Il nostro sito usa i cookie per poterti offrire una migliore esperienza di navigazione. I cookie che usiamo ci permettono di conteggiare le visite in modo anonimo e non ci permettono in alcun modo di identificarti direttamente. Clicca su OK per chiudere questa informativa, oppure approfondisci cliccando su "Cookie policy completa".

uno scenario economico che non promette nulla di buono

Stefano Di Tommaso Compagnia Finanziaria

Lo scenario economico non promette nulla di buono e questa situazione può trascinare il Paese verso una stagione di ben più serrati confronti tra le parti sociali. Eppure farsi prendere dalla collera o dallo sconforto, o mettere la testa sotto la sabbia, non aiuterebbe, anzi c’è da chiedersi con più vigore e attenzione quali azioni programmare, data la «nettezza» dell’orizzonte economico. Non solo, infatti, lo scenario economico italiano è recessivo, ma altre falcidie stanno per abbattersi sul fantasma della ripresa economica: ulteriore disoccupazione e tassazione, minor credito con le norme di Basilea III, e le conseguenze di ciò, ossia mancati investimenti e fuga dei capitali. Tutti si aspettano una Borsa roboante nei prossimi mesi, una serie di nuove società che si affacceranno alla quotazione e probabilmente più denaro - diretto alle imprese migliori che si affacciano al listino -, di quanto ne affluirà in investimenti immobiliari o in titoli del debito pubblico: sembra strano ma le due cose potrebbero convivere, visto che chi ha qualche risparmio si chiede dove metterlo al riparo, e questo genera un’attesa di capitali verso il listino azionario. Perché allora lo scenario generale è cupo? È colpa dello spread? Solo in parte: un debito pubblico insostenibile anche a causa della decrescita del Paese non è un fiore all’occhiello del Governo e dell’Unione Europea che non si mette d’accordo per stimolare la ripresa, ma non sono in vista collassi immediati degli Stati più a rischio né brusche rotture dell’Unione monetaria. L’ombrello di protezione aperto dalle principali banche centrali sta facendo la propria parte, sebbene il governatore della Banca Centrale Europea Mario Draghi non possa fare molto. La prospettiva per l’Italia di inseguire il minor gettito fiscale con maggiori tasse, per non aumentare il debito pubblico, è deleteria perché non può che alimentare timori di non poter rifinanziare il debito stesso man mano che scade. Ciò allontana i capitali e la quasi unica possibilità di uscire dall’attuale recessione: quella di compiere numerosi investimenti infrastrutturali rimasti indietro, di rilanciare l’occupazione e incrementare l’efficienza e la produttività. Quest’ultima infatti è la maggiore indicatrice del divario che l’Italia ha accumulato con il resto dell’Europa. La differenza di produttività con gli altri Paesi sembra richiedere alle relazioni industriali del nostro Paese uno sforzo supremo: negli ultimi 10 anni la produttività in Italia è cresciuta solo dell’1,6 per cento, in Europa del 13,9. Lo scontro sociale sembra destinato a incrementarsi, date alcune posizioni intransigenti ancora dominanti, ma non favorirà un incremento della produttività. Secondo El-Erian, responsabile degli investimenti della Pimco, società che ha raccolto 1.900 miliardi di dollari in gestioni patrimoniali, negli Usa per i prossimi 4 anni c’è da attendersi una bassa crescita, un elevato livello di disoccupazione, ulteriori deficit del bilancio pubblico, man mano che si dispiegheranno tutti i problemi economici accumulati in anni di eccessi e squilibri. È possibile che quanto molti economisti stanno dicendo si autoaffermi: se tutti si aspettano una recessione e si comportano di conseguenza, molto probabilmente essa sarà inevitabile. Mai sottovalutare le conseguenze di aspettative che si autorealizzano. Tuttavia non erano più sostenibili consumi e inquinamento come quelli dell’ultimo mezzo secolo. Inoltre elevati livelli di «illusione monetaria» erano derivati da un mercato finanziario roboante che alimentava le bolle del settore immobiliare, delle nuove tecnologie, delle energie da fonte rinnovabile. Bolle scoppiate una ad una in poco tempo, riducendo la ricchezza finanziaria, i posti di lavoro, il reddito disponibile, il welfare finanziato con l’incremento dei debiti. I problemi accumulatisi in anni di edonismo e ottimismo esagerato prima o poi sarebbero emersi. Secondo l’Istat, lo scorso settembre gli ordinativi dell’industria sono diminuiti del 4 per cento; rispetto al settembre 2011, la variazione negativa è stata del 12,8 per cento. In nessun settore l’indice degli ordinativi è migliorato. La diminuzione più consistente, pari al 18,4 per cento, si è registrata nella metallurgia e nella fabbricazione di prodotti in metallo. Il fatturato dell’industria ha registrato una riduzione del 4,2 per cento rispetto ad agosto. Per il 2012 si prevede una riduzione del prodotto interno pari al 2,3 per cento; per il 2013, nonostante un moderato recupero dell’attività economica nel secondo semestre, la variazione media annua resterebbe leggermente negativa. La domanda estera netta risulterebbe, in entrambi gli anni, la principale fonte di sostegno alla crescita, mentre il contributo della domanda interna, negativo per il 2012, migliorerebbe di poco nel 2013. La spesa privata per consumi, dopo una contrazione del 3,2 per cento nel 2012, risulterebbe ancora in calo dello 0,7 per cento a causa delle persistenti difficoltà sul mercato del lavoro e della debolezza dei redditi nominali. La riduzione da parte di imprese e amministrazioni pubbliche degli investimenti fissi rallenterebbe nel 2013 per le prospettive di ripresa e per il graduale miglioramento dell’accesso al credito. Nel 2013 il tasso di disoccupazione continuerebbe a salire per il contrarsi dell’occupazione e l’aumento della disoccupazione di lunga durata. Il rallentamento del commercio mondiale e il possibile riacutizzarsi delle tensioni sui mercati finanziari costituiscono i principali fattori di rischio. La revisione delle politiche economiche volta al contenimento o alla riduzione dell’indebitamento pubblico in atto in tutto il mondo occidentale, sebbene sia percepita come un passaggio necessario, rischia di sfociare in una disordinata recessione e in una restrizione generalizzata della disponibilità di moneta per l’economia reale. Tipici elementi che distinguono, nella storia economica, la contrazione della spesa pubblica sono la riduzione della stessa; l’aumento delle tasse; la contrazione dei consumi dovuta alla riduzione del reddito; la ridotta capitalizzazione delle banche per le perdite su crediti indotte dalla recessione; la scarsa disponibilità di credito a favore degli investimenti; la scarsa appetibilità dei rendimenti netti per gli investitori finanziari; la fuoriuscita di capitali dai confini nazionali; il mancato ingresso di capitali dall’estero. Dal settembre 2011 al settembre 2012 il credito totale alle imprese è diminuito in Italia di 38 miliardi di euro. Poiché molti impieghi delle banche sono bloccati su imprese che hanno chiesto la moratoria o hanno accettato di pagare spread più alti pur di non restituire subito il capitale, si deduce che il nuovo credito erogato sia stato veramente scarso. Si stima che nel 2013 le prime 33 banche italiane dovranno raccogliere nuove risorse per almeno 74 miliardi di euro. Chi li fornirà? In assenza di nuovi interventi esterni e di ulteriori consistenti ricapitalizzazioni, c’è da attendersi che, nel corso dell’anno, le principali banche italiane dovranno ridurre l’esposizione verso la clientela di circa il doppio del 2012. Questo fattore rischia di non essere nemmeno il più importante dei problemi del settore, dato che la normativa Basilea III impone più stringenti requisiti di capitale per le banche e indirettamente concessione di minore credito ai privati, alle imprese e ai grandi progetti. Inoltre, con il denaro della Banca Centrale Europea e delle banche dovrà essere rinnovata una grande mole di titoli di Stato che giungeranno alla scadenza.

 

di STEFANO DI TOMMASO

amministratore delegato de La Compagnia Finanziaria  

Tags: Gennaio 2013 banca banche Stefano Di Tommaso

© 2017 Ciuffa Editore - Via Rasella 139, 00187 - Roma. Direttore responsabile: Romina Ciuffa