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Capitale Europea della cultura: c’è spazio per l’Italia?

Breslavia, Ostrów Tumski, l'Isola della Cattedrale

Quella di capitale europea della cultura è una coccarda che da trent’anni si appunta su stemmi, loghi & co. di cittadine e metropoli del Vecchio Continente. È tempo di bilanci ora che alla polacca Breslavia ed alla spagnola San Sebastiàn (Donostia in basco, per nostalgici e puristi) è appena passato il titolo dalla boema Pilsen (sì, quella della birra ceca) e da Mons (il Belgio francofono caro a Van Gogh). E di previsioni, perché il conto alla rovescia per Matera 2019 segna meno mille giorni. L’iniziativa - che inizialmente si chiamava «città europea della cultura» - è stata ideata da due ministri socialisti: la greca Melina Mercouri e il francese Jack Lang. È l’estate del 1985, Spagna e Portogallo hanno appena sottoscritto l’ingresso nella Comunità economica europea e le prime firme vengono poste in calce agli accordi di Schengen.
Tre decenni intensi per l’Europa - con meno vessilli sui Balcani, più frontiere altrove, due Germanie e niente euro. Riavvolgiamo il nastro con l’elenco dei riconoscimenti assegnati: quello numero uno della lista va ad Atene, tocca poi a Firenze, Amsterdam, Berlino col Die Mauer in piedi (e i suoi solerti check point ancora attivi) - e Parigi. Iniziano gli anni Novanta e il titolo vola oltremanica (prima a Glasgow poi a Dublino), fa scalo a Siviglia (nell’anno dell’Expo), omaggia Anversa e premia infine Lisbona. Un primo decennio di tenore  autocelebrativo e formale in cui si riconosce più il già fatto - con la notevole eccezione della città scozzese, più attiva e dinamica delle altre - che i programmi concreti su quanto si vuole creare in futuro.
La nomina della capitale della cultura spetta ai dicasteri nazionali della cultura (sarà così per un altro decennio) e le cose cambiano soltanto a metà percorso, quindici anni fa: due città alla volta, rotazione dei Paesi, commissioni miste per i processi di selezione, tempi più lunghi per il percorso dalla candidatura all’assegnazione e da questa all’anno in cui ci si fregia del bollino spedito da Bruxelles.
Si consolida così la tendenza a includere anche centri «minori» (come Graz, Cork, Sibiu) e le capitali europee delle cultura acquistano una fisionomia. Incerta ma più chiara, attraversa lo spettro che va dal modello showcase effimero - un anno di eventi più o meno culturali (spente le luci dell’ultimo in calendario, quello che resta è poco)- al lancio o al rilancio di realtà «impolverate» ma pronte a cogliere l’opportunità e trarne benefici duraturi. Cinque su tutte: Lille (Francia, 2004), Liverpool e Stavanger (Inghilterra e Norvegia, 2008), Guimarães (Portogallo, 2012), Umeå (Svezia, 2014). Cos’hanno in comune?
Con l’eccezione della minuscola lusitana, Cenerentola tra le grandi, le cose funzionano meglio nei contesti economici in cui la miscela di finanziamenti privati e pubblici è matura e consolidata. Coi primi sostenuti e trainati da risorse stabili ed i secondi gestiti con un occhio (e un portafogli) che investe su ricerca, innovazione ed istruzione. È infatti in quegli ambiti, accademici e non, che l’idea di cultura si afferma nel senso più ampio di sperimentazione tecnologica e d’avanguardia. Scandinavia e Germania su tutte, col caso emblematico di Essen: è stata Capitale europea della cultura nel 2010 e sarà capitale europea verde l’anno prossimo.
Con trent’anni di casi di studio qualche analisi si può fare per cercare di individuare eventuali pattern - negativi e positivi - e tentare di far luce sulle varie dimensioni (economica, sociale, culturale, politica) oltre all’esame dei singoli casi. Uno degli sforzi più recenti l’ha sostenuto la Divisione generale per le politiche interne dell’Unione europea nel suo «Capitali europee della cultura: strategie di successo ed effetti a lungo termine». Usa molta cautela con i dati e parecchi condizionali nelle conclusioni, segnalando che l’organicità di valutazioni approfondite è tardiva e carente. Ma più necessaria che mai. Le ricadute sul dinamismo culturale vengono riconosciute per la maggior parte dei casi esaminati e si fanno più solide soprattutto negli ultimi dieci anni. Per quelle economiche si segnala un primo caveat: sulla creazione di nuovi posti di lavoro i dati non confortano (né smentiscono) l’entusiasmo di molti, l’impatto positivo a breve e medio termine viene invece dato per generalizzato e tocca il massimo in tre città: Glasgow (2009), Liverpool (2008) e Linz (2009).
Il capitolo sugli sviluppi «fisici» (sic) è quello più dolente e lascia intendere che per molte città la realtà di investimenti in infrastrutture è stata generalmente inferiore alle attese. Su questo aspetto altre ricerche dissentono, segnalando trend di interventi migliorativi (soprattutto nei trasporti) in relazione virtuosa con indicatori economici nelle città e nei territori intorno. Il nodo resta quello dell’effettivo miglioramento degli stili di vita e delle opportunità per chi resta e si scioglie solo traducendo la vetrina di dodici mesi in una componente integrante delle politiche di welfare.
Pier Luigi Sacco, docente all’università Iulm di Milano, è uno degli esperti più accreditati di relazioni tra dinamiche economiche e meccanismi di sviluppo culturale. A Specchio Economico racconta che «il modello nordico si è in effetti dimostrato, nel suo complesso, il più attrezzato a cogliere i vantaggi di breve e medio periodo che le capitali europee della cultura offrono. Probabilmente saranno ancora più solidi nel lungo periodo. È anche vero che, contesto a parte, l’entità delle risorse a quelle latitudini economiche è ben più ingente che altrove e fa la differenza. In Germania si ragiona soprattutto per distretti, la Ruhr è l’esempio più classico (ma non l’unico) di locomotiva a trazione industriale».
Ma con vagoni tutti diversi, c’è anche altro. «Infatti, puntando su nuovi settori non convenzionali alla lunga si hanno più chances. E i circoli virtuosi economia-arte-scienza danno i loro frutti, partendo proprio dalla cultura in senso lato. La francese Lille, per esempio, ha puntato su politiche culturali diversificate e armonizzate in un sistema composito di interventi. Radiale e mirato. Creato intorno un’idea condivisa e promuovendola in reti locali. Credo che abbia funzionato più di quanto ci si aspettasse. E, soprattutto, ancora regge oggi».
E il resto dell’Europa? «Quella orientale ha un po’ deluso ma potrebbe stupirci in positivo, già da quest’anno. L’area mediterranea regala, poi, il consueto panorama di ombre e di luci».
Capitolo Italia. Quando è toccato a noi abbiamo fatto poco, tracciando un solco appena accennato e svanito in fretta: è stato così agli esordi (Firenze, 1986), idem con Bologna (2000) e Genova (2004). Con Matera sarà diverso? Quando Alcide De Gasperi ordina lo sfollamento dei Sassi con una legge speciale, il Belpaese scopre la «vergogna d’Italia» (sic) e si costerna. Sono passati sessant’anni da allora e quell’amalgama di rocce e umanità s’è rifatto il look, ha visto i ciak di Mel Gibson e Pier Paolo Pasolini, vissuto vicende politiche alterne. Ed ha avuto la meglio di un soffio (sette voti su tredici) nella competizione con le altre candidate per il 2019: Cagliari, Lecce, Perugia, Ravenna e Siena. È un comune piccolo - tutti i residenti siederebbero comodamente a San Siro e rimarrebbero migliaia di posti vuoti - in una regione in cui una persona su cinque ha più di sessantacinque anni e il numero medio di figli per donna supera di poco l’unità. Sullo stemma lucano campeggiano quattro fiumi ma due di questi sono sbarrati e pompano acqua altrove, in zone più popolose e con campi più assetati.
La sfida di Matera è quindi quella di una rinascita di un intero territorio - sparso ma non sperso - ben oltre i pieni ed i vuoti delle cavità del capoluogo e quelle demografiche. Passa per i calanchi di Aliano in cui Carlo Levi riposa, s’arrampica in cima alla Valsinni di Isabella Morra, sale e scende i vicoli di Tursi in cui echeggiano i versi di Albino Pierro.
Tre itinerari culturali, appunto, tra i tanti: altrettante gemme preziose di una collana da riempire e far brillare anche dopo il 31 dicembre. Un capitale culturale per la capitale della cultura.    

Tags: Febbraio 2016 Europa cultura Federico Geremei capitale della cultura

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