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Soffiatori di fischietto, ecco perché in Italia fischiano poco

Lucio Ghia

Nel giugno di quest’anno ho riferito su una particolare iniziativa che distingue i rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione nella lotta alla corruzione negli Stati Uniti d’America; questa iniziativa va sotto il nome di whistle blowing, ovvero i suonatori di fischietto.
Alcuni lettori, che ringrazio per la loro attenzione, mi hanno chiesto di ritornare sull’argomento e di approfondire meglio perché i suonatori di fischietto in Italia fischiano poco, ovvero perché nel nostro sistema non esiste a tutt’oggi una normativa e un sistema esecutivo attuativo di questa normativa che possa costituire quella che per gli Stati Uniti d’America ha rappresentato una vera e propria svolta, dando risultati estremamente importanti sotto il profilo economico nel contrasto alla corruzione.
L’idea sostanzialmente innovativa per noi italiani è che i fenomeni patologici di carattere economico vanno combattuti con strumenti ed iniziative essenzialmente economici, oltre che penali. È noto che la corruzione in tutti i Paesi ed anche in Italia rappresenta un forte appesantimento dei rapporti economici, ovvero per le nostre imprese rappresenta un aggravio di costi calcolato in due punti del prodotto interno lordo.
Anche negli Stati Uniti d’America la storia degli istituti giuridici ha una particolare importanza. Infatti, si suol dire che, se negli Stati Uniti d’America viene seguita una strada per risolvere un problema, questa scelta va presa in seria considerazione perché secondo la tradizione americana costituisce l’ultima scelta, cioè dopo aver preso in esame tutte le possibili soluzioni è stata individuata quella che obiettivamente si presenta come la migliore. La legge Dodd Frank che risale al 2010 ha introdotto questa disciplina, con l’articolo 31 F, che si intitola «Incentivi e protezione del segnalante di condotte illecite». Questa norma introduce l’obbligo per la Commissione degli Stati Uniti d’America per i Titoli e gli Scambi, la famosa Sec (U.S. Security and Exchange Commission), ovvero la «Commissione», di pagare incentivi ed assicurare protezione al segnalante di condotte illecite.
La Commissione inoltre ha il compito di sanzionare economicamente le persone colpevoli di episodi di corruzione e di «remunerare» coloro che secondo le specifiche contenute nella normativa attuativa forniscono spontaneamente «informazioni originali che possano consentire alla Commissione di intraprendere poi con successo azioni esecutive che conducano a sanzioni pecuniarie superiori ad un milione di dollari e ad azioni collegate». Le ricompense devono essere comprese in una somma che varia tra il 10 e il 30 per cento delle sanzioni pecuniarie riscosse. È stato per questo scopo istituito un fondo chiamato Fondo per la tutela degli investitori (Investor Protection Found), che viene utilizzato per pagare le ricompense ai segnalanti.
Ma non è questa la sola iniziativa strutturale che alimenta questa specifica finalità della legge Dodd Frank; per esempio è stato istituito l’Owb, cioè un ufficio all’interno della «divisione recupero» che ha una decina di avvocati che si occupano della parte più esecutiva del programma. L’aiuto della Commissione per individuare e bloccare le condotte fraudolente in modo rapido e tempestivo è diventato sempre più importante sotto il profilo economico. Tra l’altro l’Owb deve presentare ogni anno, secondo l’art. 924 d della legge Dodd Frank, al Congresso un rapporto sulle attività dell’Ufficio e deve illustrare le attività poste in essere per realizzare il programma di ricompense delle segnalazioni di condotte illecite; deve dar conto delle specifiche fattispecie ed illustrare le tipologie perseguite.
In effetti, come ha avuto modo di riferirci in un’affollata conferenza di qualche mese fà presso l’ambasciata Usa in Roma, l’ambasciatore John R. Phillips, le cifre proprie del whistle blowing sono di tutto rispetto. Dal 2011 quando questa nuova normativa e relativa regolamentazione hanno preso il via e quindi sono pervenute le prime denunce alla Sec di comportamenti illeciti e di fatti di corruzione, sino al 2015 vi è stato un costante crescendo di indennizzi e di condanne pecuniarie con consistenti incassi per lo Stato. Soltanto nel corso dell’esercizio finanziario 2015, dal 1 ottobre 2014 al 30 settembre 2015, la Commissione ha versato più di 37 milioni di dollari di ricompense a persone che hanno fornito «informazioni originali», tali da consentire di intraprendere azioni esecutive («enforcement action») con sanzioni pecuniarie superiori nel complesso ad un milione di dollari.
Il programma che l’amministrazione americana sta portando avanti, ci ha detto l’ambasciatore Phillips, ha prodotto e registrato un aumento progressivo delle segnalazioni. Dopo tre anni dall’inizio, siamo in presenza di 4 mila segnalazioni all’anno, con un incremento del 30 per cento rispetto al 2012, ed altresì ha prodotto un considerevole ispessimento delle garanzie per il denunciante. Oltre alla segretezza che copre la denuncia, è stata introdotta una protezione particolare per i dipendenti che denunciano i loro datori di lavoro per violazioni alla legislazione in materia fiscale, economica, giuslavorativa etc. Tra l’altro sono state previste sanzioni per i datori di lavoro che contrastano questo tipo di iniziative anti corruzione. Infatti, i comportamenti ritorsivi ai danni dei denuncianti vengono severamente puniti. In sostanza il messaggio che promana da questa legislazione può essere sintetizzato in quanto il presidente della Commissione costantemente afferma che «vogliamo che i segnalanti e i loro datori di lavoro sappiano che i dipendenti sono liberi di uscire allo scoperto senza temere rappresaglie».
Prima di esaminare e di cercare di dare una risposta alla domanda iniziale: perché in Italia non vi sono sufficienti stimoli per i «fischiatori sui fischietti», dobbiamo soffermarci ancora sul dato fondamentale: quello economico, che costituisce lo stimolo essenziale, la molla che ha attivato questo processo virtuoso negli Stati Uniti d’America. L’ammontare delle somme riscosse e delle ricompense pagate secondo l’art. 7623 b del Codice Tributario Usa sono emblematici. Nel 2013 sono stati pagate ricompense per i segnalatori pari a 54.054.587 dollari, nel 2014 pari a 52.281.628 dollari e nel 2015 a 103.486.677, mentre le somme riscosse per le sanzioni irrogate relative a comportamenti illeciti e/o corruttivi sono state nel 2013 di 343.674.315 dollari, nel 2014 di 309.990.568 dollari e nel 2015 di 501.317.481. Come si vede la percentuale delle ricompense pagate rispetto a quanto incassato è andato via via aumentando, si è passati dal 15,7 del 2013 al 20,6. È evidente, quindi, che la molla economica che è alla base di questi comportamenti virtuosi, funziona.
Il secondo elemento alla base del successo di questa normativa è costituita dalla riservatezza che la Sec e gli uffici che istruiscono le segnalazioni di comportamenti scorretti e/o corruttivi assicurano. Se il denunciante si sente protetto sarà stimolato a compiere il suo dovere di cittadino. La norma, nella specie l’art. l’art. 7623 a) e b), ha previsto un percorso estremamente preciso: le informazioni devono essere firmate e presentate sotto pena di spergiuro; si devono riferire ad un caso di inosservanza di obblighi fiscali, il che ricomprende a pieno titolo tutti i fatti di corruttela che come avviene sotto tutte le latitudini sono realizzati all’insegna della totale irregolarità fiscale. Se le erogazioni illecite facessero parte della dichiarazione dei redditi dei singoli cittadini, la corruzione sparirebbe, o comunque sarebbe molto ridotta rispetto a quanto leggiamo nelle cronache quotidiane.
I fatti illeciti dovranno riferirsi ad un contribuente e dovranno aver connotati oggettivi di una certa rilevanza, oltre un milione di  dollari, mentre il contribuente deve avere mezzi sufficienti per poter pagare le condanne alle quali può andare soggetto, quindi, deve evidenziare un reddito lordo che superi almeno i 200 mila dollari per ogni anno fiscale al quale si riferiscono le irregolarità. Naturalmente il «false claims act», ovvero la denuncia falsa, fraudolenta, infondata e/o calunniosa viene sanzionata, con una multa compresa tra i 5.500 e gli 11 mila dollari. L’avvio del procedimento prevede la presenza di un avvocato, e gli atti stessi vengono secretati per 60 giorni, copia della denuncia viene fornita solo ai funzionari del Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti i quali esamineranno la fondatezza della denuncia. Decorso tale termine (prorogabile) il Dipartimento può scegliere se promuovere l’azione giudiziaria, e ciò avviene nel 30 per cento circa dei casi, oppure in caso contrario, il denunciante può promuovere l’azione, fatto sempre salvo il diritto dello Stato al recupero delle somme fraudolentemente sottratte ovvero al risarcimento dei danni.
Naturalmente nel caso di palese infondatezza della segnalazione, il Dipartimento procederà all’archiviazione della denuncia perché il fatto non sussiste o perché l’azione giudiziaria si pone in conflitto con interessi giuridicamente rilevanti o strategici degli Stati Uniti. Nella pratica il Dipartimento di Giustizia tenta spesso di raggiungere un accordo stragiudiziale con i responsabili. Nel 30 per cento dei casi il negoziato costituisce, infatti, la soluzione migliore anche a tutela dell’immagine e della reputazione delle persone coinvolte.
Anche se la normativa statunitense sommariamente qui descritta ci riporta ad un istituto giuridico risalente alla tradizione romana sintetizzato nel «qui tam pro domino rege quam pro se ipso in hac parte sequitur», (colui che agisce tanto per il sovrano quanto per se stesso). Cioè si sottolinea, secondo tradizioni a noi più vicine, il diritto del cittadino che denuncia un fatto negativo per il sovrano e per lo Stato e realizza anche un proprio interesse, quello alla ricompensa, in Italia la condivisione con lo Stato di iniziative per perseguire attività illecite, non sembra aver molto successo. In realtà non esiste la cultura della «ricompensa» per l’esercizio di un dovere del cittadino, ovvero il perseguire gli illeciti si scontra con una ancorché negativa e da respingere «ritrosia delatoria» anche in presenza di fatti illeciti gravi che affonda nella generale sfiducia nei percorsi giudiziari.
Ma ancora di più perché gli incentivi economici non sono sufficientemente certi, né predeterminati, lo Stato difficilmente viene visto a fianco del cittadino anche quando si tratta di agire nell’interesse della morale e dell’etica pubblica. Quindi, per quanto sia stato iniziato da tempo in Italia un percorso virtuoso con la legge n. 190 del 6.11.2012 art.1 comma 7, istituendo in tutte le Amministrazioni Pubbliche il responsabile della prevenzione della corruzione, e quindi anche se esiste l’Organismo di Garanzia, anzi l’Autorità Nazionale Anticorruzione ed ancora sia stato potenziato il ruolo del Dipartimento della Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, risultati così penetranti nella coscienza e nei comportamenti di singoli cittadini non sono ancora registrabili. Forse un passo decisivo nella lotta contro la corruzione resta affidato al disegno di legge Camera n. 3365 approvato dalla Camera il 21.01.2016 ed ora all’esame del Senato della Repubblica con il n. 2208
Questa normativa infatti introduce il principio che la segnalazione in buona fede di episodi di corruzione o di condotte illecite non possa essere seguita da provvedimenti negativi per il dipendente che potrà ricorrere contro licenziamenti, trasferimenti etc. L’art. 3 prevede anche che l’identità del segnalante sia coperta dal segreto, e gli assicura la tutela dell’art. 329 del Codice di procedura penale.
Poiché i tempi per la promulgazione di questa legge non appaiono brevi anche a causa della necessaria sostituzione della Relatrice alla Commissione Senato, la sen. Anna Finocchiaro nominata Ministro per i Rapporti con il Parlamento, si potrebbe, quindi, approfittarne per migliorare la legge potenziando gli incentivi economici, secondo la «lectio americana».  

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