Suggerimenti, idee, proposte per risolvere la «questione romana»
Giuseppe Di Vittorio nella prima seduta del Consiglio comunale di Roma dopo le elezioni amministrative del 1952 così descriveva - dopo la sua elezione - la situazione della capitale d’Italia: «La responsabilità che incombe sul nostro Consiglio è immensa. Essa è pari ai grandi bisogni e alla sovrana dignità di Roma prima città d’Italia, capitale della nostra Repubblica e centro mondiale della cristianità che trae dalla propria storia luminosa e multimillenaria, dai propri incomparabili tesori di arte e di cultura, dalle bellezze e dal vivo senso di ospitalità degli abitanti quel fascino impareggiabile che fa di Roma il maggior centro di attrazione di tutti i popoli della terra».
«Questa altissima funzione non deve far dimenticare i problemi concreti della città, e più specialmente della sua periferia, dei quali il popolo romano attende, con legittima impazienza, una rapida e soddisfacente soluzione. Alludo particolarmente alla trasformazione delle borgate in moderni e ridenti quartieri cittadini, degni di Roma, e alla necessità di dare adeguato impulso alla costruzione di case d’abitazione per il popolo. Di non minore interesse sono i problemi dello sviluppo dell’edilizia scolastica, dell’intensificazione dell’assistenza in favore dei cittadini bisognosi; del miglioramento dei servizi pubblici essenziali e della loro estensione a tutti i quartieri periferici e a tutte le borgate che circondano la città».
«Ma il continuo sviluppo di Roma pone una serie di problemi. Mi sia consentito, tuttavia, di accennare ad uno solo di questi problemi, che è d’importanza fondamentale: quello di promuovere e di stimolare l’industrializzazione di Roma, che è condizione indispensabile del suo sviluppo economico e commerciale, la sola via attraverso la quale è possibile eliminare dalla capitale la piaga della disoccupazione e di elevare il livello di vita economico e culturale della popolazione».
Ancora, in un editoriale sull’Unità Edoardo D’Onofrio ricordava: «Il vero male di cui Roma soffre proviene da questo fatto: dall’unità italiana in poi Governi e sindaci si sono adoperati a circoscrivere lo sviluppo economico della capitale entro i confini di una visione che considerava Roma solo come una città santa, una città turistica, una città amministrativa. Una Roma perciò la cui economia è parassitaria per natura, perché poggia soprattutto sulle casse dello Stato e sulla benevolenza e sulla generosità dei ministri che sono al Governo. Questo indirizzo ha condannato e condanna Roma e la sua popolazione alla miseria permanente in mezzo all’opulenza di pochi, al fasto e alla ricchezza delle chiese e alla maestà dei palazzi e dei monumenti. Roma purtroppo, in ottanta anni di unità italiana, non è diventata una città industriale come le città del Nord».
Sono passati più di settanta anni ma i problemi di Roma sono ancora quelli di ieri; anzi, si sono via via ingigantiti. Sembrano irrisolvibili. La città sembra condannata ad un declino irreversibile. Lo scenario che presenta la capitale d’Italia è inquietante: sporcizia, degrado, micro e macro illegalità, violenza, traffico selvaggio, abusivismo, inadeguatezza delle infrastrutture, tante opere incompiute (Palazzo dei Congressi, Acquario, ecc.); inesistenza di strutture sociali ed economiche per il sostegno dei ceti più poveri, tasse astruse ed ingenti sugli inermi cittadini; inadeguatezza degli amministratori, mancanza di un ruolo positivo e propositivo dei corpi intermedi. Come reagire, quando agire e soprattutto che cosa suggerire?
Il degrado politico-istituzionale deriva dalla mancata modernizzazione di Roma e della Regione Lazio. Il mondo è cambiato. La globalizzazione e la finanza hanno creato un contesto sempre più competitivo. Guardiamo l’Europa. Roma è la quinta metropoli europea, dopo Londra, Parigi, Madrid e Berlino. Il suo tasso di crescita si è da tempo arrestato. In base agli ultimi dati disponibili relativi al periodo 2008-2012, il prodotto interno è diminuito complessivamente del 2,9, con una media annua dello 0,7 per cento. Gli occupati sono diminuiti del 5,4 per cento. I dati del 2013-2014 confermano la tendenza alla decrescita. In particolare, il tasso di disoccupazione che nel 2008 era del 7 per cento è salito all’11,3 per cento. La forbice tra il valore aggiunto prodotto dai milanesi e dai romani è passata da 4.500 euro del 2007 a 12.200 euro nel 2012.
In base agli ultimi dati disponibili (2012) il valore aggiunto pro capite di 33 mila euro (a Milano è 46 mila) è così composto (tra parentesi il raffronto con Milano): servizi alle imprese 33 per cento (37 per cento); servizi pubblici 27,3 per cento (12,9 per cento); commercio, turismo, trasporti 27,3 per cento (30 per cento); edilizia 3 per cento (4,3 per cento); manifattura 9 per cento (16 per cento). Le imprese attive a Roma sono 345 mila e tra queste il 12,1 per cento sono straniere, rispetto a una media nazionale dell’8,7 per cento. Le imprese sono per il 27 per cento del commercio; per il 14 per cento delle costruzioni; per il 7,2 per cento del turismo. Incidono poco per l’export e sviluppano poca ricerca: il rapporto è, per milioni di abitanti, di 160 brevetti a Milano, 70 in Italia, appena 49 a Roma.
Il turismo (dati del 2014) riguarda invece 13,4 milioni di persone (5,5 milioni di Italiani e 7,9 milioni di stranieri) con una presenza complessiva di 32,9 milioni di giornate (12,3 milioni per gli italiani; 20,6 milioni per gli stranieri).
I guai di Roma si sono accentuati con il nuovo millennio. Il Comune si è indebitato ricorrendo maldestramente ad una serie di operazioni finanziarie sui derivati. Sono stati sottoscritti impegni economici che scadranno addirittura nel 2050 (devono ancora nascere coloro che pagheranno i debiti contratti). Si è dovuto ricorrere ad un bilancio separato con la nomina di un commissario che dovrà gestire il risanamento del debito di oltre dieci miliardi di euro. Contemporaneamente la pressione fiscale è aumentata a dismisura. Le addizionali Irpef comunali e regionali a Roma sono le più alte in Italia con un effetto più forte sui redditi da pensione e da lavoro dipendente; le imprese sono scoraggiate da una burocrazia nella quale si annida frequentemente la corruzione; non ci sono progetti; c’è confusione; i meccanismi ordinamentali sono approssimativi; non ci sono manager capaci nelle società municipalizzate: insomma i cittadini si trovano in veri e propri infernali giri danteschi.
Il presidente dell’Anticorruzione Raffaele Cantone ha definito Roma «Comune del malaffare». Ha descritto come gli appalti siano stati dati con un generalizzato e indiscriminato ricorso a procedure sottratte all’evidenza pubblica, in palese difformità e contrasto con le regole, con l’applicazione delle norme disinvolta e spregiudicata. L’indagine ha preso in esame gli ultimi due anni e mezzo della Giunta Alemanno (1 gennaio 2011-30 giugno 2013) e il primo anno e mezzo di quella Marino (1 luglio 2013-31 dicembre 2014) per concludere che tra le due Amministrazioni non c’è stata alcuna differenza: entrambe hanno varato una valanga di affidamenti senza gara, mediante procedure opache e dubbie, se non palesemente truccate. Dall’esame delle 1.850 procedure negoziate effettuate dall’Autorità Anticorruzione è venuto fuori di tutto: gare bandite senza che ne ricorressero i presupposti; ricorso sistematico alla proroga degli appalti; affidamenti ripetuti al medesimo soggetto; frazionamento degli importi per aggirare la soglia comunitaria. Insomma, fatta la legge si è ricorsi all’inganno.
È lunga la lista delle gare sospette. Tra queste sono state segnalate: il rifacimento dei marciapiedi di Via del Babuino, la sistemazione di Piazza Vittorio, la riqualificazione del mercato di Testaccio e la sistemazione delle piste ciclabili.
Emblematica è la vicenda dell’intervento di riqualificazione e allargamento di Via del Babuino. Ha subìto una «rivisitazione delle scelte politiche» nell’avvicendamento tra la Giunta Alemanno e quella Marino, che ha deciso la pedonalizzazione del cinquecentesco Tridente Sistino. Alla fine il costo dei lavori «al ribasso» per via del Babuino ha superato il milione e mezzo di euro, oltre la soglia di un milione prevista per quel tipo di «procedura negoziata». Ciò è stato possibile grazie ad una particola suddivisione del valore dei lavori, e gli ispettori dell’Anticorruzione accusano: «Appare evidente l’artificioso frazionamento dell’appalto volto a eludere l’articolo 29 comma 4 del Codice»; cioè quello che lo vieta espressamente. Lo sforamento, infatti, «si poteva evincere già dallo schema di contratto e capitolato allegati al progetto esecutivo approvato».
Roma, rispetto alle altre grandi città italiane come Torino e Milano, non dispone di una classe politica efficiente, capace, moderna. A Milano (Pisapia) a Torino (Castellani, Chiamparino e Fassino) sono stati in grado di gestire la post-industrializzazione e cogliendo le opportunità delle Olimpiadi e dell’Expo, modernizzando le città, risistemando con grandi progetti le infrastrutture, valorizzando il turismo. Roma ha anch’essa delle grandi opportunità come il Giubileo e probabilmente le Olimpiadi. Per coglierle è certo importante avere delle persone oneste e trasparenti (dovrebbe però essere una regola, non un’eccezione). Ci vogliono però competenza, conoscenza, presenza, capacità di coinvolgere i cittadini e i soggetti sociali.
Purtroppo non è così. A Roma si mistifica la realtà. Parafrasando Auram Noam Chomsky, filosofo e teorico della comunicazione, si può dire che l’Amministrazione comunale della capitale pratica la strategia della distrazione concentrando l’attenzione dei cittadini su argomenti poco importanti (pedonalizzazione dei Fori, piste ciclabili, car-sharing) così da portarli ad interessarsi di realtà insignificanti; a ciò aggiunge la strategia della gradualità (per far accettare una misura inaccettabile la si applica a contagocce per anni consecutivi) e quella del trasferimento (per far accettare una decisione impopolare la si presenta come dolorosa e necessaria ottenendo il consenso pubblico, al momento, per un’applicazione futura); si rivolge al pubblico come se parlasse ad un bambino (più si cerca di ingannare le persone, più si tende ad usare un tono infantile). Punta sull’aspetto emotivo molto più che sulla riflessione. Fa di tutto per mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella mediocrità. Impone modelli di comportamento. Colpevolizza i cittadini, i sindacati, le imprese, le professioni, insomma tutto e tutti. Li indica come capri espiatori per occultare l’incompetenza, la malafede, l’incapacità che invece contraddistingue la sua attività.
Occorre una svolta. Va ridato un futuro a Roma, colte le opportunità e le potenzialità, ridata la parola alla società civile, alla comunità dei cittadini, alle organizzazioni sociali ed economiche, ritrovato il senso civico: non è possibile che Roma diventi una giungla, ove ognuno cerca di vivere e sopravvivere a spese degli altri. È tempo di superare la fase delle denunce e delle recriminazioni per costruire un progetto nuovo che guardi al futuro. Un’azione comune tra le istituzioni nazionali e quelle locali capace di far crescere Roma, come si è fatto in Europa a Parigi, a Madrid, a Londra, a Berlino e in particolare in Italia a Milano e a Torino.
Il primo problema è il lavoro. Troppi giovani senza, molti dei quali sono andati all’estero. Tanti precari. I suggerimenti riguardano l’edilizia come innovazione immobiliare (intervenire sulle periferie, rottamare l’edilizia «economica» del secondo dopoguerra, investire sul verde e sugli spazi sociali); il turismo (Roma non è in grado di accogliere i turisti; proliferano i bed and breakfast il più delle volte illegali; si moltiplicano le «paninerie» e i «centri di ristoro» espellendo dal centro della città le attività commerciali ed artigianali tradizionali); la cultura (il patrimonio straordinario di Roma non è né valorizzato né tutelato; occorre investire nei beni culturali con nuove tecnologie, con la formazione degli operatori turistici, con l’accesso alle opere d’arte, con la pubblicità e la conoscenza delle offerte); nuove infrastrutture materiali e immateriali a supporto delle imprese del futuro; le aziende start-up; gli investimenti esteri.
Il secondo impegno riguarda la riorganizzazione della città metropolitana e la razionalizzazione dei servizi pubblici. Vanno affrontati i problemi della mobilità nell’intera area di Roma (un milione di persone arriva e riparte dalla capitale per lavorarvi ogni giorno), il decoro, la pulizia della città, la manutenzione delle scuole, la fornitura di digitale e web nelle periferie e ai giovani, la sicurezza dei cittadini.
Insomma, i problemi di Roma non si risolvono andando in bicicletta e praticando l’accattonaggio con un incessante pellegrinaggio nel mondo alla improbabile ricerca di benefattori e di sponsor.
Va valorizzata la partecipazione dei cittadini sia nelle decisioni (non metterli di fronte ai fatti compiuti considerandoli come dei fastidiosi e inconcludenti interlocutori) sia nella gestione, sia nella vita della città, favorendo il confronto culturale e religioso, eliminando la confusione istituzionale e realizzando la partecipazione delle istituzioni religiose alla ricostruzione della coesione sociale.
È possibile? Certamente. A Roma ci sono energie sane, enormi, potenzialità, grandi occasioni.
Si è perso già troppo tempo. Lo spontaneismo e il qualunquismo non portano da nessuna parte. Occorre valorizzare la politica. Onesta, competente, efficiente, intelligente.
Sandro Pertini diceva che bisogna servire il Partito, non servirsi del Partito. Si può dire che Roma deve avere finalmente degli amministratori che siano al suo servizio e che non la utilizzino per le loro esternazioni, per le loro carriere e stramberie. Lo scrittore polacco Lec Stanislaw nel proprio libro «Pensieri spettinati» esprime una valutazione di sorprendente attualità: «Ci adattiamo sempre più al basso, al volgare, alla stupidità. Ci troviamo, così, curvi costantemente su immondizie di parole e di idee, su escrementi di linguaggi, su scarti e cascami di pensieri. La spina dorsale dell’anima si fa così curva da non essere più in grado di levarsi verso le stelle e il cielo della morale e della verità». Va invece ricostruita la buona politica, incentivati il confronto e la dialettica nella società civile. Al confronto fatto con invettive, demonizzazioni e spettacolarità vanno sostituito il civile confronto tra opinioni, proposte, riforme necessarie.
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