivenza dei popoli e, in ultima istanza, l’applicazione più ampia dei diritti umani. Tutti dobbiamo mirare a fare riconoscere e riaffermare che le nostre due culture, entrambe antichissime, entrambe basate su un Testo sacro, così diverse ma anche così simili, condividono principi uguali con riferimento alla persona umana e li ritengono di valore universale.    

Tags: Maggio 2015

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