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LE PROFESSIONI PER L'ITALIA: antipolitica, corruzione, precariato

anna maria ciuffa e maurizio de tilla

«L’assenza di etica è il punto più alto della nostra denuncia»: lo proclama il nuovo Movimento «Le Professioni per l’Italia» guidato dal presidente Maurizio De Tilla, dal vicepresidente vicario Anna Maria Ciuffa e dal vicepresidente Domenico Petrone, nato formalmente a Roma per presentare elaborati e proposte alle forze politiche impegnate nella prossima tornata elettorale, e dichiaratamente indirizzato al ceto medio che, «proprio perché medio, è anche il gruppo pù popoloso», come dichiara De Tilla. Secondo i dati dell’Adepp, l’Associazione degli Enti previdenziali privati, le categorie professionali italiane negli ultimi cinque anni hanno visto una contrazione del 20 per cento dei loro redditi. «Per risolvere i problemi della politica bisogna cambiare musica, spartito, vecchi musicisti e direttore di orchestra», ha dichiarato il vicepresidente Petrone. Un altro aspetto è rilevato da Anna Maria Ciuffa, vicepresidente vicario del Movimento: «I soggetti maggiormente a rischio sono i giovani. Per loro non si fa nulla. Molti giovani professionisti sono disoccupati. Fortemente critica, poi, è la situazione delle donne. Nella realtà, non si portano avanti politiche serie per le pari opportunità nel mondo del lavoro». I «mercatisti» sostengono che l’idea del libero mercato è stata inquinata, se non sequestrata, dall’affarismo che ha alterato l’equilibrio della democrazia. I moralisti affermano che la corruzione e il clientelismo hanno derubato l’Italia di gran parte delle sue potenzialità di crescita economica e dei grandi benefici che può ricavarne, sottraendo ai cittadini le motivazioni per impegnarsi nel lavoro. Ancora più aggressive le accuse dell’antipolitica che denuncia una serie di fattori regressivi: il deterioramento di un’etica collettiva, la desertificazione di ogni panorama di valori, la proliferazione di una classe dirigente rapace e disonesta. A ciò si aggiunga la diffusa denuncia di comportamenti spregiudicati e indifferenti rispetto al bene comune da parte di coloro che, con arroganza e inconsapevolezza, si schermano dietro un pensiero che assumono vincente. Sotto un diverso aspetto si argomenta, però, che non sono esenti da precise responsabilità coloro che accettano di collaborare e compartecipare per pura convenienza agli interessi di politici non stimati, attraverso affari di dubbia committenza e il pagamento di tangenti per ottenere favori. È questo un quadro di valutazione esagerato o è la pura verità? Certamente si presenta inarrestabile la disonestà e la corruzione nel nostro Paese. Fenomeno diffuso anche in Europa. Sono clamorosi i dati dell’eurobarometro che ha raccolto le opinioni a questo proposito di un campione di 26.856 persone nei 27 Paesi dell’Unione europea. I risultati sono di agghiacciante durezza: la maggioranza degli europei è convinta che la corruzione sia un grande problema nel proprio Paese, lo dichiara il 74 per cento degli intervistati, dato che per l’Italia sale all’87 per cento. Circa la metà dei cittadini europei ritiene che la corruzione negli ultimi tre anni sia aumentata del 47 per cento, ma per l’Italia tale percezione sale al 56 per cento. Il dato fa ancora più riflettere se si pensa che nella media dell’Unione europea a 27 Paesi, ve ne sono anche alcuni in cui il processo di sviluppo è stato storicamente rallentato da varie forme di corruzione e di ridotta democrazia. La corruzione è vista come una piovra - la metafora è abusata, ma non casuale - che allunga i tentacoli in tutti gli interstizi del settore sociale, nelle istituzioni nazionali, in quelle regionali e locali, nella cultura imprenditoriale: gli italiani registrano tale fenomeno sempre in misura maggiore di 15-20 punti percentuali rispetto alla media europea. E non si tratta solo di percezioni: il 46 per cento degli italiani, contro il 29 per cento della media europea, afferma di essere personalmente colpito dalla corruzione nella vita quotidiana; il dato si ridimensiona molto, ma prende anche più ansiogena concretezza quando, alla domanda «Negli ultimi 12 mesi qualcuno le ha chiesto o si aspettava da lei che pagasse una tangente per i servizi resi?», risponde affermativamente il 12 per cento in Italia rispetto all’8 per cento nei 27 Paesi europei. Andando ad approfondire ulteriormente i dati, emerge un risultato ancora peggiore: la corruzione è legata alla criminalità organizzata per quasi l’80 per cento degli italiani rispetto al 57 per cento della media europea. Ora, a parte le indicate percentuali, la corruzione è uno dei principali mali del Paese e si intreccia con problemi sociali che riflettono la disoccupazione e la precarietà del lavoro. Da una parte c’è chi ruba e profitta del denaro pubblico; dall’altro lato c’è chi soffre e si danna per la propria povertà. Al centro c’è la società civile che è, in gran parte, onesta ed operosa. De Guy Standing, docente di Economic Security nell’Università di Bath, in Inghilterra, nel proprio libro «Precari. La nuova classe esplosiva», fa rilevare che al precariato mancano sia le libertà che le tutele più elementari. Come scrive Soren Kierkegard, la libertà si accompagna sempre a un sentimento di angoscia. Tutto ciò rischia di tramutarsi nella predisposizione a ogni tipo di paura incontrollata e nell’incapacità di attenersi a un pensiero ragionevole che tende a sviluppare una narrazione coerente riguardo alla propria esistenza e alla propria identità. La situazione angosciosa del precario viene ad intensificarsi in presenza di fenomeni di «mala gestio», di degrado morale e ambientale, di affarismo, di clientelismo, di corruzione. Il lavoratore precario è animato da sentimenti di rabbia e di amarezza laddove vede Governi salvare banche, e amministratori delegati responsabili del crack economico. Tanto più se il precario è tale anche se ha una laurea che vede vanificata dalle cattive regole del mercato del lavoro. Un precariato intellettuale, una disoccupazione intellettuale che protesta a viva voce per le coltivate aspirazioni non realizzate per colpa di un sistema che tende a penalizzare i bravi e gli onesti. E ciò, nonostante le prediche altamente istituzionali di coloro che, pur non facendo nulla per cambiare il sistema, ammoniscono il potere e la politica di cambiare ed assumere comportamenti etici ed ugualitari. 

Tags: Febbraio 2013 professionisti professioni Maurizio de Tilla Anna Maria Branca

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