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ALITALIA A CABRARE OPPURE A PICCHIARE: SI GIOCA TUTTO...

Luca di Montezemolo,  presidente di Alitalia

Una nuova livrea disegna le fusoliere degli aerei Alitalia. È la voglia di riscatto dopo due fallimenti consecutivi, il desiderio e l’impegno di correnti ascensionali che tornino a far volare sul serio i colori italiani nei cieli internazionali, dopo anni sempre più sbiaditi, con disservizi pari alle perdite colossali. L’iniezione di energia e di capitali viene dall’accordo con Etihad, una delle più ricche e qualificate compagnie del mondo, capace di prevedere flussi elevati sulla rotta Europa-America, Medioriente-Asia, in modo da vedere l’Italia come perno di uno sviluppo verso il mercato aereo occidentale.
La sfida e la scommessa non è solo una forte partecipazione di capitali, necessari e benvenuti, ma soprattutto di marketing aziendale e di ricerca della qualità. Una filosofia ribadita in ogni occasione da James Hogan, amministratore delegato di Etihad, che suona come imperativo categorico per la compagnia italiana travolta da vent’anni di scelte sbagliate, di caduta verticale della qualità con una disattenzione verso clientela e mercato che ha fatto la fortuna delle compagnie low cost, soprattutto di Ryanair, oggi primo vettore aereo in Italia per quote di traffico.
Non sarà facile questa cabrata per la più grande compagnia aerea italiana. I segni delle disfatte recenti sono ancora leggibili in un servizio a macchia di leopardo, in aree aeroportuali inadeguate, prima tra tutte quella di Fiumicino, cuore della compagnia e scalo di armamento. I disastri non solo economici di Mengozzi e di Cimoli, entrambi sotto inchiesta per le perdite colossali delle loro gestioni, non sono facili da rimarginare. Lo sbriciolarsi della cordata dei «patrioti», voluta da Silvio Berlusconi, ne è la dimostrazione. Oggi, oltre l’ottimismo e la recuperata credibilità, dobbiamo sottolineare il valore di un accordo strategico con l’Etihad che il Governo italiano, prima ancora dei vertici della compagnia, avrebbero dovuto concludere con ben altra lungimiranza almeno venti anni orsono.
Occasione persa, allora con Klm, poi con la più debole Air France, che è costata ai contribuenti italiani circa 7 miliardi di euro, oltre 7.500 posti di lavoro e, non meno grave, un disastro di immagine che ha fortemente inciso sia sull’efficienza dell’intero sistema aeroportuale italiano, sia sui flussi di traffico delle rotte più ricche. L’Italia resta, nonostante la sua fragilità, una meta molto importante per il turismo mondiale attirato dalla Chiesa di Roma e dalle bellezze artistiche del nostro Paese che, seppur offuscate, continuano a brillare.
La nuova Alitalia deve mettere mano, sta giusto muovendo i primi passi, alla propria flotta, puntando decisamente sui voli a lungo raggio, i più remunerativi, e sui collegamenti internazionali a medio raggio tra le più consistenti destinazioni europee. Il prezzo inevitabile di questa strategia è un ridotto presidio del mercato interno italiano. Una scelta obbligata dagli errori del passato e dal successo delle compagnie low cost. Dobbiamo farcene una ragione purché i vertici dell’azienda sappiano realizzare una rivoluzione copernicana di efficienza e fiducia verso la propria clientela. Questo purtroppo continua a mancare e pesa nel rapporto tra personale e viaggiatori. La nuova Alitalia è operativa dal primo gennaio scorso, dopo il completamento degli investimenti azionari da parte di Etihad Airways e degli azionisti già presenti in Alitalia. Il nuovo consiglio di amministrazione ha ormai approvato da un semestre la strategia industriale presentata dal presidente Luca di Montezemolo e dall’amministratore delegato Silvano Cassano, e da James Hogan, presidente e amministratore delegato di Etihad Aviation Group e vicepresidente di Alitalia. Luca di Montezemolo ha dichiarato che la nuova Alitalia può tornare ad essere un vettore premium, riconosciuto a livello globale: «L’Alitalia rinnovata che abbiamo in mente e che stiamo costruendo sarà un patrimonio del Paese, e uno strumento per la crescita del turismo e per il sostegno all’attività delle nostre imprese».
Per James Hogan il futuro dell’Alitalia si baserà su un profondo cambiamento che interesserà tutta l’organizzazione: il cliente sarà al centro. La scadenza fissata dai principali investitori per il ritorno all’utile della compagnia aerea è il 2017. Investimenti dagli azionisti, vecchi e nuovi, nuova organizzazione del lavoro, nuovo piano industriale, tutto per creare un’azienda di successo che significa posti di lavoro, scambi commerciali e turismo. Il tutto equivale ad un impatto positivo sull’economia italiana. Le partnership rappresentano un’ulteriore opportunità di sviluppo e di ampliamento dell’offerta ai clienti in molti mercati, prima tra tutte le relazioni con i membri di SkyTeam, in particolare con Air France/Klm e Delta, e una nuova e promettente collaborazione con l’Airberlin e Niki, così come una maggiore connettività con Etihad Airways. Vi sono inoltre progetti di maggior collaborazione con l’Air Serbia e l’Etihad Regional.
Una nuova cultura di marketing favorevole al cliente, con nuovi standard di prodotti e di servizi. Una nuova Customer Excellence Training Academy formerà tutto il personale a contatto con la «customer base», mentre i clienti potranno sperimentare la tradizionale ospitalità italiana, nuove opzioni relative al servizio ristoro e un nuovo look per le lounge di Roma, Milano Malpensa e Milano Linate. Nuove logiche orientate al cliente anche nei costi, infatti è di pochi giorni fa l’introduzione della tariffa «Light» dedicata a chi viaggia solo con bagaglio a mano in Europa e in Italia.
L’Alitalia si rivolge al mercato in modo completamente nuovo e come non ha mai fatto nella sua storia. «Light» non nasce come tariffa promozionale stagionale - anche se il risparmio netto è del 25 per cento sul costo base - ma come componente stabile della nuova offerta di Alitalia: un’offerta che risponde sia alle esigenze di chi cerca la qualità prima di tutto, sia alle esigenze di prezzo di categorie quali giovani, piccole e medie imprese, e liberi professionisti. La compagnia di bandiera sta lanciando un nuovo brand e una nuova identità visiva, che comprenderà gli aerei, le uniformi e tutti i punti di contatto con la clientela. Il nome rimarrà invariato, mentre il nuovo marchio cercherà di interpretare l’essenza dell’Italia.
L’Alitalia, oltre alla propria livrea, cambia orientamento. Non mancano i segnali positivi del mercato come la capacità di collocare obbligazioni per 375 milioni di euro, cosa che non accadeva dai «Mengozzi bond» del 2002. Questo pacchetto di obbligazioni «senior and secreted» è stata completamente sottoscritta da Morgan Stanley per la durata di cinque anni, con una cedola fissa del 5,25 per cento annuo, quotata alla borsa irlandese: un collocamento rivolto esclusivamente ad investitori istituzionali. È un indice di credibilità sui mercati finanziari che va colto con responsabile ottimismo.
Sembrano, per nostra fortuna, assai lontani gli anni dei Giancarlo Cimoli, scanditi da prestiti ponte e da aumenti di capitale bruciati sulle ali dell’inerzia, di una pessima gestione, di un personale con una concezione impiegatizia e soprattutto dalla mancanza di strategie coraggiose e di scelte nette con il passato. L’attuale amministratore delegato di Alitalia, Silvano Cassano, dovrà destinare questi 375 milioni di certo non al potenziamento della flotta, perché troppo esigui ma, immaginiamo, ad investimenti per migliorare la qualità degli aerei e dei terminal oggi gestiti dalla compagnia. È questo uno dei punti dolenti con i quali i viaggiatori dell’Alitalia devono fare i conti giorno per giorno. Un’inefficienza deprecabile che allontana i clienti più ricchi ed esigenti ed incide sui ricavi.
Fiumicino dovrebbe essere il fiore all’occhiello di un’auspicato rilancio, qui invece sembrano saldarsi le disfunzioni del sistema aeroportuale italiano. Non è stato solo l’incendio del maggio scorso a mettere in ginocchio l’Adr e rendere evidenti le crepe di una gestione votata ed alimentata al solo profitto dei privati senza una strategia lungimirante di crescita. Un deficit sul quale torneremo in altra sede con la precisione dei numeri e la fotografia puntuale dei fatti.
Il ridotto contributo dell’Alitalia al sistema degli aeroporti italiani produce pesanti riflessi negativi come sottolinea un recente studio della Cassa Depositi e Prestiti. Una frammentazione degli scali e una scarsa copertura dei flussi di traffico hanno determinato in passato gravi perdite alla compagnia, oggi una soluzione strutturalmente debole al mercato nazionale. Questo rappresenta una linea di demarcazione sulla quale riflettere in modo rapido. L’inadeguatezza degli scali italiani è testimoniata dalla grande fragilità dell’aeroporto più importante d’Italia, quello di Fiumicino.
L’Alitalia sostiene che gli sia già costato 80 milioni di euro l’incendio del maggio scorso e le perduranti inefficienze. Altro tallone d’Achille sembra essere la riottosità di qualche sindacato di mestiere. Vanno superati entrambi questi nodi. L’Alitalia deve concentrarsi su rotte e volumi di traffico competitivi, altrimenti rischia per la terza volta un volo stanco e pesante che non aiuterà il sospirato decollo del trasporto aereo in Italia. Volare non è solo volere, richiede idee e partecipazione. Non conosciamo il feeling tra vertici di Etihad e di Alitalia e di questi con i 12 mila lavoratori della compagnia. Il futuro lo si costruisce con un giusto mix tra queste componenti. Speriamo nel successo, altrimenti il tricolore di Alitalia sarà ammainato per sempre nei cieli.   

Tags: Settembre 2015

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