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LA PUBBLICITÀ DEGLI INFLUENCER

di Massimiliano Dona, presidente Unione Nazionale Consumatori

Non basta! È una nostra vittoria, dovremmo essere dunque soddisfatti. Ma non è così! Abbiamo vinto qualche battaglia, ma non la guerra. Il fenomeno dei selfie sponsorizzati e più in generale della pubblicità camuffata sui blog ed i social network lo ha scoperchiato l’Unione Nazionale Consumatori, presentando nel mese di aprile un esposto all’Antitrust e all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni e chiedendo un intervento legislativo. Si è aperta un’ampia discussione sul tema. Grazie alla nostra sollecitazione, la Camera dei Deputati, il 28 giugno, ha approvato un ordine del giorno dell’on. Sergio Boccadutri sul tema della pubblicità promossa in modo occulto dai web influencer che impegna il Governo ad intervenire a livello legislativo affinché la loro attività "sia regolata, permettendo ai consumatori di identificare in modo univoco quali interventi realizzati all’interno della rete internet costituiscano sponsorizzazione".

Un successo. Ma, almeno per il momento, il provvedimento non ha ancora visto la luce, e ormai siamo a poche settimane dalla fine della legislatura.

In dicembre l’Antitrust ha finalmente risposto al nostro esposto, annunciando di aver "concluso positivamente una prima iniziativa in uno dei settori maggiormente innovativi, quello dell’influencer marketing, che è diventato una potente forma di pubblicità". L’Authority ha spiegato di aver inviato nel mese di luglio lettere di moral suasion ai sette influencer oggetto della nostra segnalazione e a undici società titolari di marchi di grande notorietà, con riferimento a specifici contenuti diffusi tramite post su Instagram, "al fine di sollecitare la massima trasparenza e chiarezza sull’eventuale contenuto pubblicitario dei post pubblicati".

In tali lettere, dopo aver ricordato che la pubblicità deve essere chiaramente riconoscibile come tale, si è evidenziato come il divieto di pubblicità occulta abbia portata generale e debba, dunque, essere applicato anche con riferimento alle comunicazioni diffuse tramite social network, non potendo gli influencer lasciar credere di agire in modo spontaneo e disinteressato se, in realtà, stanno promuovendo un brand. Si sono, quindi, invitati formalmente i destinatari a rendere chiaramente riconoscibile la finalità promozionale di tutti i contenuti diffusi mediante social media, attraverso l’inserimento di apposite avvertenze, come #pubblicità brand, #sponsorizzato da brand, #advertising brand, inserzione a pagamento brand, o, nel caso di fornitura del bene ancorché a titolo gratuito, #prodotto fornito da brand. Fin qui tutto bene, è quello che abbiamo chiesto. Certamente un passo avanti.

Il problema sorge perché, nonostante l’Authority abbia dichiarato di voler continuare "a monitorare il fenomeno adottando, di volta in volta, le misure che riterrà più opportune per contrastarlo", ha ritenuto che "gli influencer destinatari delle comunicazioni hanno recepito le indicazioni dell’Autorità", che "anche personaggi e titolari di marchi che non erano stati destinatari delle lettere stanno opportunamente inserendo le avvertenze richieste" e che, infine, "i titolari di marchi si sono impegnati a richiedere, anche per il futuro, ai propri testimonial l’inserimento di chiare avvertenze sulla finalità promozionale dei contenuti diffusi tramite social media". Insomma, l’Antitrust si è dichiara soddisfatta per l’esito della moral suasion e ha deciso di chiudere qui (almeno per ora) l’indagine sul fenomeno. Tutto risolto, quindi? Sarebbe bello se fosse così! Peccato che non lo sia, tanto che pochi giorni prima della chiusura del procedimento, l’UNC aveva integrato la denuncia all’Antitrust, aggiungendo nuovi eclatanti casi. Accanto alle star, poi, si sono aggiunti tutta una serie di personaggi, i cosiddetti “micro-influencer”, che, per quanto siano meno famosi, pur non essendo attori di cinema o vip della tv hanno comunque un numero significativo di followers. La loro influenza è ancora più pervasiva, soprattutto se si considera che sono seguiti da migliaia di adolescenti.

Insomma, il settore necessiterebbe di ben altri interventi di “moralizzazione”. Per questo l’UNC troverà altre strade per dare una risposta ai molti consumatori (in particolare genitori preoccupanti per i figli minori) che segnalano le scorrettezze dell’influencer marketing: faremo pubbliche denunce sui social network per aprire gli occhi al grande pubblico e attiveremo anche iniziative formali cominciando col coinvolgere lo IAP, Istituto dell’autodisciplina pubblicitaria che ha emanato da tempo una efficace Digital Chart alla quale le aziende devono attenersi nel commissionare campagne tramite gli influencer. È un diritto del consumatore sapere se un post sui social è una comunicazione pubblicitaria e fino a che questo diritto non sarà sancito ed effettivo, proseguiremo la battaglia.

 

 

 

 

 

 

Tags: Massimiliano Dona Dicembre 2017 UNC Unione nazionale consumatori influencer marketing influencer social advertising pubblicità

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