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Ettore Scola: addio al maestro del cinema italiano

Ettore Scola, regista cinematografico  e sceneggiatore scomparso  lo scorso 19 gennaio

ètroppo facile parlare di un grande uomo. Se naturalmente semplice nel pur complesso mondo intellettuale in cui ha vissuto, nella sua capacità unica di diversificare i temi di svolgimento del suo lavoro, difficile è tradurre la sua interpretazione della vita raccontata nell’immaginario come nel dettaglio pratico del quotidiano. Mi riferisco ad Ettore Scola.
Eravamo giovani e, come di dovere per l’età, ci accanivamo sui temi politici che attanagliavano noi come tutto il Paese. Lui e Gigi Magni, comunisti con dei distinguo tra loro, io sparuto liberal sia pure pendente a sinistra. Sembrava che stesse per crollare il mondo e noi, dialettici ed impetuosi a spiegarci, gli uni contro gli altri, su cosa ritenessimo fosse necessario fare per sostenerlo: il piacere dell’onestà del pensiero reciproco, quando si discute, permette di esprimere cose che altrimenti non verrebbero fuori a causa del timore di essere fraintesi. Questo va riconosciuto alla generazione, l’entusiasmo e la buona fede; che poi le idee fossero più o meno valide conta una frazione di secondo meno.
L’elenco dei capolavori di Scola forse lo conosciamo a memoria e non ci viene mai meno una reminiscenza di meraviglia. Ciascuno di noi, per le motivazioni che conosciamo, sussulta pensando a ciò che si è fissato nella mente come un elemento indelebile. Un giorno, cercando di mettere ordine, mi sono trovato tra le mani tre cassette di «Una giornata particolare». Avveniva che ogni volta, a qualsiasi titolo fosse edito il film, sentivo il bisogno di non farmelo mancare, malgrado lo conosca nei dettagli, e già l’avessi in casa pur dimentico o non curante di averne. Che devo commentarne, soggetto, interpretazione e musiche? Quella giornata, è il caso di dire, «io c’ero»; su Viale Marco Polo, vestito da balilla, con le cosce al freddo dalle cinque del mattino, protetto, sotto la camicia, da giornali di cui mia madre mi aveva prudentemente avvoltolato, con i miei compagni della legione moschettieri di undici anni insieme a centinaia di giovani schierati a rendere omaggio ad Adolf Hitler che arrivò a mezzogiorno alla stazione Ostiense e passò fugace davanti a noi stanchi, infreddoliti e soprattutto incoscienti di cosa stesse accadendo nel mondo.
Scola ha immaginato e reso interpretabili due grandi personaggi, che Armando Trovajoli, con la sua musica (in seguito avrebbe ottenuto il Nastro d’argento alla migliore colonna sonora del 1978), ha reso psicologicamente comprensibili, e ha reso visibile l’atmosfera di un esterno che incombe senza essere visto come una favola al di fuori del tempo e, come tale, eterna. Questa storia ha raccontato con una sottigliezza che ha trasmesso la profonda, reale e amara tragedia che si stava svolgendo.
Senza parlare di «Ballando ballando», del 1983. L’arte fa di questi scherzi. Quando proponemmo a lui, a Gigi Magni, a Carlo Lizzani, al  maestro Francesco La Vecchia allora direttore artistico dell’Orchestra Sinfonica di Roma, di portare quest’ultima nei luoghi romani del Poema Sinfonico di Ottorino Respighi - i tre registi che di Roma sapevano e avrebbero potuto raccontarcela ancora una volta - fu Ettore a farci desistere: quando mai ci permetteranno, si oppose, di girare dovendo necessariamente sospendere, e a lungo, il traffico e con tutto quello che ne sarebbe conseguito? Nel contempo quindi basico, pratico, essenziale. Ma quanto ne parlammo. Un signore che della cultura non faceva ostentazione, ma che da lui sprizzava da ogni azione ed ogni pensiero, al di là della trita retorica che invece gli era attribuita per ritualità.  

Tags: Marzo 2016

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