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Il biodiritto e la bioetica si coniugano perfettamente in una visione laica

Maurizio De Tilla presidente dell’associazione nazionale avvocati italiani

La Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale la legge n. 40 del 2004 nella parte che vietava la fecondazione eterologa. Con tale decisione, essa ha provveduto alla ricostruzione della cornice valoriale entro la quale si colloca la discussione sulle tecniche di procreazione medicalmente assistita. La determinazione di avere o meno un figlio, anche per la coppia assolutamente sterile o infertile, concernendo la sfera più intima ed intangibile della persona umana, non può che essere incoercibile, qualora non violi altri valori costituzionali.
E ciò anche quando sia esercitata mediante la scelta di concorrere a questo scopo alla tecnica di procreazione medicalmente assistita (P.M.A.) di tipo eterologo, perché anch’essa attiene a questa sfera. La scelta di vivere l’esperienza della genitorialità non può tradursi in un divieto di carattere assoluto che, se dettato, si traduce in una norma in contrasto con gli articoli 2, 3 e 31 della Costituzione. Ciò è in linea con la piena congruenza e legittimità di soluzioni inerenti sugli assunti di fondo del modello di democrazia pluralista, nel senso di ammettere il diritto ad avere figli ricorrendo alle tecniche più opportune in ogni singolo caso, scegliendo tra quelle in un dato momento consentite dallo sviluppo scientifico.
La soluzione del problema va, quindi, ricondotta nella sfera del principio di autodeterminazione collegato al concetto di pluralismo, oltreché all’inesistenza di limiti costituzionali. Un ordinamento fondato sul principio pluralista, che riconosce secondo la prospettiva della piramide rovesciata il primato alla persona, non può imporre una visione del mondo all’individuo quando si tratta delle sue scelte esistenziali e genitoriali. Su questo piano i concetti di biodiritto e di bioetica si coniugano perfettamente in una visione squisitamente laica. Il biodiritto rientra a pieno titolo in una bioetica consapevole che è la grande rivoluzione culturale della post-modernità, luogo privilegiato per il confronto di opzioni simili.
Come anche descritto nel libro curato dallo scrivente insieme a Lucio Militerni e ad Umberto Veronesi per la Fondazione Veronesi, «Fecondazione eterologa», secondo la giurista Patrizia Pellegrino formano oggetto di attenzione critica tutti gli ambiti normativi nei quali si fissano i criteri delle scelte e delle prassi biogenetiche. Per valori morali che possono incidere nella formazione delle leggi vanno considerati i diversi insiemi di valori, principi, convinzioni fatti propri in società eticamente pluralistiche da singoli individui e da gruppi e le diverse concezioni della morale che vi sono sottese.
L’intreccio tra etica e diritto riguarda per l’appunto scottanti problemi quali la fecondazione artificiale, la sperimentazione degli embrioni, l’aborto, l’ingegneria genetica, il testamento biologico, l’eutanasia, la mappatura del gene umano. In questo quadro complessivo emerge che il dibattito bioetico esprime una forte domanda di diritto, che non è altro che chiedere una legislazione che si ispiri al rispetto della persona umana, della sua libertà e dignità. Un momento di sintesi sta proprio nel diritto dell’individuo all’autodeterminazione. Dal suo lato la bioetica porta alle libertà biologiche (estensione di quelle) stabilendo e/o allargando il concetto di uguaglianza.
Il pluralismo normativo cede poi al pluralismo sociologico, partendo dalla constatazione che le persone hanno valori diversi e apprezzano interventi di varia natura, ma esse hanno anche il diritto di scegliere e di agire di conseguenza cosicché eventuali interferenze o divieti al riguardo si configurano come mancanza di rispetto della libertà personale o violazione della stessa. Tale pluralismo normativo sancisce, infatti, la legittimità morale della scelta del cittadino del proprio piano di vita, che comprende le esigenze della genitorialità e censura come moralmente illecita l’eventuale limitazione della libertà individuale.
Si è anche parlato di un diritto «leggero» che va perseguito come il modello migliore per la soluzione giuridica delle questioni bioetiche, un diritto aperto al pluralismo e capace di scongiurare qualsiasi tentazione di imposizione di una morale. Uno Stato laico deve considerare la persona umana come punto di partenza e di approdo di qualunque speculazione giuridica e di qualunque ipotesi di intervento legislativo, e deve rispettarne, nella misura in cui ciò non contrasti con l’ordine pubblico e la sicurezza, le aspirazioni, le inclinazioni, le aspettative. In altre parole, il legislatore deve tutelare e garantire il libero svolgimento della personalità degli individui anche e soprattutto negli aspetti eticamente sensibili della vita umana, poiché proprio questi ultimi rappresentano un nucleo intimo e incoercibile, patrimonio indisponibile di ogni consociato.
La migliore dottrina costituzionalistica auspica, a tal riguardo, il ricorso a quelle che sono state definite tecniche di «soft law» o, se si vuole, di «diritto mite», nell’intento di scongiurare il pericolo di un legislatore invadente che si arroghi il compito di decidere, in sostituzione della persona, su temi che, tuttavia, riguardano esclusivamente la sfera intima di quest’ultima. Il diritto mite, in tale prospettiva, si nutre di norme «facoltizzanti», ossia, norme che non pongono divieti ma che, nel rispetto di poche disposizioni di legge, tese, per lo più, a garantire un minimum di tutela indispensabile per l’ordine pubblico e la sicurezza, consentano all’individuo di autodeterminarsi secondo la propria coscienza, cultura, religione o morale.
Non può tralasciarsi, peraltro, che, assieme al principio personalista, la nostra Costituzione ne pone un altro di pari rango - entrambi, significativamente, contenuti nell’articolo 2 - ossia quello solidaristico. Ciò sta a significare che l’atteggiamento del legislatore nei confronti della persona umana e della sua autodeterminazione non si risolve in un mero «lassez faire» di stampo liberale e ottocentesco, tutt’altro: la Repubblica ha il compito di rimuovere gli ostacoli che si frappongono tra l’individuo e il libero svolgimento della sua personalità. Da tale constatazione nasce il rifiuto, sui temi etici, di un sistema laico alla francese (la cosiddetta «laicità negativa,» costituita dal mero ritrarsi del legislatore), accogliendo una laicità positiva, ossia capace, nel rispetto del pluralismo e dell’autodeterminazione, di mettere ciascun individuo nelle condizioni economiche e sociali di poter esercitare le facoltà che il legislatore gli riconosce.  
Solo il riconoscimento del pluralismo come sfondo della convivenza sociale impedisce di ricorrere al diritto come sostitutivo di un’etica che non c’è. In sintesi, sono le caratteristiche di plasticità della materia bioetica da un lato e il pluralismo morale dell’altro lato a rendere auspicabile una disciplina giuridica leggera.
Nell’ambito dei concetti espressi si collocano, quindi, i problemi sulla fecondazione eterologa vietata dalla legge n. 40 del 2004 e consentita dalla Corte Costituzionale, affrontate nel libro della Fondazione Veronesi (edito da Utet). Nei cinque capitoli del volume sono stati inseriti i contributi di Mariarosa Tedesco, Alessia Maccaro, Marina Salvetti, Valentina De Stefano, Alessandro De Santis, Manuela Militerni e Lucio Militerni.
Con l’ausilio della fecondazione eterologa - afferma nel capitolo 1 del volume Alessia Maccaro - un uomo sterile che non produce più spermatozoi o la cui fertilità è stata irrimediabilmente compromessa in forza di un trattamento medico o, ancora, se affetto da una patologia ereditaria, può ricorrere al seme di un donatore riposto nelle cosiddette «banche del seme». Nello stesso modo una donna impossibilitata ad ovulare o alla quale è stata diagnosticata una malattia trasmissibile alla progenie, può ricorrere ad ovuli di una donatrice, così come una donna capace di ovulare ma priva di utero o con un utero malformato, può far fecondare i propri ovuli in vitro e, successivamente, trasferire l’embrione nell’utero di un’altra donna che porterà a termine la gravidanza al suo posto.
Quanto alle tecniche è evidente che si tratta delle medesime che vengono usate per la fecondazione omologa. La differenza consiste nel compimento della procedura biomedicale con il ricorso ad uno o ad entrambi i gameti di donatori esterni alla coppia richiedente. Sotto il profilo tecnico non vi è, quindi, alcuna differenza tra la fecondazione eterologa e quella omologa. Finalmente è così anche in Italia, mentre in precedenza le coppie italiane varcavano i confini nazionali per cercare di realizzare il proprio legittimo desiderio di genitorialità. La fecondazione eterologa può, infatti, ben assolvere all’esigenza di genitorialità di partner che siano irreversibilmente impossibilitati alla riproduzione.
Qualcuno ha opposto a questa scelta l’ineludibile significato e valore etico dell’adozione che riguarda, però, solo in parte il desiderio di genitorialità (come J. Raloch). Altra cosa rispetto all’adozione è l’istanza di maternità per gravidanza. Nella libera autodeterminazione la donna può preferire di sottoporsi alla fecondazione eterologa accettando il dono di gameti al fine di sperimentare la maternità gestazionale, in un rapporto materno-fetale che si instaura nell’arco dei 9 mesi di gravidanza e che culmina con il momento della nascita.
Certo, rimangono alcuni problemi che vanno legislativamente risolti, quali, ad esempio, l’anonimato del donatore, il limite dei 43 anni che non tiene conto del fatto che non sono poche le donne che hanno alle spalle diversi cicli di P.M.A. omologa non andati a buon fine. Problemi che trovano soluzione con modalità contrapposte nei diversi Stati europei (puntuale l’illustrazione di Marina Salvetti).
In Francia è previsto l’anonimato della donazione di elementi del corpo umano e il divieto assoluto di remunerazione a coloro che scelgono di sottoporsi a sperimentazioni chimiche e a tecniche di prelevamento. All’opposto in Germania è richiesta la costante identificabilità genetica e individuale del donatore. In Spagna non è previsto alcun limite di età per la donna ed è consentito l’accesso alle pratiche di fecondazione per tutte le donne sposate, conviventi o single.
Nel quarto capitolo Valentina De Stefano analizza sapientemente il quadro giuridico sotteso alla legge 40, non trascurando di ricostruire le motivazioni di un provvedimento tutt’altro che espressivo di una direttiva di libertà, che proibisce la diagnosi preimpianto, vieta la crioconservazione degli embrioni e stabilisce un limite alla creazione degli stessi embrioni. Questi ultimi due limiti, assieme al divieto della P.M.A. eterologa, sono stati progressivamente eliminati, ma ancora molte barriere faticano ad essere abbattute: il divieto di accesso a single e coppie omoaffettive, l’uso degli embrioni sovrannumerari a fini di ricerca, infine la maternità surrogata. Sulla diagnosi preimpianto è intervenuta di recente la Corte Costituzionale eliminando il divieto.
L’analisi sviluppata poi, nel quinto capitolo, da Alessandro De Santis con perizia di particolari e rigore metodologico, fornisce un quadro esaustivo dell’ordinamento giuridico italiano in relazione alla fecondazione eterologa. L’autore, muovendo da una ricostruzione della situazione precedente alla legge in questione, mostra come i rilevati profili di incostituzionalità, evidenti sin dalla pubblicazione stessa della legge, trovino una loro progressiva affermazione, fino alla piena conquista della sentenza n. 162 del giugno 2014. In tal guisa, i giudici della Consulta dischiudono prospettive senz’altro inedite, contemporaneamente provocando l’emersione di talune perplessità ermeneutiche, bisognevoli, forse, di intervento legislativo.
Infine, Manuela Militerni, in relazione al decennale dalla sconfitta del referendum abrogativo della legge n. 40 del 2004, riporta alla mente la clamorosa sconfitta del fronte laico alla luce di una odierna «rivincita», che è riscatto, invero, più che di un fronte ideologico, dei singoli e della loro scelta personalissima.    

Tags: Gennaio 2016

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