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Caso Boschi: non è tutta colpa dei giornalisti scrivere troppo presto

Bruno Piattelli, imprenditore del settore dell’Alta Moda

Quello che sta accadendo da alcuni mesi in Italia nel settore del giornalismo non presenta di per sé grandi novità rispetto al ripetersi di episodi di cui la storia ci ricorda che non dobbiamo meravigliarci. Riguarda lo scadimento della qualità della stampa, di cui occorre prendere nota. Senza assolutamente sfiorare il tema della sua libertà, ossia rimanendo lontani dal solito comportamento disfattista senza distinguo.
Perché il Vaticano certificasse la nazionalità italica del modo di vivere non era necessaria la denuncia di quanto noto e mai rilevato; ma è possibile che nessuno degli addetti abbia compiuto una qualche indagine prima di scrivere? Non abbiamo intenzione di intentare cause né di offrire difese gratuite, non ne avremmo la possibilità. Tra le accuse rivolte ai cardinali, a prescindere dalla misura di quanto loro stessi si sono attribuiti, figura la «metro-quadratura» dei loro appartamenti. Ma chi l’ha scritto, è mai entrato entro le Mura che delimitano lo Stato del Vaticano? Ha mai ben osservato le «palazzine», le ha mai visitate? 
Quelle case sono lì da secoli, immobili e intoccabili prima ancora che per norme e vincoli di protezione, perché tale è la loro struttura e non le si possono ridurre a pied-a-terre o loft con cucinino per single. Quindi gli assegnatari non ne sono colpevoli, in caso sono dei fortunati. Se poi si parla invece degli investimenti compiuti per gli arredi, cambia del tutto l’argomento. Ma il distinguo è necessario e importante. Che i politici approfittino di ogni stormir di foglia che si verifichi, purché il fruscio permetta loro di parlar male dell’avversario sappiamo che tale comportamento fa parte del loro mestiere. Ma il giornalista non di partito non può e non deve alimentare opinioni se non suffragate da esempi provati di scorrettezze eventualmente compiute dal soggetto o dalla sua «corrente» presi di mira.
È noto il presupposto di scorrettezze o di conflittualità di interessi attribuiti a Maria Elena Boschi, ministro delle Riforme Costituzionali e dei Rapporti con il Parlamento, nel contesto delle 5 banche incriminate. A parte il principio per cui non si dovrebbe parlare prima dell’emanazione di giudizi istituzionali senza aver svolto indagini ed essere in possesso dei relativi risultati, senza conoscere e bene tutte le carte, senza averne parlato con le parti in causa;  quanti altri elementi non consentirebbero di «sparlare» semplicemente seguendo la logica? Nel caso particolare non si sapeva se il padre del ministro avesse colpe in merito o meno.
Sarebbe un principio elementare la necessità di attendere un’indagine e conoscerne l’esito. Abbiamo letto invece che il padre in questione era stato nel tempo funzionario di una delle banche sotto osservazione: poi, richiamato e nominato vicepresidente. Posto che abbia male agito (problemi suoi in merito, in caso d’inchiesta con risultati negativi), qual è il rapporto tra la sua azione e quella del ministro Boschi? È sembrato poi che il Governo abbia parlato di cinque banche e che, attraverso il ministro, abbia coinvolto nel bene o nel male altre quattro banche per salvare quella del padre del ministro stesso. Da cosa? Sorge poi il dubbio, stavolta demagogico, che non fosse vero che la Boschi avesse investito nei «maledetti» titoli; se lo fosse, non c’è altro di cui parlare.
Il ministro dell’Economia e delle Finanze Pier Carlo Padoan ha proclamato che il ministro coinvolto ne sarebbe uscito con tutto il rispetto. Ma è la responsabilità di quanto avvenuto non è dei giornalisti, ma dei politici. Anche un ministro deve attendere prima di parlare, oppure deve dire tutto e renderne ragione.
Ovviamente il discorso sulle banche è tutto un altro, ma anche in esso si trovano storture. Parlar male delle banche è facile, ma non ci mettiamo a difenderle. È appurato che gli impiegati agli sportelli e fuori abbiano suggestionato e indotto il pubblico e, con facilità quello definito più debole, alle sottoscrizioni con maggiore o minore capziosità. Ma nessuno parla di coloro che hanno accettato, sia pure coscienti del rischio, nella speranza di guadagnare molto con poca fatica. Se questi signori o signore avessero eventualmente guadagnato, avrebbero riconosciuto qualcosa alla comunità, dalla quale ora chiedono il rimborso dell’investimento perduto?
Non abbiamo letto rilievi degni di attenzione da parte di giornalisti anche specializzati. Non è corretto. Speriamo che il progetto del Governo di operare controllando caso per caso - lavoro improbo ma necessario - sia realizzato. È un dovere di correttezza, ma stavolta al contrario.        

Tags: Gennaio 2016 giornalisti

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