Il nostro sito usa i cookie per poterti offrire una migliore esperienza di navigazione. I cookie che usiamo ci permettono di conteggiare le visite in modo anonimo e non ci permettono in alcun modo di identificarti direttamente. Clicca su OK per chiudere questa informativa, oppure approfondisci cliccando su "Cookie policy completa".

  • Home
  • Articoli
  • Articoli
  • L’inquinamento ambientale è uno dei temi più drammatici e incalzanti dei tempi moderni

L’inquinamento ambientale è uno dei temi più drammatici e incalzanti dei tempi moderni

Maurizio De Tilla, presidente dell’associazione nazionale avvocati italiani

L'inquinamento ambientale è uno dei temi più drammatici ed incalzanti dei tempi moderni. Ne ha curato i diversi risvolti la Fondazione Veronesi in un volume («L’inquinamento ambientale. Riflessioni normative e bioetiche») curato da Umberto Veronesi, Lucio Militerni e lo scrivente ed edito dalla Utet. Nel libro sono trattati diversi profili: i caratteri scientifici e bioetici, il diritto all’ambiente, la riflessione sui caratteri normativi, la rilevanza penale dei fenomeni, le istanze repressive e l’effettività della tutela penale, l’ecofoodfertility, la sicurezza agroalimentare.
Nello specifico non mancano approfondimenti sui mille volti del disastro ambientale: il caso Eternit, l’emergenza rifiuti in Campania, le ecomafie, il fenomeno della «Terra dei fuochi», i delitti di imprese, le omesse bonifiche, la patogenesi delle malattie umane da lapidazione ambientale, il danno alla salute, il danno ai bambini, l’impegno delle madri, lo stress ossidativo, i danni genetici, la rivendica dei diritti ecologici, l’impegno civile, l’impegno dei medici.
Nella prefazione del libro Umberto Veronesi rileva che le risorse vitali vanno preservate e così la salute delle persone. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ci dice che nel 2012 circa 12 milioni e 600 mila persone nel mondo hanno perso la vita perché vivevano o lavoravano in ambienti inquinati. Per dirla altrimenti, un decesso su quattro nel mondo è legato all’inquinamento di aria, acqua e suolo. Il prezzo più alto in termini di malattia lo pagano i Paesi più poveri e gli strati più poveri della popolazione, i bambini e gli anziani.
L’inquinamento ci colpisce attraverso ciò che respiriamo (il primo inquinante letale ed evitabile è il fumo di sigaretta, ricordiamolo) e ciò che mangiamo e beviamo. Sappiamo ad esempio dell’effetto devastante di sostanze come i policlorobifenili o l’amianto che, a decenni dalla loro messa al bando, continuano a mietere centinaia di vittime l’anno per varie forme di tumore. Sappiamo dell’aumento dell’insorgenza di alcuni tumori legato all’inquinamento da metalli pesanti, come cromo, nichel, arsenico, delle diossine e del benzene.
Trattando le diverse problematiche è emerso che il diffuso e inarrestabile inquinamento ambientale impone la perentoria richiesta di un doveroso rispetto del diritto alla salute incrinato da comportamenti illeciti che spesso non vengono sanzionati. Il diritto all’ambiente discende anzitutto dal catalogo degli «inderogabili» doveri di solidarietà, ai quali l’art. 2 della Costituzione fa riferimento, che costituisce lo zoccolo duro e il fondamento dello Stato sociale che dovrebbe comportare il necessario terreno di radicamento e di legittimazione delle politiche pubbliche colorate in senso sociale e, in quanto tali, mobilitate in virtù di importanti opzioni e scelte economico-sociale. La promozione e la tutela del diritto alla salute, quantomeno nel suo nucleo essenziale e indelebile, e pertanto come condizione di benessere fisico-psichico che pertiene alla persona, vanno sussunte come fondamentale e non rinunciabile, funzione pubblica in senso oggettivo, coessenziale alla Costituzione formale (e soprattutto materiale) dell’ordinamento dello Stato di diritto. Con particolare riferimento al piano ideologico delle problematiche, Alessia Maccaro, nel capitolo «Rilievi bioetici sulla questione ambientale», fa rilevare che nell’orizzonte teorico definito dal rapporto uomo-natura sono individuabili almeno due macromodelli: un modello antropocentrico e un modello partecipativo.
Sul punto Manuela Militerni, nel capitolo «Terra dei Fuochi e custodia del creato: è ancora possibile sperare?», osserva che, lungi da utopistiche, per quanto desiderabili, prospettive di chi vede possibili rivoluzioni copernicane, occorre porre attenzione a una rilettura del rapporto uomo-natura per capire se a partire da esso - e non immaginando di poterlo lasciare alle spalle - è possibile intravedere una diversa strada percorribile. A ciò può certamente aiutare la prospettiva partecipativa. Contrassegno specifico dell’umanità è la capacità di rileggere la propria condizione e la propria collocazione in un orizzonte di equilibrio sempre rinnovantesi con ciò che la circonda.
L’etica ambientale si struttura proprio a partire da una sorta di sfida a un antropocentrismo angusto - sia nella sua versione specista o biologica che in quella personalistico-metafisica - e si pone alla ricerca di nuovi e più avanzati criteri del «meritevole di tutela» costringendo l’etica a interrogarsi sulla permeabilità dei suoi confini». All’interno di questo assunto va collocata l’etica della responsabilità di Hans Jonas, la quale muove dall’osservazione che lo strumento tecnico messo a punto dall’uomo con lo scopo di difendersi da una natura ostile ha finito per divenire una minaccia inarrestabile: l’umanità è «minacciata da se stessa, dal progresso di cui è stata ed è capace». Il filosofo tedesco, infatti, paventa gli esiti estremi e più nefasti che lo sviluppo incontrollato dell’ipertecnicismo può determinare per la natura e la sopravvivenza della specie umana sulla terra (euristica della paura) e propone un’etica fondata sul principio responsabilità (Das Prinzip Verantwortung) in forza del quale l’uomo presente è chiamato a rispondere delle proprie azioni all’uomo di domani: «dal momento che la tecnica aumenta il potere dei suoi effetti al punto da divenire pericolosa in modo tangibile per l’intera amministrazione delle cose, la responsabilità dell’uomo si estende al futuro della vita sulla terra, che oramai è esposta senza possibilità di difendersi all’abuso di tale potere. La responsabilità dell’uomo diviene così per la prima volta cosmica».
Su queste osservazioni si innesta la considerazione che il progresso tecnologico ed il raggiungimento di traguardi scientifici e sociali sempre più avanzati, se da un lato hanno inciso in maniera significativa sul benessere della collettività, dall’altro hanno ingenerato pericoli dirompenti, ed ancora non adeguatamente conosciuti, relativi all’equilibrio degli ecosistemi naturali e, in senso più specifico, alla salute degli esseri umani che con tali ecosistemi si trovano quotidianamente ad interagire.
Alessandro De Santis, nel capitolo su «La rilevanza penale dei fenomeni di inquinamento ambientale» collega tali pericoli, tra l’altro, all’immissione nell’ambiente di sostanze nocive per l’essere umano provenienti dalle lavorazioni industriali, nonché dal processo di produzione, gestione e smaltimento di rifiuti normali o speciali, connotati da elevato livello di tossicità e destinati ad incidere negativamente sulla salubrità dell’ambiente e sull’integrità psico-fisica delle persone. Nel contempo, i fattori surriferiti hanno posto in evidenza il problema della limitatezza delle risorse presenti sul nostro pianeta, problema aggravato dalle discutibili posizioni assunte da numerosi paesi industrializzati, i quali, spesso, dinanzi alla carenza di energia, non hanno saputo rispondere con l’elaborazione di modelli di sviluppo sostenibile.
Anche Alessandro De Santis ricorda la riflessione del filosofo tedesco Hans Jonas, il quale, partendo dall’analisi della tecnologia quale potere in grado di sconvolgere l’equilibrio dell’ecosistema, ha articolato la proposta di un’etica per la società tecnologica. In un esauriente capitolo del libro Antonio Marfella denuncia che in Campania si possono stimare in circa 6 mila tonnellate al giorno (il 30 per cento di circa 20 mila tonnellate dichiarate) i rifiuti speciali, industriali e tossici in regime di evasione fiscale che vengono quindi obbligatoriamente smaltiti illegalmente avvelenando la terra, l’acqua, l’aria e quindi danneggiando ineluttabilmente la salute pubblica.
In Italia sono circa 25 i milioni di tonnellate l’anno di rifiuti industriali smaltiti illegalmente perché prodotti in regime di evasione fiscale, rispetto alla produzione di tutti i rifiuti urbani oggi scesa a poco più di 29 milioni di tonnellate l’anno. Nel mondo produciamo circa 6,5 miliardi di tonnellate l’anno di rifiuti di cui solo 1,5 definibili come urbani, in Europa 2,5 e 1 (dati Osservasalute 2014) e, quindi, una parte eccezionale di questi rifiuti industriali e tossici sono smaltiti nel mondo illegalmente, ancora oggi senza alcuna tracciabilità efficace, avvelenando la terra e l’acqua che serve alla salute di tutti. (...)    (segue nel prossimo numero)

Tags: Dicembre 2016 Maurizio de Tilla

© 2017 Ciuffa Editore - Via Rasella 139, 00187 - Roma. Direttore responsabile: Romina Ciuffa