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Referendum: «sì» o «no», cambiare per rendere l’italia un paese migliore

Giorgio Benvenuto

È entrata in crisi l’Europa. Ne è uscita in seguito a un referendum l’Inghilterra. Alla base di quel voto c’è stata la convinzione che il ritorno alla piena sovranità nazionale potesse garantire controllo e sicurezza. È stato un calcolo sbagliato. Ma la paura annulla ogni ragionamento. Si diffonde e si rafforza nella globalizzazione un linguaggio reazionario, una semplificazione demagogica, un facile estremismo. In particolare si consolida una demonizzazione dell’Europa che appare sempre più lontana, sempre più burocratica, quasi senza legittimità.
Eppure «c’è uno spazio enorme– sottolinea Ezio Mauro–per una riconquista della politica... se non ci sarà… si avvererà la profezia di George Steiner, secondo cui l’Europa ha sempre pensato di morire. Ormai soltanto gli immigrati vedono nell’Europa quel che noi non sappiamo più vedere semplicemente: una dimora e un nome».
L’Europa deve garantire la solidarietà; deve rafforzare la coesione, deve pensare al futuro. Se non è capace di farlo è inevitabile che in ogni Paese i cittadini pensino che solo la bandiera nazionale li possa rassicurare. I diritti dei lavoratori si riducono, il precariato giovanile si legalizza, le pensioni diminuiscono, i sindacati sono emarginati, l’economia e il mercato sovrastano lo Stato e dominano l’Europa. È uno scenario incerto, preoccupante, insicuro. L’antidoto deve essere un vero riformismo capace di immaginare, progettare e costruire il futuro. L’Italia è a un punto di svolta. La riforma della Costituzione proposta da Matteo Renzi con l’intento di rendere governabile il Paese, di liberarlo finalmente dai lacci e dai laccioli, inciampa di continuo nella pratica quotidiana di Governo, che è incapace di modificare, a favore dei più deboli, i rapporti sociali ed economici.
Il vincolo esterno, che aveva operato in maniera soddisfacente nel secondo dopoguerra, ha cessato di funzionare quando è passato sotto il controllo della «burocrazia europea» e del mercato globale. La sovranità nazionale ceduta con la firma del Trattato di Maastricht è stata via via oggetto di pesanti condizionamenti dovuti ad interessi di poteri esterni non sempre sensibili alla soluzione dei problemi sociali. In questa situazione il Governo Renzi ha preparato la legge di stabilità per il 2017. Il dibattito sui problemi economici è stato ed è sotto tono. L’attenzione del mondo politico è infatti concentrata sulla riforma costituzionale e sulla nuova legge elettorale.
È in crisi la sinistra. Non ha proposte. In uno scenario privo di un vero confronto politico appaiono sulla scena leader mediocri incapaci di costruire il consenso su scelte condivise, di suscitare passioni, di gestire il rinnovamento. Troppe le promesse mancate, molta mediocrità nelle riforme, scarsi i risultati, ingombranti i «cerchi magici» (direi «tragici») di collaboratori servili, notevole l’incapacità di riflettere sui propri errori, incredibile l’ostinazione a insistere su scelte sbagliate. La politica non ha progetti: si limita ad approvare quello che succede, oppure a rimpiangere il passato, rottamando, passo dopo passo, diritti che sembravano acquisiti, con l’arroganza e la presupponenza di far passare questi revisionismi come luccicanti riforme.
La politica di oggi è eguale - ha sottolineato Luciana Castellina - ai programmi televisivi che ragionano solo in termini di auditel e che si adattano di continuo per incontrare il gradimento del pubblico. È un gioco di specchi: la politica coincide con l’opinione pubblica, che segue ciò che il potere costituito le indica.
Non si può proseguire su questa strada. Occorre reagire alla rassegnazione, alla rinuncia, alla paura. Non ci si batte, non ci si agita per evitare il peggio. Il meno peggio è un lontano ricordo; il «più peggio» è invece dietro l’angolo. Spesso assistendo ai confronti in televisione, ascoltando le dichiarazioni o leggendo le interviste dei diversi personaggi politici in campo, si rimane stupiti per la superficialità con la quale ognuno di essi argomenta la propria posizione. Talvolta il dibattito scade in una rissa da osteria; spesso c’è la demonizzazione delle opinioni differenti; quasi sempre vengono prospettate catastrofi o cataclismi economici e sociali se dovessero aver successo le teorie dell’interlocutore avverso. Il dileggio e l’offesa fanno breccia ovunque (sintomatica è la recente uscita del presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca contro l’onorevole Rosy Bindi). È la fiera dell’ignoranza, della volgarità, della maleducazione.
Il cambiamento della Costituzione per il Governo Renzi è necessario per decidere presto e subito. Si vuole dare a chi governa poteri spicci e sbrigativi per decidere senza sentire nessuno e senza studiare e approfondire l’impatto delle riforme. È importante riportare il dibattito nei binari della correttezza e del rispetto reciproco. Occorre sgomberare il campo da strumentalizzazioni ed esasperate esagerazioni. La Costituzione va aggiornata. Non ci piove. Viviamo nell’epoca della globalizzazione. Occorre fare i conti con l’Europa, con il mondo. La modernizzazione della Costituzione italiana va inserita in un progetto che non può ignorare l’Europa. È francamente discutibile che vengano auspicate in termini perentori dalla Commissione europea e da molti leader europei cambiamenti alla nostra Costituzione. Sono inaccettabili: provengono spesso da chi ha fatto di tutto per impedire all’Europa di avere una sua Costituzione. Anche la migliore riforma della Costituzione in Italia sarebbe poi vanificata se l’Europa continuasse a funzionare, anzi a non funzionare, come avviene oggi.
Occorre avere un atteggiamento positivo: i cambiamenti si fanno per consentire alla nostra Costituzione di confermare nell’epoca della globalizzazione e della finanziarizzazione la centralità del lavoro, della solidarietà, dell’equità. Le proposte di modifica della Costituzione, secondo l’ammissione di tutte le forze politiche, hanno avuto un iter confuso, alla ricerca di vaghi compromessi che si prestano a molti interrogativi privi di risposte. Il dibattito politico che si è sviluppato è molto diverso da quello svolto nel 1946 nell’Assemblea Costituente. Allora c’era stata una generale condivisione che aveva saputo gestire anche i dissensi più clamorosi (penso all’inserimento del Concordato tra Stato e Chiesa nella Costituzione). Tutto avvenne in un quadro politico unitario che non fu incrinato dai mutamenti politici che nel 1947 avevano portato all’allontanamento dal governo dei socialisti e dei comunisti.
Norberto Bobbio, in accordo con Giuseppe Dossetti, affermava che «la Costituzione italiana è ispirata a ideali liberali, integrati da ideali socialisti, corretti da ideali cristiano-sociali, in un riuscito compromesso che ebbe dignità di un vero Patto Nazionale… un accordo di validità universale, oltre il nostro ambito nazionale, e quindi ancorata a principi generali di umanità e civiltà». Ora invece si è data continuità alla sciagurata politica di realizzare le modifiche costituzionali con una maggioranza risicata, come era già avvenuto nella XIII e nella XIV legislatura. L’associazione Open Polis ha fornito alcuni dati impressionanti sulla mobilità dei nostri parlamentari. Nella legislatura in corso sono sinora 263 i parlamentari che hanno cambiato partito, alcuni più volte, per un totale di 380 cambi di casacca. A Montecitorio in particolare i cambiamenti sono stati 205, pari al 23 per cento; al Senato hanno scelto un altro partito in 117, con 175 spostamenti, pari al 36,5 per cento degli eletti. Tutto ciò premesso, vanno evidenziati i punti più critici dei cambiamenti oggetto del recente referendum.
Il Senato andava abolito. La soluzione ora proposta è invece un assurdo pasticcio. Le motivazioni della trasformazione del Senato sono superficiali. Il «bicameralismo perfetto» degli ultimi quindici anni è stato nella prassi aggirato. Il 58,9 per cento delle leggi nell’attuale legislatura è presentato sotto forma di decreto legge, messo in approvazione, quasi sempre, con il ricorso al voto di fiducia. Il tempo medio per l’approvazione è stato di appena 52 giorni. Di fatto ha deciso una sola delle Camere, mentre l’altra si è limitata a ratificare. Insomma, la motivazione della necessità di velocizzare le leggi è un falso problema. Appare come uno specchietto per le allodole. Il sistema elettorale che sarà adottato per la composizione del Senato è un mistero che verrà chiarito chissà quando. Le competenze assegnate al Senato aggravano i conflitti di competenza tra Regioni e Stato centrale. Si afferma che con la riforma si sarebbe eliminato il meccanismo della navetta tra Senato e Camera, cancellando così il bipolarismo «perfetto». È falso.
La competenza del Senato inoltre non è infatti limitata ai territori, alle materie di interesse municipale e regionale; è estesa anche all’Europa (si vedano gli articoli 70, 81, 87 del progetto di modifica costituzionale) e alla ratifica dei trattati internazionali. Il Senato è così competente per l’approvazione dei trattati europei che sono decisivi per il nostro futuro sia che si resti in Europa, sia che se ne esca, sia che li si voglia cambiare.
Il Governo non potrà su questi temi, in caso di dissenso, porre la fiducia, che è ammessa solo alla Camera. Come si risolverà l’eventuale dissenso tra le due Camere? Non si sa. Giulio Tremonti ha osservato che «si passerà dalla padella del Titolo V, sul cattivo rapporto tra Stato e Regioni, alla brace del caos, nel rapporto con l’Europa». Esiste un altro macigno. È il sistema elettorale. L’Italicum sarà cambiato, viene detto. Quando? Come? Non ci sono risposte attendibili. Ci troviamo dinanzi a una scelta storica? No, è un salto nel buio. Ora non si sa. Non possiamo essere sereni.
I senatori saranno eletti o saranno nominati? I deputati come saranno eletti? Il premio di maggioranza nel ballottaggio andrà alla coalizione vincente o al partito che avrà più voti? Comunque vada può avvenire che un partito che ha il 25 per cento ottenga i due terzi del Parlamento. È un premio di maggioranza mostruoso. Non avevano osato tanto né Acerbo nel 1924 né De Gasperi nel 1953. Non si può sbrigativamente liquidare le preoccupazioni, le perplessità, i dubbi come espressione di una visione vecchia, conservatrice, reazionaria. Non è possibile che la scelta sia tra chi teme la dittatura e chi teme l’ingovernabilità e la dissolvenza del Paese. Ecco perché ci deve essere un vero confronto. Non doveva essere un referendum sul Governo. Le proposte vanno esaminate senza la pistola alla tempia, senza pregiudizi, senza furbizie. È una forzatura inaccettabile, ad esempio, «il report» del Centro Studi della Confindustria che descrive uno scenario da incubo in caso di vittoria del no, con una perdita secca di quattro punti del prodotto interno lordo.
Tremonti ricorda che nella storia «le Costituzioni sono sempre state di tre tipi: prodotte a seguito di guerre o rivoluzioni; graziosamente concesse dai sovrani; scritte per convinzione fra tutti i rappresentanti del popolo. Ora ne avremo una di questo tipo: scritta per approssimazione e per appropriazione».
I vecchi partiti avevano un robusto apparato organizzativo e una presenza diffusa sul territorio. Non si limitavano a parlare dei cittadini, non parlavano solo ai cittadini: parlavano soprattutto con i cittadini. I partiti non possono oggi, anche se diversi dal passato, avere solo una base parlamentare, devono avere una base popolare. È fondamentale rivalutare il ruolo delle forze intermedie. È un grave errore criminalizzarle. La politica del Governo è troppo spesso contro tutto e contro tutti. La risposta inevitabile è la nascita di coalizioni innaturali, una specie di santa alleanza trasversale, che alla fine può essere capace di vincere.
Occorre cambiare. Rottamare i vecchi riti, le procedure obsolete, le antiche idee. Le parole, gli annunci, le promesse, sono espressione di una visione del potere personalistica, accentratrice, cinica, opportunista, priva di ideali. Occorre ritrovare la strada del confronto. I problemi sono complessi. La loro soluzione richiede il coinvolgimento di tutti. È necessario che si possa votare in assoluta trasparenza. Ci sono molti interrogativi senza risposta. Queste vanno date. Non si può chiedere di votare si «turandosi il naso»: l’Italia merita il meglio, non il meno peggio.
È mancata in queste ultime settimane Tina Anselmi. La voglio ricordare citando la conclusione della «lectio magistralis» che svolse a Trento il 30 marzo del 2004 all’Università degli Studi di Trento, nella Facoltà di Sociologia: «Molto si è parlato sull’aggiornamento della Costituzione di fronte alla crisi della politica, al disagio dei cittadini, alla necessità di sperimentare nuove forme di partecipazione, alla maggiore responsabilizzazione dei livelli di governo intermedi nell’uso delle risorse e così via. Desidero in proposito solo riprendere un punto centrale: ogni correzione dell’Ordinamento della Repubblica, la parte seconda della Costituzione, deve perseguire come obiettivo primario il pieno e più aggiornato sviluppo dei principi e dei valori della prima parte della Costituzione (‘I diritti e i doveri dei cittadini’) lungo i concetti della sussidiarietà, della interdipendenza e della solidarietà. La ricerca di nuove forme organizzative e istituzionali idonee ad aggiornare il modello democratico alle nuove sfide, anche nella prospettiva europea, deve fondarsi su principi di autonomia, responsabilità e solidarietà, principi fatti propri anche dalla nuova Costituzione europea. Avviandomi alle conclusioni voglio dire ai giovani che la strada che abbiamo davanti a noi è ricca di problemi, ma anche di spazi che si aprono alla nostra intelligenza, alla nostra volontà. Nessuna persona è inutile; c’è bisogno di ciascuno di voi. Questo è il messaggio della democrazia. Raccogliamolo se vogliamo essere noi a costruire il nostro futuro. Abbiate fiducia, coltivate la speranza e ribadite l’impegno nel servizio verso gli altri».
È una lezione di grande attualità. Non va dimenticata, ne tantomeno va ignorata.   

Tags: Dicembre 2016 referendum Giorgio Benvenuto

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