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MASSIMO MONDINI: MUSEO STORICO DELL'AERONAUTICA, DOVE ATTERRANO GLI AEREI CHE NON VOLANO PIÙ

Gli aerei sono fatti per volare; dopo il loro ultimo atterraggio, sono rottami oppure cimeli? Rottami son stati fino agli anni Settanta quando nasce in Italia, in leggero ritardo rispetto ad altri Paesi nord europei, la cultura della conservazione del materiale storico aeronautico. Dopo di allora, cimeli. Ma dove finiscono dopo l’ultimo volo? Si può dipingere di blu un museo: l’unico in Italia e tra i primi nel mondo è quello situato all’interno dell’Idroscalo di Vigna di Valle, sulla sponda meridionale del Lago di Bracciano, il più antico sito aeronautico d’Italia dove, nel 1907, il Maggiore del Genio Maurizio Mario Moris, padre dell’aviazione militare in Italia, impiantò il primo cantiere sperimentale aeronautico. Qui volò, nel 1908, il primo dirigibile militare Italiano, l’N1, opera degli ingegneri Gaetano Arturo Crocco e Ottavio Ricaldon, e nel 1912 il Tenente Manlio Ginocchio vi sperimentò con successo un idrovolante. Il Museo Storico dell’Aeronautica Militare Italiana, inaugurato il 24 maggio 1977 dal Capo dello Stato Giovanni Leone, è stato voluto e realizzato dalla Forza Armata per dare degna collocazione alle memorie storiche e al patrimonio aeronautico nazionale. Ha una superficie espositiva di circa 14 mila metri quadrati, è disposto in quattro grandi padiglioni espositivi, di cui due sono hangar storici dei primi anni del 1900, ed accoglie nel proprio interno oltre 60 velivoli, una cospicua collezione di motori e centinaia di cimeli che raccontano, in successione cronologica, la storia del volo in Italia e quella degli uomini che ne furono protagonisti. Il percorso si snoda attraverso i settori dedicati ai Pionieri, ai Dirigibili, alla Prima Guerra Mondiale, all’epopea dei Voli Polari del Generale Nobile, alle Grandi Crociere Individuali e di Massa, alla Coppa Schneider, alla Seconda Guerra Mondiale per concludersi, nell’ultimo padiglione, con la rinascita dell’Aeronautica nel dopoguerra e con i velivoli a reazione attuali.
Lo dirige dal 2000 il Tenente Colonnello Pilota Massimo Mondini, presidente anche della Commissione Restauri Velivoli Storici. Con all’attivo 4.500 ore di volo, è in Aeronautica dal 1972, fino al 1989 è stato pilota «combat ready» nella 46esima Brigata Aerea di Pisa - prima su un C119, poi su un C130 Hercules - quindi addetto alle operazioni della II Regione Aerea di Roma, Capo Sezione della Tasmo (Tactical Air Support Maritime Operations) presso il Comando in Capo della Squadra Navale Italiana e rappresentante dell’Italian Air Force presso il Comando Nato del Mediterraneo Centrale. Un uomo con le ali che dirige un museo di aerei che non volano più.

Domanda. Da rottami a cimeli: come è stato compiuto questo passo?
Risposta. Il Museo nasce dopo le molte peripezie cui è incorso tutto il materiale raccolto che dal 1913, anno della nascita del primo museo storico, fino alla fine della seconda guerra mondiale aveva trovato una sia pure instabile collocazione in vari siti: dalla costituzione della Forza Armata, avvenuta nel 1923, il museo era stato prima dislocato presso la Reggia di Caserta e poi, negli anni Sessanta, presso il Palazzo Millefonti di Torino. Nel dopoguerra non vi era più una sede dove custodire quanto si era salvato dalle distruzioni del conflitto mondiale e da quelle procurate dall’uomo. Solo una cultura della conservazione del materiale storico, che in Italia si è sviluppata negli anni Settanta, ci permette oggi di conservare alcuni dei cimeli dei velivoli in dotazione alla Regia Aeronautica o prodotti in Italia.
D. Tale materiale consente di rappresentare l’Italia nella sua tradizione aeronautica?
R. Si tratta di una percentuale bassissima rispetto a quella che è stata l’importanza dell’Italia nel panorama mondiale aeronautico: parliamo di meno del 3 per cento di tutta la nostra produzione. I velivoli e il materiale aeronautico venivano considerati rottami e distrutti. Del CR42, costruito in 1.800 esemplari alla fine degli anni Trenta, e dell’S.55, forse l'aeroplano più importante degli anni Venti, quello delle crociere di Italo Balbo, non esistono esemplari. Per ricostruire alcuni degli aerei simbolo della nostra Forza Armata siamo spesso ricorsi ad accordi e scambi con musei aeronautici stranieri; così è stato per il CR42 ricostruito da vari pezzi donati da istituzioni svizzere e svedesi e grazie a uno scambio con l’Imperial War Museum. Molti, in anni lontani, sono finiti per la gran parte distrutti senza che si pensasse come dietro a queste macchine ci fossero il genio italiano, la progettazione, l’industria, la società. Il nostro è un museo di aeroplani, ma anche del design e della società, poiché in esso è visibile lo sviluppo della tecnologia insieme al lavoro di chi l’ha creata.
D. Com’è oggi la considerazione delle macchine aeronautiche non più operative?
R. Proprio per dare una sede idonea e dignitosa a ciò che si è riusciti a conservare abbiamo compiuto una battaglia lunghissima per far riconoscere queste macchine come pezzi di archeologia aeronautica. È una battaglia che dura tutt’oggi, ma è vinta da un punto di vista formale, meno da un punto di vista sostanziale, perché abbiamo ancora moltissimo da fare in tema di restauri e inoltre non abbiamo ancora spazi sufficienti per l'esposizione di ciò che giace in magazzino. Eppure siamo tra i 5 musei più grandi nel mondo per collezione e per qualità, e in questo non dobbiamo invidiare nessuno, anche se i musei inglesi e gli americani sono i capofila nel settore. Il risultato raggiunto in questi anni è assolutamente soddisfacente, ma occorre anche il contributo di sponsor esterni all’Aeronautica. Per questo sono in atto molti progetti di restauro, complessi e costosi. In questi 10 anni, nel ruolo di direttore ho visto crescere di anno in anno la sensibilità verso i temi della conservazione e del restauro degli aerei storici e, grazie all’attenzione dello Stato Maggiore, siamo riusciti a salvaguardare e restaurare più del 70 per cento del patrimonio raccolto, un lavoro impegnativo che ha incluso il rinnovo delle infrastrutture museali.
D. Come mai a Vigna di Valle?
R. Una scelta dettata da molte ragioni. Innanzitutto Vigna di Valle è il sito aeronautico più antico in Italia, dal quale è decollata la prima macchina volante italiana, il dirigibile N1, nel 1908, antecedente al volo del 1909 di Wilbur Wright a Centocelle con il Tenente di Vascello Mario Calderara e il Tenente del Genio Umberto Savoia, considerato il primo volo di un aereo «militare» in Italia. Vigna di Valle è anche il primo cantiere sperimentale aeronautico presente nel nostro territorio, istituito dal Genio. La scelta di questo sito è stata dettata anche dalla convenienza: erano infatti a disposizione degli hangar storici e sin dal 1964 Vigna di Valle era divenuto un centro di raccolta di velivoli storici, dopo di allora si è ritenuto che fosse il luogo migliore per ospitare un museo.
D. Su cosa si compie il restauro?
R. La punta di diamante riguarda la collezione esposta, ma dietro vi sono diversi dipartimenti. Dal punto di vista organizzativo è un museo moderno, con 4 mila metri quadrati di officine di restauro e personale specializzato. Inserito nel Museo, ma non aperto al pubblico, c’è inoltre il Centro Documentazione Umberto Nobile, che conserva la biblioteca e gli archivi personali di illustri personaggi della storia aeronautica italiana. Questo materiale - migliaia di volumi aeronautici e documentazione fotografica di enorme interesse scientifico - è messo a disposizione di storici e ricercatori provenienti da tutto il mondo.
D. Progetti per il 2010?
R. È prevista l’ultimazione del restauro di un velivolo significativo per la storia dell’Aeronautica, il Romeo Ro.43, idrovolante imbarcato sugli incrociatori italiani per la ricognizioni, utilizzato anche per la caccia marittima, di cui stiamo completando il restauro; abbiamo in atto un altro recupero avente per oggetto un Ro.37 trovato in Afghanistan.
D. Come descriverebbe il museo?
R. Il nostro non è soltanto un museo aeronautico ma è un contenitore culturale per il territorio e per il Paese. Non facciamo soltanto accoglienza ai visitatori, ma svolgiamo corsi e convegni, ospitiamo mostre di pittura, spettacoli teatrali, concerti, come viene indicato nelle linee guida del Ministero per i Beni culturali: un museo deve essere la casa della cultura, non un cimitero. È inoltre in programma la pubblicazione online, all’interno del sito web del Museo Storico, dell’elenco delle monografie consultabili presso il Centro Documentazione.
D. Quali rapporti internazionali intrattenete?
R. Oltre alle consolidate collaborazioni con enti e musei come, in Germania, lo Zeppelin e il Museo della Tecnica di Berlino, o lo Spitsbergen Airship Museum norvegese, sono in corso le trattative con il Museo Del Aire di Madrid per il restauro di due esemplari di Ro.37bis che, una volta ricondizionati, arricchirebbero le collezioni di entrambe le istituzioni museali. L’Aeronautica cura anche allestimenti esterni, all’Italia e all’estero.
D. Chi sono i visitatori del museo?
R. Nel corso del 2009 si è registrata una presenza di 53 mila visitatori e 400 sono state le visite guidate compiute dai volontari dell’Associazione Arma Aeronautica di Bracciano e dal personale del Museo. Sono aumentate le richieste di informazioni da parte di ricercatori, curiosi, appassionati, grazie soprattutto alla pubblicazione online del portale del Museo. Nel 2008 abbiamo avuto il picco massimo degli ultimi 10 anni, con 68 mila visitatori, record che ha superato quello delle 62 mila presenze del 2002.
D. Cosa espone il Museo?
R. All’interno dei padiglioni espositivi sono custoditi aerei che nelle varie epoche sono stati in dotazione all’Aviazione Italiana, tra cui pezzi rari o unici. Nel padiglione Troster (hangar storico del 1914), oltre agli aerei caccia della Prima Guerra Mondiale, tra i quali lo SPAD VII appartenuto a Fulco Ruffo di Calabria, si possono ammirare il grande bombardiere Ca3 e il Lohner 127, idrovolante austriaco del 1915, ultimo esemplare rimasto nel mondo. Nel padiglione Velo, tra gli altri è esposto il Macchi MC72, idrovolante che ancora detiene il record di velocità conquistato nel 1934; più avanti il CR32, il CR42 e il Campini Caproni CC1, primo aereo a reazione italiano del 1939. Nel padiglione Badoni sono presenti i grandi velivoli (S79, SM82, G212, C47) e i caccia della Seconda Guerra Mondiale (la serie 200 dei Macchi, il Fiat G.55, lo Spitfire e il Mustang), mentre nell’ultimo padiglione, lo Skema, è visibile lo sviluppo dell’Aeronautica Militare, attraverso gli aerei in dotazione, dal 1950 ai nostri giorni. Abbiamo il motore più antico del mondo, quello di Wright del 1907, e l’abbiamo messo in moto per il centenario del volo.
D. Tra le vostre attività, tenete corsi di restauro. A chi sono diretti?
R. È il primo corso approvato in Italia di restauro aeronautico, per noi una pietra miliare, per cui spero possano attuarsi delle collaborazioni con le università. Il nostro è rivolto a tutti gli enti dell’aeronautica militare e a tutti gli specialisti.
D. Continua a volare?
R. Per un certo periodo ho continuato a volare, adesso purtroppo gli impegni sono tantissimi. Ma volo «ultraleggero».

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