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MAGISTRATURA. GIUSTIZIA: QUALE RIFORMA DISCUTERE SENZA RINUNCIARE ALL'INDIPENDENZA

di COSIMO MARIA FERRI
componente del Consiglio Superiore della Magistratura

 

In testa alle priorità il presidente del Consiglio ripropone con forza il tema della riforma della giustizia. Le polemiche di questi giorni rischiano di riportare il confronto a toni e fasi di scontro che si speravano superate. Dopo la bocciatura del lodo Alfano da parte della Corte costituzionale, il tema è tornato al centro del dibattito politico. Provo un certo timore però nell’assistere agli scontri della politica su di esso. Il cattivo funzionamento del sistema giustizia è sotto gli occhi di tutti e né la destra né la sinistra l’hanno impedito.
Ciascuno deve fare un passo indietro e cercare un’intesa per migliorare la risposta di cui il Paese ha bisogno e che può costituire un punto di partenza anche per il rilancio dell’economia. La magistratura deve fare la propria parte evitando strumentalizzazioni e mostrandosi aperta a giuste soluzioni nell’interesse dei cittadini. Esponenti politici, anche dell’attuale maggioranza, hanno precisato che il pubblico ministero non deve essere sottoposto ad altro potere che non sia quello giudiziario, con ciò rimarcando il rischio di un disegno in cui la preoccupazione principale non è quella di dare ai cittadini una giustizia efficace, in tempi ragionevoli, secondo regole razionali e a tutela di valori reali uguali per tutti.
Se la separazione delle carriere dei magistrati è immaginata per rafforzare la garanzia di terzietà del giudice, è evidente che ciò non può avvenire indebolendo l’autonomia e l’indipendenza dell’organo di accusa. L’ufficio del pubblico ministero deve rimanere all’interno dell’ordine giudiziario, sia pure nella distinzione delle funzioni rispetto agli organi giudicanti e in piena osservanza del principio costituzionale della parità tra accusa e difesa.
Nel dibattito che accompagnò la stesura del testo dell’articolo 104 della Costituzione, nel rispondere a quanti sostenevano la difficoltà di concepire un ordine autonomo e indipendente della magistratura, retto da un pieno autogoverno, si osservò come la soluzione scelta dalla Costituzione rispondesse alla necessità di sottrarla alla dipendenza e all’influenza del Governo, costituendo ciò una conquista della democrazia.
Allora questo è il momento di appellarsi alla ragionevolezza. Non deve prevalere uno spirito anti-magistratura; è il momento in cui ci si deve sforzare di evidenziare e raccogliere gli spunti sui quali si può registrare un consenso piuttosto che rimarcare e a volte strumentalizzare, le differenze che è ovvio vi siano. Come ho già sostenuto in varie occasioni, chi ha titolo per riformare dovrebbe evitare di affermare, quale presupposto di ogni intervento, lo spettro di una magistratura inoperosa, delegittimata e arroccata su se stessa, che nella realtà dei fatti non esiste.
Chi sarà «riformato» deve a sua volta mettersi in gioco senza nascondere difficoltà e punti critici che ci sono, e sui quali intervenire non sarebbe affatto ingiustificato. Sarà inevitabile discutere di correntismo, di modifiche all’assetto del Consiglio Superiore della Magistratura, di meritocrazia e specificità delle funzioni requirenti e giudicanti, nell’ottica di eliminare gli effetti non positivi finora scaturiti, purché tenendo ben presente, sullo sfondo di qualunque intervento riformatore, il principio dell’indipendenza della magistratura, bene fondamentale di qualunque nuovo sistema di giustizia si abbia in mente di realizzare.
Dobbiamo perciò lavorare per un confronto serrato, senza barriere pregiudiziali e senza pericolosi salti nel buio. Un obiettivo, questo, che si può raggiungere senza disperdere il senso dell’associazionismo, che è invece una risorsa importante, direi essenziale, per contribuire a dare soluzione ai problemi della giustizia. Riformare la giustizia è interesse dei cittadini come dei magistrati, i quali considerano il principio dell’indipendenza irrinunciabile e da tutelare sotto il profilo esterno e interno.
Sentono il bisogno di vedere garantita la propria autonomia di giudizio dal potere politico, ma anche di non vederla indebolita da prese di posizione poco costruttive se non, qualche volta, strumentali. È giusto chiedersi quale sia la strada migliore per raggiungere obiettivi che sono comuni, ma occorre riflettere su quali siano stati centrati in questi anni. L’Associazione Nazionale Magistrati deve ricominciare a seguire i propri iscritti, molti dei quali oggi decidono di non aderirvi neppure perché non le riconoscono la possibilità di svolgere la funzione, anche sindacale, che le sarebbe propria.
I magistrati desiderano, come e più della gente, vedere approvate norme che garantiscano un processo civile e penale con tempi più rapidi e certi; chiedono stanziamenti per la fornitura di strumenti essenziali al lavoro come codici e computer, per l’ammodernamento degli uffici e per l’accelerazione dell’innovazione tecnologica - anche attraverso la crescita delle conoscenze informatiche del personale -, che può fungere da volano per l’intero sistema. I magistrati sollecitano da tempo la fissazione dei carichi massimi di lavoro esigibili e misure urgenti di natura economica a sostegno di quelli più giovani.
Su questo livello di discussione dobbiamo portare i nostri interlocutori, affinché si accorgano che lo spirito con il quale affrontiamo la ricerca di una giustizia migliore è finalizzato ad ottenerla davvero e senza sconti, ma anche senza pregiudizi e senza la minima strumentalità.

Tags: Cosimo Maria Ferri giustizia magistratura Gennaio 2010

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