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la maschera e il volto, ovvero la contraffazione letta attraverso una frase di dumas

Ci siamo appena lasciati alle spalle il «Premio Vincenzo Dona - Voce dei consumatori» con un’edizione ricchissima di partecipanti. D’altronde, visto l’argomento, non poteva essere altrimenti: la contraffazione è un virus contagioso che affligge ormai ogni settore merceologico; dagli alimentari ai farmaci, dai cosmetici alla moda, dai giocattoli all’oreficeria. Ma non solo, non riguarda più solo i prodotti ma anche i servizi: pensiamo ai messaggi di posta elettronica che, presentandosi sotto mentite spoglie, provano a carpire le credenziali dei nostri conti bancari. E ancora agli operatori che suonano alla nostra porta e, magari camuffati da «letturisti», ci propongono un nuovo contratto per la fornitura dell’elettricità e del gas. E non è tutto, perché si possono taroccare e falsificare le idee: è quella che potremmo chiamare contraffazione ideologica, della quale sembra protagonista la politica, o almeno certa politica che, tanto più in un periodo di campagna elettorale, sa regalarci promesse miracolistiche, senza alcuna preoccupazione della loro realizzabilità. Ma tornando ai consumi, il fenomeno del falso non riguarda solo ingredienti o denominazioni, materie prime o lavorazioni: è contraffazione ideologica una certa pubblicità, che illude i consumatori non più solo sulle caratteristiche dei prodotti, ma altresì sull’opportunità stessa dell’acquisto, sul prezzo, sull’accessibilità: avranno notato tutti il moltiplicarsi di spot che fanno leva proprio sulla convenienza di un determinato prodotto. Potrei citare il caso delle autovetture che sono presentate con formule di finanziamento decisamente fantasiose : «Paghi un anticipo, un po’ di rate e dopo tre anni sei libero di restituirla». Ci credo, l’hai già pagata! Ma più di ogni altra, è contraffazione ideologica quella che vuol farci credere che il voluttuario sia necessario, che sia essenziale acquistare il prodotto che hanno tutti, così veicolando il valore dell’apparire, ad ogni costo, soprattutto al prezzo della non autenticità. Muovendo da queste realistiche considerazioni, è più facile denunciare, senza esitazioni, che la contraffazione si alimenta di cattivi esempi da parte di consumatori, come quelli dati da un adulto che sulla spiaggia compra prodotti contraffatti davanti ai propri bambini. Ma anche da parte delle imprese, come quelle che si trasferiscono all’estero, approfittando di mano d’opera a basso costo. Sembra ancora troppo difficile ammettere, senza ipocrisie, che ciò che non è autentico offende la nostra stessa persona: dovremmo saper convivere con i nostri limiti, come si conviene per gli esseri pensanti. Lo riconosco: è proprio questo consumatore, ispirato dalla filosofia del «Voglio a tutti i costi», uno dei principali motori della contraffazione. Andrebbe spiegato a costoro che, ogni qual volta adottiamo un bene contraffatto, questo ci contamina, ci rende inautentici soprattutto rispetto a noi stessi. È questa offesa al nostro essere che come consumatori, e come persone, non dovremmo accettare. Se non cambiamo questo modo di pensare, ci sarà sempre una buona ragione per tollerare la contraffazione o, peggio, per diventarne protagonisti. La nostra organizzazione si oppone al fenomeno spiegando ai consumatori che accedere ai canali illegali comporta un rischio certo, quello dell’insoddisfazione perché il prodotto acquistato non ha generalmente le qualità del prodotto originale, ma aggiungiamo che, senza scontrino di acquisto, viene meno anche ogni garanzia post-vendita. Ne vale la pena? Tuttavia non basta chiedere ai consumatori di responsabilizzarsi: dobbiamo attenderci maggiore coerenza anche dalle imprese. Queste devono farsi seriamente carico dell’accurata verifica dei propri canali - mi riferisco a quanti tollerano che proprio dagli stabilimenti produttivi fuoriescano prodotti che vanno ad arricchire i mercati illegali -, ma anche di limitare la delocalizzazione produttiva perché questa conduce a due non desiderabili conseguenze: da un lato facilita i falsari, dall’altro disorienta il consumatore fino a giustificare l’acquisto di prodotti contraffatti. Nell’attuale cultura consumista basata sull’apparenza - l’uomo moderno diviene ciò che indossa e soprattutto ciò che possiede -, indossare un vestito autorevole, usare un prodotto popolare, significa sentirsi più importanti, più cool. Ma il punto è esattamente questo: se indosso qualcosa di inautentico, non posso esprimere autenticità. Quello che voglio dire è che non ha senso cercare di possedere quel che non possiamo avere. Ne va dell’economia di questo Paese, ma anche della nostra sicurezza, della qualità delle nostre esistenze. Ma, soprattutto, occorrerebbe seguire il detto di Alexandre Dumas, «Ogni falsità è una maschera e, per quanto la maschera sia ben fatta, si arriva sempre, con un po’ di attenzione, a distinguerla dal volto». 

Tags: Gennaio 2013 consumatori Massimiliano Dona UNC Unione nazionale consumatori

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