gli ulteriori passi compiuti dal legislatore per salvare le imprese in crisi
Nel numero scorso di Specchio Economico ho dato conto dei risultati di una speciale giornata di lavori svoltasi a Roma sul confronto, in termini di efficienza e di apprezzabilità, dei risultati offerti dalla normativa americana, e dalle sue regole di applicazione, in tema di riorganizzazione delle imprese in crisi rispetto al contesto italiano, all’attuale stato dell’arte della nostra legislazione concorsuale, in relazione allo stesso tipo di procedure. Il motivo dei risultati che le procedure americane offrono, soprattutto garantendo e assicurando con grande velocità la ripresa e il riequilibrio della situazione economico-patrimoniale e produttiva delle imprese in crisi, ci è stato illustrato in particolare da James M. Peck, giudice del più grande crack finanziario di sempre ovvero della Lehman Brothers. Tale motivo consiste nella capacità, in termini molto pragmatici, di «mettere d’accordo» il debitore e i vari creditori, anche con l’aiuto del giudice, che deve essere in grado di porre in essere una vera e propria attività di mediazione e, occorrendo, di «anticipazione del giudizio», per trovare soluzioni realistiche ed eque, soprattutto paragonando il trattamento riservato dal piano di ristrutturazione ai creditori recalcitranti, rispetto ai risultati di un’eventuale alternativa liquidatoria. Tale valutazione tiene conto del contesto più generale e risulta sensibile agli interessi più estesi collegati alla continuità dell’attività dell’impresa in crisi. Quindi il negoziato tra creditori delle varie classi ovvero tra creditori e debitore, la mediazione, la varietà e la flessibilità delle soluzioni che gli avvocati, gli esperti, i consulenti sapranno offrire agli interessati, con l’intervento del giudice nei casi più difficili, riescono a dare risposte in termini molto veloci e a concludere procedure complesse in modo essenziale ed efficace per tutti gli interessati. Il messaggio culturale ricevuto si fonda sulla consapevolezza generale che la crisi di un’impresa costa a tutti; che è interesse di debitore, creditori e stake holders, di collaborare perché questa fase negativa si concluda al più presto possibile, salvando quanto ancora c’è di buono nell’impresa, perché più tempo passa più i costi e le perdite aumentano e inutilmente si distrugge ricchezza. Qual è la situazione italiana? In realtà dal 2005 in poi abbiamo visto emergere, attraverso numerosi interventi legislativi, modifiche e innovazioni che guardano anche all’esperienza americana e tentano di tradurla in soluzioni italiane. Purtroppo non tutto è mutuabile, non tutto può essere inserito nel contesto procedimentale e processuale del nostro sistema concorsuale. Le due economie sono significativamente diverse, e così il contesto culturale, sociale e occupazionale. In ogni caso, però, i sistemi innovativi che oggi in Italia vengono offerti al debitore e ai suoi creditori sono senz’altro degni di considerazione, e rappresentano sensibili miglioramenti nella prospettiva del recupero di efficienza degli strumenti normativi, oggi a disposizione, per soccorrere l’impresa in crisi. Il primo esempio è costituito dal cosiddetto «piano attestato» previsto dall’articolo 67, terza parte, lettera D della nuova legge fallimentare. Ebbene un attestatore, un esperto indipendente deve esaminare se quel determinato programma di risanamento, una volta realizzato, sia effettivamente in grado di restituire alla società in crisi una prospettiva di stabilità e di continuità produttiva. Recentemente il legislatore con i provvedimenti sulla «competitività» ha perfezionato il metodo già iniziato modificando la norma preesistente, disponendo che il piano non resti nel cassetto del debitore o del creditore, in attesa di diventare pubblico solo in caso d’insuccesso, qualora si pervenga al fallimento e quindi debba essere evitato che le obbligazioni previste in esso possano essere messe in discussione, o considerate sospette dal curatore del fallimento successivo, dando luogo ad azioni revocatorie, o possano essere ritenute rilevanti in sede penale. Quindi il legislatore ha disposto che il piano venga depositato presso il Registro delle Imprese conseguendo così certezza di esistenza giuridica anche nei confronti dei terzi. Correlativamente, il legislatore ha abbinato all’esenzione da revocatorie o da iniziative di carattere penale, in ordine alle obbligazioni previste dal piano ed eseguite dal debitore, specifiche sanzioni penali per l’attestatore «infedele», ovvero per il tecnico che dia ai creditori, una rappresentazione non veritiera, o incompleta della realtà dell’impresa in crisi, ovvero non effettui quegli accertamenti necessari per poter considerare «in scienza e coscienza» quel piano di risanamento, effettivamente realizzabile. Da un lato vengono sottolineate come indispensabili determinate qualità professionali quali la preparazione, l’indipendenza, l’integrità, l’affidabilità, la fiducia pubblica che sono propri del lavoro demandato all’attestatore; dall’altro per chi sbaglia vengono previste specifiche sanzioni penali. Dalla metà di settembre 2012 sono entrati in vigore, inoltre, nuovi istituti e nuove opportunità per l’impresa in crisi. Infatti le iniziative legislative previste in tema di piano di ristrutturazione di cui all’articolo 182 bis della legge fallimentare, e di concordato preventivo di cui all’articolo 160 della stessa, sono ancora più marcatamente orientate alla salvaguardia dei valori dell’impresa in continuità di produzione. Il legislatore con numerose previsioni si è preoccupato di fornire assistenza al debitore in una fase particolarmente delicata. Ovvero quando lo scricchiolio della sua situazione economico-produttiva finanziaria diventa evidente e si deve porre mano o ad un piano di ristrutturazione, o ad un concordato preventivo nelle situazioni più gravi. In entrambi i casi si può presentare una domanda, cosiddetta «in bianco» o «prenotativa», o di «preconcordato», per ottenere un periodo «di grazia» di 60 giorni prorogabili per altri 60, necessario a poter mettere a fuoco ed a predisporre un Piano di risanamento. Il debitore resta alla guida della propria impresa e con la semplice presentazione della domanda, corredata dagli ultimi bilanci, ottiene il blocco di tutte le azioni esecutive individuali sui beni aziendali, ovvero «l’automatic stay» come direbbero gli americani, esteso anche alle procedure di carattere cautelare o urgenti, in via anticipata rispetto al completamento più faticoso specie per le situazioni più complesse, sia del piano con i suoi allegati sia dei documenti e degli atti necessari, previsti per legge. Il debitore e i suoi tecnici potranno lavorare con maggiore tranquillità poiché con il deposito in tribunale della domanda prenotativa anche le banche che hanno concesso fidi al debitore non potranno ridurli, ma dovranno accompagnare il debitore in questa fase delicata, finanziandolo come in precedenza. Quindi niente richieste di rientro, niente interruzioni improvvise nell’erogazione del credito che occorre alla prosecuzione ordinaria della vita dell’impresa. Con la continuazione del sostegno finanziario che i creditori istituzionali, ossia le banche, ed anche i fornitori strategici sono chiamati a fornire, l’impresa in crisi viene sorretta proprio quando le esigenze finanziarie si fanno più pesanti. Ma di più. La nuova finanza necessaria a realizzare le esigenze del piano, anche nella fase della sua predisposizione, può essere concessa perché godrà della prededuzione, cioè verrà rimborsata prima, anche in caso di fallimento del piano e dell’impresa, rispetto al pagamento di ogni altro credito. È una misura di forte impatto, efficace perché consente all’azienda di godere di mezzi economici che normalmente, prima delle novità normative in esame, non venivano concessi. Ed ancora: mentre la normativa ordinaria prevista nel codice civile impone ai creditori soci, cioè ai soci che hanno fatto finanziamenti alla società, di rispettare la cosiddetta «postergazione» - ovvero il pagamento del proprio credito potrà essere ottenuto solo dopo il pagamento di tutti gli altri creditori, naturalmente nei limiti e se i mezzi economici residuati lo permetteranno -, invece la normativa concorsuale in vigore, che rappresenta un ulteriore passo compiuto dal legislatore di venire incontro alle necessità finanziarie dell’impresa in crisi, prevede che i finanziamenti compiuti dai soci per consentire la presentazione della domanda di concordato preventivo o del piano di ristrutturazione, godano anch’essi della prededuzione, purché effettuati in modo documentalmente regolare, ed anche al fine di pagare le spese dei professionisti che ricevono il mandato di assistere il debitore per la realizzazione di questa complessa attività. Ebbene questa cornice normativa, che si va ispessendo a supporto di una visione che fino ad un decennio fa era assolutamente impensabile, dimostra che la nostra legislazione concorsuale ha compiuto una rivoluzione copernicana: dalla criminalizzazione del debitore siamo passati alla valorizzazione dell’impresa in crisi, alla difesa dei valori che può ancora esprimere. Questa diversa cultura dovrebbe concretarsi nell’emersione della crisi d’impresa nella sua fase iniziale, quando il suo superamento dovrebbe risultare più facile e immediato. In realtà continuano ad emergere ostacoli di carattere abitudinario e consolidato, che rallentano la portata e il cammino della ripresa in termini di effettiva efficacia ed efficienza. Nei tribunali italiani si è verificato un massiccio deposito di queste domande cosiddette in bianco o di concordati prenotativi. Bisognerà attendere la prova dei fatti per conoscere qual è il reale contenuto di questi concordati, se effettivamente riguardano un’impresa vitale o verranno rigettati perché l’impresa che si consegna all’esame dei suoi creditori e del tribunale è in realtà defunta, e purtroppo i mesi concessi dalla legge per la predisposizione e l’approvazione del piano sono stati impiegati dal debitore per prosciugare le ultime risorse disponibili. Infatti l’ostacolo più importante da eliminare risiede nella cultura del debito che alligna nel nostro Paese; spesso il debitore è il peggiore nemico della propria impresa, perché si preoccupa di far emergere la propria situazione di crisi allorquando il dissesto non solo si sia manifestato, ma sia diventato irreversibile. Si avverte sul tema, quale ulteriore ostacolo, anche la reale mancanza di strutture bancarie deputate specificamente all’analisi e all’assistenza di questo tipo di fenomeni, vicine al debitore in crisi, capaci di erogare nuova finanza quando effettivamente occorra. In realtà il nostro legislatore sta operando in profondità, ha iniziato ad ovviare alla mancanza di una disciplina che difenda realmente la continuità aziendale, per esempio ha introdotto la possibilità per l’impresa in crisi di liberarsi anticipatamente dei contratti divenuti eccessivamente onerosi, riconoscendo un indennizzo equo. Naturalmente con la sola domanda prenotativa non potrà essere raggiunto questo effetto definitivo, ma potrebbe richiedersi in prima battuta la sospensione di quei contratti. Da questi provvedimenti contenuti nel decreto Sviluppo e dai provvedimenti entrati in vigore lo scorso settembre, si trae il convincimento che siamo in presenza di una moderna e funzionale pluralità di soluzioni per risolvere i problemi della crisi d’impresa. Il gran numero di domande depositate nei tribunali dimostra che l’iniziativa legislativa ha offerto tempestivamente agli imprenditori, in tempi così preoccupanti, la possibilità di disporre di strumenti più adeguati, innovativi, seppure in termini di efficacia ancora non del tutto pari a quelli offerti ai loro concorrenti dai sistemi d’oltreoceano. Il giudizio è pertanto positivo, è necessario proseguire su questa strada.
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