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Loghi (comuni) e luoghi (non comuni): il microuniverso del design svedese

Vandalorum Center for Art & Design

Småland è una regione della Svezia grande come il Friuli Venezia Giulia ed il Veneto messi insieme. Trentamila chilometri quadrati in cui la locomotiva dell’industria nazionale sbuffa e sfreccia tra pini, faggi e betulle, laboratori e magazzini, laghi e loghi. Epica forse retorica ma non azzardata ché da queste parti le crisi economiche le anticipano e le schivano, quando ce la fanno le cavalcano. Tra qualche basso e parecchi alti. Non è però come il nordest nostrano, questo sudovest svedese sposta il baricentro del Paese verso latitudini variabili - Copenhagen è più vicina di Stoccolma - integrandosi nell’ecosistema geografico locale e in quello, più ampio, economico.
Qual è il vostro segreto? «Competiamo se dobbiamo, collaboriamo quando possiamo»: Anders Wisth («project leader» del cluster del mobile) taglia corto, compiaciuto e convinto. È un mantra che tutti qui ripetono, dagli amministratori delegati delle aziende a tanti zeri (ce ne sono parecchie), ai collaboratori esterni e part time, passando per analisti indipendenti e clienti. «Abbiamo un nome per questa nostra filosofia di produrre». Gnosjöandan? «Esatto, lo spirito della Gnosjö»: una zona della regione ad alta densità di imprese e di profitto, da lì si innerva la linfa di questa specie di Ruhr scandinava.
Secondo alcuni la sua matrice ha componenti precise: l’indigenza dei decenni più bui dei due secoli scorsi, le condizioni climatiche severe ma non ostili, un suolo generoso di alberi ma poco redditizio per le sementi ed il senso di comunità tenuto insieme dal collante religioso. Tutto questo avrebbe forgiato una mentalità concreta, collaborativa e ricca d’ingegno. Come altrove, certo. Ma qui funziona più e meglio, perché? «Poiché quando capisci che devi contare su te stesso ma puoi coinvolgere altri, più esperti e migliori di te a fare quello che sanno fare, hai una gamma di opzioni di intervento molto ampia» - chiosa. «E qui le opportunità sappiamo coglierle». Vale per le piccole e medie imprese, ma le grandi? Iniziamo dunque con i due colossi «storici» dello Småland: Ikea e Husqvarna.
Il gigante gialloblu è stato fondato settantatré anni fa, il suo ideatore e presidente-sempre-in-carica Ingvar Kamprad ha appena compiuto novant’anni. Il lettore faccia i conti, scoprendo così che il marchio globale più noto del settore l’ha creato un teenager. Epopea da romanzo e bilanci da record si alimentano da mezzo secolo ed il raggio d’azione si espande su buona parte delle terre emerse sopra l’equatore. In Italia presidia quindici regioni con ventuno punti vendita, l’ultimo anno ha registrato quasi cinquanta milioni di visitatori ed un fatturato di oltre un miliardo e mezzo di euro. Tutto è nato e resta controllato lì, tra foreste, binari e capannoni. Del resto se le prime due lettere sono le iniziali del magnate, le altre due omaggiano Elmtaryd e Agunnaryd, toponimi locali.
Chi vuole avvicinarsi alla galassia Ikea non ha solo cataloghi e megastore a disposizione: può mettersi in viaggio per Älmhult, dormire all’Ikea hotel (al numero 1 di Ikeagatan, ovviamente) e visitare l’Ikea museum. Il primo esiste da parecchio, è stato pensato come un motel statunitense (vintage e avveniristico allo stesso tempo) ed è oggi in piena fase di ristrutturazione ed ampliamento. Il secondo a fine giugno apre i battenti nel primo capannone dove la saga di mr Ingvar ha preso le mosse. Settemila metri quadrati di amarcord documentale, approfondimenti e aneddoti. E molto altro.
Non si guarda solo al passato, si punta a sublimare il «design democratico» (sic) e i suoi quattro pilastri (prezzo, stile, sostenibilità, funzionalità) sperimentando e aprendosi alle nuove sfide. Quella dell’integrazione tra i dipartimenti non è cosa da poco, la galassia si fa sempre più coordinata e densa di talenti e processi. E l’apertura verso l’esterno lo è forse ancora di più. Inevitabile ma non per questo scontata: «Condividiamo sempre di più e in fasi sempre più a monte del processo», ci racconta Per Krokstäde, diversi anni passati in dipartimenti diversi e oggi responsabile di Vitality, la linea a vocazione più artistica dell’azienda. «Non ha senso proteggerci in maniera ottusa e chiuderci a riccio, la trasparenza è un valore, con le dovute cautele. Ma c’è più da guadagnare che da rischiare». Segno dei tempi, anche Ikea aggiusta la rotta, tra prototipi in bella vista nello spazio comune di IoS (Ikea of Sweden), anteprime su Instagram e nuove forme di coinvolgimento.
Husqvarna ha oltre tre secoli di storia: i primi centocinquant’anni al servizio dei fanti della corona, il secondo secolo e mezzo l’ha trascorso spaziando tra stufe, macchine da cucire, motociclette (compresa la parentesi con la nostrana Cagiva) e motoslitte, tagliaerba e seghe elettriche. Il museo dell’azienda - ad Huskvarna, con la V e a pochi chilometri da Jönköping - è un campionario storico e industriale notevole. Compendia tanto del tantissimo che ha prodotto e permette di farsi un’idea del tessuto produttivo dello Småland. Le sue trame più spesse intrecciano parecchie fibre, concentriamoci su tre in particolare: mobili, design di interni, vetro. Il comparto dell’industria dei mobili svedese è l’unico in tutto il panorama europeo che negli ultimi anni ha conosciuto trend costantemente col più davanti.
Il modello dei consorzi di piccole imprese (non l’unico ma quello più diffuso) continua a garantire gli standard elevati di qualità che ne hanno decretato il successo. Questi si basano però - soprattutto da queste parti e coi modelli virtuosi messi in piedi in decenni di affinamenti reciproci tra manifatture iperspecializzate - su investimenti in ricerca ed innovazione significativi. E strategie di lungo periodo. Le seconde non mancano, per i primi bisogna alzare di continuo l’asticella della competitività di medio periodo e gli incassi del breve. L’export in questo quadro a tre velocità continua ad essere cruciale e il comparto è il più orientato alla vendita all’estero della media europea: è al terzo posto per i mobili da ufficio e al quinto per quelli da cucina. Dove vende di più? Tre quarti dell’export va ai vicini scandinavi (con la Norvegia in testa) ed in Germania (a sua volta leader a cui fornire componenti da assemblare).
Le cifre relative (quote di mercato e tassi di crescita) reggono, quelle assolute sono ancora più interessanti, se messe in relazione all’entità di un contesto geografico e demografico particolare. Che orbita intorno a due poli. Un breve giro a Lammhult e dal finestrino scorrono le insegne di Svensson, Lammhults, Norrgavel. La bella cittadina di Värnamo è un hub di design, sposta di continuo la linea tra artistico e artigianale (e ne ridefinisce il senso), sublimandola spesso nell’industriale «d’autore». Due nomi su tutti: Bruno Mathsson e Sven Lundh. Per il primo dei due maestri - entrambi visionari ma coi piedi per terra e l’ossessione di forme geniali ed utili - la visita obbligata è quella al Bruno Mathsson Center. L’impronta e la filosofia del secondo è portata avanti dalla sua famiglia, l’azienda Källemo. Per il resto c’è il Vandalorum: è un centro d’arte alle porte della città, si occupa di esporre e raccontare, stupire ed informare. L’aveva ideato Renzo Piano, immaginando dei moduli architettonici espositivi ispirati ai granai locali, il progetto è però stato rivisto. Oggi qui si fa anche ricerca sui rapporti tra l’arte applicata ed il design, arricchendo il ricco parterre di sovrapposizioni e collaborazioni tra designer ed operai, fucine di talenti e fornaci.
Lasciamo per un po’ gli showroom, i torni, le stampanti 3D. Mettiamoli sullo sfondo e parliamo di hotel. Per tre motivi: Primo, se si fa un giro da quelle parti qualche segnalazione può rivelarsi preziosa. Secondo, rappresentano due delle realtà ricettive della regione emblematiche di altri elementi utili a comprendere il mondo-Småland del business informale, attento e professionale. E sono indipendenti: non hanno ceduto alle allettanti opportunità che l’ingresso in un gruppo alberghiero consente e preferendo restare padroni delle proprie imprese. E poi, terzo ma non ultimo, restano in linea con questa esplorazione: il Vox (a Jönköping) e PM och Vänner (Växjö) sono scrigni di design in forma di albergo che valgono un soggiorno in sé.
Un terzo nome, già che ci siamo (e rimanendo in tema) si aggiunge alla lista: il Kosta Boda Art hotel è farcito di arte in vetro, guarnito con interventi d’arti figurative e si trova nel centro del centro del Glasriket. Significa «Regno del Vetro», nello Småland si produce dalla prima metà del Settecento. Molto da quell’era è cambiato ma non s’è mai smesso. Ha conosciuto il boom degli anni Cinquanta e Sessanta, gli stalli del decennio successivo ed il nuovo continuo rilancio da allora, con un’impennata dal 2012. Oggi l’arco di realtà produttive è particolarmente dinamico. Ci sono i grandi Kosta Boda e Orrefors (il primo ha comprato il secondo di recente, il marchio è dunque uno), gli incatalogabili, talentuosi e geniali maestri riconosciuti di Transjö Hytta, qualche attore medio (Målerås, tra le tante). E poi c’è la Glass Factory. È la realtà più innovativa e moderna, sperimenta tecniche e conserva la memoria delle varie epoche del vetro dando vita ad una specie di accademia dei mestieri 2.0. Ambisce, con buone probabilità di successo, ad un piccolo Rinascimento made in Sweden - lontano dall’Arno (e dalla Laguna).
Il viavai di camion e vagoni, taxi & co sposta tronchi e pallet, uomini d’affari e designer con un laptop come valigia. Incessante ma non frenetico, tratteggia un affresco in movimento che si sovrappone al quadro della natura. E pare compiersi l’impresa di una densità di attività produttive che copre tutto l’arco dall’atelier artigianale all’impresa oversize senza compromettere l’integrità dell’ambiente su cui insiste, capillare ma non invasiva. Non più, merito forse di protocolli di salvaguardia rivisti continuamente al rialzo e integrati nell’ecosistema imprenditoriale.
I mobili non saranno un souvenir semplice da portare a casa, il cristallo in valigia crea troppi pensieri. Meglio allora partire dalla bellezza di un disegno e di una mappa per conoscere i luoghi, scrigni di sapienza e cultura. Del fare, certo. Ma dell’ospitare, soprattutto.    

Tags: Maggio 2016

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