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Banche e interessi sugli interessi, la cancellazione dell’anatocismo è vera più a parole che nei fatti

Fabio Picciolini, Centro studi associazione  italiana istituti di pagamento e moneta elettronica

L'anatocismo, (derivante dal greco «ana», di nuovo, e «tokismòs», interesse, usura) è il calcolo degli interessi sugli interessi, chiamato, più comunemente, capitalizzazione degli interessi, in altre parole la trasformazione degli interessi maturati ogni qual volta è effettuata la loro contabilizzazione, in capitale su cui saranno calcolati nuovi interessi, con il conseguente aumento della posizione debitoria.
Una pratica conosciuta fin dai tempi dell’imperatore Giustiniano, vista già allora con particolare disfavore, confermato in epoca più recente, per la sua formalizzazione, nelle norme bancarie uniformi emanate dall’Associazione Bancaria Italiana, nel lontano 1952.
La Corte di Cassazione ha ancor di più precisato la portata dell’art. 1283 con la sentenza n. 2374 del 16 marzo 1999 e poi in molte altre successive, per la quale gli usi contrari previsti dall’articolo si debbono riferire alla norma e non alla contrattualistica; conseguentemente, la Corte ha ritenuto illegittimo l’anatocismo. La sentenza 2374/1999 e la successiva 3096/1999, affermano, infatti, che l’anatocismo non era un «uso» ma un accordo illecito in quanto anteriore alla maturazione degli interessi oggetto di capitalizzazione, rispetto alla previsione codicistica incentrata proprio sulla necessità di accordo successivo alla citata maturazione.
Secondo la Corte, letteralmente, «è nulla la previsione contenuta nei contratti di conto corrente bancario, avente a oggetto la capitalizzazione trimestrale degli interessi dovuti dal cliente (…) giacché essa si basa su di un mero uso negoziale e non su di una vera e propria norma consuetudinaria e interviene anteriormente alla scadenza degli interessi» così declassando gli usi bancari in forza della nozione di teoria generale del diritto sulla consuetudine (ovvero gli usi) costituita di due elementi: quello oggettivo, consistente nella ripetizione di un determinato comportamento tra le parti per lungo tempo, e quello soggettivo, consistente nella convinzione che tale comportamento sia giuridicamente vincolante.
Secondo la Corte, era proprio l’elemento soggettivo a mancare, nel senso che i clienti avevano la consapevolezza e la volontà di obbedire ad regola imperativa sulla capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, quindi indotti all’accettazione passiva della previsione. La decisione della Corte fu cassata con il Decreto Legislativo 342/99 che rinviava la materia al Comitato Interministeriale per il credito e il risparmio (Cicr) per l’emanazione di modalità e dei criteri da utilizzare per la produzione di interessi su interessi nelle operazioni bancarie rendendo, così, la pratica anatocistica nuovamente legale, con l’unica innovazione della pari periodicità del calcolo sia per gli interessi attivi sia per quelli passivi. Scelta aggravata dal fatto che la legge manteneva anche la validità di quanto prodotto prima della deliberazione del Cicr, emessa in data 8 febbraio 2000.
Il decreto, per la sua natura retroattiva fu dichiarato incostituzionale dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 425 del 17 ottobre 2000). Tralasciando varie sentenze, di merito e di legittimità, emesse negli anni, sostanzialmente tutte confermative della prima del 1999 è importante ricordare quella della Corte di Cassazione a Sezioni unite (24418/10) relativa all’illegittimità della capitalizzazione trimestrale, semestrale o annuale; anche in questo caso un intervento legislativo (L. 10/2010 art. 2 comma 61) limitò l’effetto della sentenza, prevedendo che la prescrizione potesse decorrere solo dal giorno dell’annotazione delle singole «partite». In parole semplici, non era più possibile ottenere la restituzione degli interessi erroneamente corrisposti. Anche in questo caso si rese obbligatorio l’intervento della Corte Costituzionale (sentenza 78/2012) che dichiarò illegittima anche quest’ultima norma.
Si giunge così alla legge di stabilità del 2014 (legge numero 147 del 2013), che introdusse il nuovo articolo 120 comma 2.b. del Testo Unico Bancario (Tub) che vietò definitivamente la pratica anatocistica, prevedendo che «gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale ossia il divieto assoluto di capitalizzare interessi su interessi».
Il susseguirsi e la diversità delle diverse normative ha creato notevoli difficoltà: da un lato ha fatto avviare delle azioni legali contro alcune banche, dall’altro ha fatto resistere in ogni modo il sistema bancario (le leggi ad hoc ne sono l’esempio più lampante).
Le azioni legali, hanno visto, in larga parte, la vittoria della clientela, a partire dal pronunciamento del 5 marzo e 3 aprile 2015, che con ordinanze cautelari emesse dalla Sesta sezione del Tribunale di Milano, inibirono, ai sensi del codice del consumo (art. 140.8), dal 1° gennaio 2014, ad alcune banche, di utilizzare il calcolo anatocistico degli interessi, di restituire quanto indebitamente percepito, di rendere pubblica la condanna, di comunicare, individualmente, a tutti i correntisti che dal 1° gennaio 2014 fosse vietata ogni clausola anatocistica riferita agli interessi passivi.
Trattandosi di una sentenza di merito e di un’ordinanza cautelare era più che scontato la volontà di opposizione del sistema bancario fino al ricorso alla Corte di Cassazione, in forza di almeno due argomenti: la mancata emanazione della deliberazione del Cicr prevista dalla legge, ritenuta conditio sine qua non per l’entrata in vigore del nuovo articolo 120 del Tub e per la validità retroattiva nei contratti già in essere dal 1° gennaio 2014. Posizioni contestate da più parti in quanto attendere la deliberazione del Cicr, come poi dimostrato dai fatti, significava bloccare sine die l’applicazione del nuovo articolo 120 del Tub, mentre l’applicazione solo per i contratti aperti successivamente al 1° gennaio 2014 avrebbe provocato disparità di trattamento tra correntisti, che invece debbono poter far affidamento certezza della norma, a prescindere dal momento di apertura del rapporto.
Una situazione che non poteva durare molto. Infatti, dopo una consultazione della Banca d’Italia, guarda caso, sostanzialmente contemporanea con quella sull’aggiornamento delle modalità di rilevazione dei tassi d’interesse ai fini del calcolo del tasso usurario, si è giunti al decreto 343 del 3 agosto 2016 emanato dal Ministro dell’Economia e delle Finanze, nella qualità di presidente del Comitato Interministeriale per il Credito e per il Risparmio che dal 1°ottobre 2016, da attuazione all’articolo 120 del Tub in materia di interessi, come modificato dalla legge 49 dell’8 aprile 2006.
Il decreto afferma in maniera definitiva «gli interessi debitori maturati non possono produrre interessi, salvo quelli di mora». Il decreto conferma che interessi debitori e creditori debbono essere contabilizzati con la stessa periodicità che non può essere inferiore a un anno.
Per le aperture di credito in conto corrente o in conto di pagamento e per gli sconfinamenti rispetto al fido accordato ai conti non affidati, gli interessi debitori devono essere conteggiati separatamente dal capitale, in modo da non dar luogo la capitalizzazione degli interessi e il calcolo degli interessi corrispettivi non sottostiano al principio anatocistico.
Il calcolo degli interessi deve essere effettuato il 31 dicembre di ogni anno, salvo il caso di chiusura infra-annuale del rapporto contrattuale. Gli interessi maturati al 31 dicembre di ogni anno sono esigibili solo dal 1° marzo dell’anno successivo o, in ogni caso, ai sensi degli articoli 119 e 126-quater del Tub solo dopo 30 giorni da quando il cliente riceve la comunicazione (solitamente con l’invio dell’estratto conto di dicembre) dell’ammontare degli interessi maturati nell’anno precedente. Nel periodo che intercorre tra il 31 dicembre e il 1° marzo successivo il cliente potrà pagare gli interessi maturati. Nel caso che il cliente abbia autorizzato la banca ad addebitare gli interessi sul proprio conto corrente, questi diventano capitale e gli interessi corrispettivi si calcoleranno sul totale finanziato in uno con gli interessi addebitati sul conto.
Nel caso di mancato pagamento e di mancata autorizzazione all’addebito in conto da parte del cliente, questi diviene inadempiente e si produrranno interessi moratori. Il contratto può prevedere una clausola con cui il cliente autorizza la banca ad utilizzare i fondi presenti sul proprio conto corrente, per pagare gli interessi maturati al 31 dicembre. È una clausola che rende possibile alla banca di addebitare gli interessi maturati prima di qualsiasi altro addebito con stessa data. Da tenere presenta che l’articolo 1194 del codice civile prevede che il debitore solo con il consenso del creditore, il debitore possa imputare i pagamenti effettuati al capitale e non a interessi e spese e che i pagamenti in conto capitale e interessi debbano essere imputati prioritariamente agli interessi.
Infine, il testo del Decreto del 3 agosto 2016 nulla riporta in merito agli oneri, diversi dagli interessi che il cliente deve sopportare nel suo rapporto con la banca, per cui gli intermediari potrebbero proseguire a operare con la loro capitalizzazione trimestrale. Per i contratti in essere, con una modifica dell’ultimo momento del decreto dipendendo da norma di legge, è stato previsto che l’applicazione della nuova norma possa avvenire solo con autorizzazione espressa del singolo cliente e non automaticamente. Il cliente mantiene comunque il diritto di revocare l’autorizzazione in ogni momento. Revoca valida fino ad una successiva diversa comunicazione formale del cliente stesso.
Il nuovo articolo 120 del Tub, nelle intenzioni del legislatore, deve fornire una soluzione definitiva per l’anatocismo, ma esiste un grande punto interrogativo: nella nuova previsione legislativa pur se non si fa più riferimento a usi e consuetudini, si è introdotta la pari periodicità nel calcolo degli interessi attivi e passivi e, soprattutto, è stata prevista l’autonomia decisionale del cliente, il nuovo articolo 120.2.b. non rispetta fino in fondo le previsioni della Corte di Cassazione, della Corte Costituzionale e del Codice Civile, sia in termini di accordo posteriore al maturare degli interessi (sostituita dalla firma di accettazione del cliente di accettare, se non provvederà al pagamento, l’addebito in conto in una data compresa tra il 1° gennaio o massimo il 1° marzo), sia per il periodo di maturazione degli interessi corrispettivi di almeno sei mesi (si pensi solo ai rapporti aperti dal 1° luglio di ogni anno). Non appare, quindi del tutto peregrino immaginare che in futuro le aule di giustizia torneranno a parlare di anatocismo.   

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