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autocritica per rientrare ognuno nei propri limiti

di COSIMO MARIA FERRI Segretario Generale di Magistratura Indipendente

E' attraverso la condivisione dei valori costituzionali che il clima tra magistratura e politica, e non solo tra esse, può e deve cambiare. Cambiare attraverso riflessioni autocritiche in grado di ricondurre, entro i limiti derivanti dal rispetto dei propri doveri, ciascun comportamento, ciascuna azione, perché non va dimenticato mai che gli uni come le altre sono sempre espressione di un ruolo, di un’istituzione che va ben oltre ogni personale volontà.
L’impegno di ciascun magistrato deve, pertanto, indirizzarsi verso le sollecitazioni del Capo dello Stato a ricercare o mantenere «sobrietà, rigore, massimo scrupolo nell’applicazione delle norme, delle procedure e delle garanzie poste dalla Legge, in particolare a tutela dei diritti delle persone». L’impegno della politica dovrà essere analogo, volto cioè ad evitare ogni gratuito eccesso, e soprattutto a fondare ogni propria posizione, ogni propria decisione o scelta sulle solide basi dei principi che reggono la nostra democrazia, mirando alla valorizzazione dei diritti e alla positiva crescita dei servizi giudiziari reclamati dai cittadini
È mia convinzione che imponga un reciproco self-restraint la scelta compiuta dalla nostra Costituzione, nell’affermare i principi dell’autonomia e dell’indipendenza dell’ordine giudiziario «da ogni altro potere». Potere la cui natura i nostri Costituenti, con scelta provvida, evitarono accuratamente di qualificare, nella consapevolezza che molteplici ed eterogenee possono essere le forme di influenza e di condizionamento alle quali la magistratura può essere assoggettata.

 

Soggezione solo alla legge

E infatti da un lato, con rinnovato vigore, deve essere rivendicata la necessità di sottrarre gli appartenenti all’ordine giudiziario all’osservanza di limiti che non siano quelli riconducibili all’obbligo costituzionale di soggezione soltanto alla legge. In una simile prospettiva, pertanto, suscitano una giustificata preoccupazione tutte le proposte, troppo spesso riproposte all’attenzione dell’opinione pubblica, che, con l’intento di ricondurre l’esercizio delle funzioni giudiziarie nei limiti suoi propri, sottendono, in realtà, ben altro.
Sottendono cioè, oltre ad una malcelata insofferenza verso la capillarità con cui il potere giudiziario svolge il compito di garantire un efficace controllo di legalità, una concezione che, disattendendo la lettera e lo spirito della nostra Carta fondamentale, pretende di negare la natura «diffusa» di tale potere, individuandone dei «vertici» nel tentativo di assoggettare questi ultimi, e con essi quindi l’intera magistratura, a subdole forme d’influenza se non di vero e proprio controllo.

 

Niente commistioni improprie

D’altra parte, però, deve essere simmetricamente contrastata la tendenza - per la verità più spesso alimentata dalle aspettative di certi settori dell’opinione pubblica, che non dai comportamenti concreti di singoli magistrati - a dare vita a forme improprie di commistione tra iniziative di mobilitazione politica (o sociale) e l’attività degli appartenenti all’ordine giudiziario.  

Tags: Marzo 2013

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