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MEDIACONCILIAZIONE, ERA NECESSARIO IL RINVIO DELL’OBBLIGO

di Maurizio de Tilla, presidente OUA - Organismo Unitario dell’avvocatura

Il decreto legislativo n. 28 del 4 marzo 2010 che impone alle parti il ricorso obbligatorio alla mediaconciliazione nelle controversie civili e commerciali è incostituzionale e va modificato. Nel novembre 2010 il Congresso forense ha indicato all’unanimità le modifiche essenziali da introdurre: non obbligatorietà; necessità di assistenza dell’avvocato; previsione della competenza territoriale; possibilità di proposte del mediaconciliatore solo in caso di accordo delle parti; nessuna ricaduta sul giudizio successivo; costi contenuti. Le modifiche prospettate sono state oggetto di iniziative legislative al Senato (disegni di legge Benedetti Valentini, Della Monica, Maritati ed altri) e alla Camera (proposte di legge Capano, Orlando ed altri).
In vista di modifiche la Commissione Giustizia del Senato presieduta da Filippo Berselli ha espresso all’unanimità parere favorevole alla proroga di un anno per tutte le materie dall’entrata in vigore dell’obbligo fissata per il 21 marzo 2011, ma il ministro Alfano si è opposto ingiustificatamente. La conciliazione, che investe settori economicamente e socialmente cruciali come condominio, locazioni, assicurazioni, ha suscitato notevoli preoccupazioni; l’Avvocatura ha posto in evidenza numerosi aspetti critici delle norme attuative, sostenendo che la mediaconciliazione obbligatoria è incostituzionale e danneggia i cittadini e che il relativo regolamento va abrogato; ha sottolineato che la direttiva europea in materia prevede la facoltà, non l’obbligo della mediazione.
Per tali ragioni l’OUA, insieme agli Ordini e alle Associazioni, ha presentato un ricorso al Tar del Lazio preparandone un altro alla Corte europea, che si aggiungono a quelli presentati autonomamente da vari avvocati. Nei ricorsi si sono contestate numerose violazioni di norme costituzionali - lesione del diritto di difesa e del diritto di accesso alla tutela giurisdizionale, eccesso di delega, violazione del principio di ragionevolezza e della riserva di legge sulle prestazioni personali ecc. -, sottolineando che la normativa introdotta renderà i costi a carico dei cittadini in sede conciliativa superiori a quelli di un intero processo.
L’aspetto più grave è che la formulazione, da parte del mediatore, della proposta di conciliazione e la sua accettazione o meno da parte dei cittadini, peraltro privi di assistenza legale, influenzano l’esito del successivo processo soprattutto nella valutazione sulle spese, caratterizzandosi come atti paragiurisdizionali e quindi riservati all’autorità giudiziaria. I rilievi mossi dall’Avvocatura sono stati condivisi dal TAR del Lazio che ha rimesso gli atti alla Corte costituzionale. Il Governo deve, quindi, subito correggere il decreto n. 28/2010 che avrà ulteriori effetti negativi sulla già grave situazione della giustizia civile. Su questa premessa gli era stato chiesto di prorogare di 12 mesi le disposizioni dell’articolo 24 per modificarne gli aspetti critici: riconsiderare le materie di applicazione; individuare la competenza territoriale degli organismi di conciliazione; eliminare l’obbligatorietà del procedimento di conciliazione; stabilire l’obbligatorietà dell’assistenza tecnica per l’oggetto del procedimento, per la natura procedimentale dell’istituto e per la funzione preliminare rispetto al procedimento dinanzi all’autorità giudiziaria, sul quale possono incidere pesantemente le vicende della fase mediatoria; prevedere requisiti di qualificazione, formazione, professionalità e competenza per i mediatori; valorizzare la funzione e il ruolo di terzietà del mediatore che deve facilitare la ricerca della soluzione; abolire la facoltà di formulare una proposta contumaciale e comunque quando le parti non ne facciano richiesta; eliminare ogni contaminazione tra mediaconciliazione e processo. E tutto ciò al fine di garantire che gli istituti della mediazione e della conciliazione siano realizzati non come alternativi al processo e come mezzi di liquidazione dei conflitti, ma come mezzo per il loro superamento.
Il parere unanime della Commissione Giustizia era stato trasmesso al Governo prevedendo l’approvazione, all’interno del disegno di legge cosiddetto Milleproroghe, degli emendamenti presentati dai senatori e dichiarati ammissibili. Nella seduta del primo febbraio 2011 il senatore Benedetti Valentini ricordava che la Commissione si era espressa condizionando il parere favorevole al differimento del termine di entrata in vigore delle norme sulla mediazione; esprimeva il timore che la I e la V Commissione riunite, competenti per il Milleproroghe, potessero non approvare le proposte della Commissione Giustizia, presentate anche dal presidente di questa Berselli.
Benedetti Valentini ricordava che, prevedendo l’obbligatorietà della conciliazione e mediazione, il Governo aveva disatteso il parere della Commissione Giustizia in quanto essa non era contemplata nella legge delega n. 69 del 2009; raccomandava al Governo di farlo rispettare e definiva inaccettabile, per il rischio di un’ulteriore frammentazione, l’ipotesi di entrate in vigore diverse, secondo la materia della controversia.
Dopo interventi analoghi dei senatori Casson, Della Monica e D’Ambrosio, il presidente Berselli concordava con i rilievi formulati e sollecitava il Governo a tener conto del parere approvato dalla Commissione Giustizia. Il sottosegretario Maria Elisabetta Alberti Casellati, dopo aver ricordato le finalità deflattive della mediazione e l’innovatività sul piano processuale di tale istituto, confermava che il Governo stava valutando l’ipotesi di prevedere diversi e graduali termini di entrata in vigore del decreto, secondo la materia, in quanto tale soluzione avrebbe consentito di valutare meglio gli effetti dell’istituto sulla giurisdizione; il presidente Berselli faceva proprie le perplessità per il rischio di frammentazione dell’istituto.
Il senatore Li Gotti faceva presente che la richiesta di differire l’entrata in vigore delle norme sulla conciliazione era motivata dall’esigenza di risolvere due problemi posti dal decreto legislativo n. 28: quelli dell’assistenza tecnica e dell’obbligatorietà del ricorso alle procedure conciliative. Nella seduta comune delle Commissioni Bilancio e Affari Costituzionali veniva approvato l’emendamento Lusi conforme agli emendamenti Berselli, Benedetti Valentini ed altri, Caruso ed altri, favorevole alla proroga di un anno.
Benedetti Valentini considerava tale rinvio una soluzione di buon senso che avrebbe consentito al Parlamento di conoscere le modifiche necessarie per realizzare una mediazione scelta liberamente dalle parti e assistita da quelle garanzie legali di cui queste ultime non possono essere private. Nelle more della discussione nel Senato, l’OUA indirizzava una nota al ministro della Giustizia Angelino Alfano affermando che lo slittamento di un anno dell’entrata in vigore dell’obbligatorietà nella mediazione era ostacolato dalla Confindustria e dalle Camere di Commercio, ed esprimeva il desiderio che egli si sottraesse a questa indebita ingerenza affidando il proprio intervento alla finalità di attuare, con la consueta obiettività, la tutela costituzionale del diritto di difesa e dell’accesso libero dei cittadini alla giustizia.
Un’altra lettera veniva inviata alla presidente della Confindustria Emma Marcegaglia per comunicarle che l’Avvocatura era favorevole alla mediazione finalizzata alla conciliazione ed era impegnata per una puntuale attuazione, ma era contraria alla sua obbligatorietà sia perché non rispondente alle direttive dell’Unione Europea sia perché costituiva un’illegittima e incostituzionale limitazione del diritto del cittadino ad accedere alla giustizia civile; per tali ragioni era incomprensibile la totale disattenzione nei confronti delle osservazioni avanzate da avvocati ed eminenti esponenti del mondo accademico e della società. L’OUA invitava quindi la presidente Marcegaglia ad astenersi da interventi per bloccare gli emendamenti bipartisan al disegno di legge Milleproroghe all’esame del Parlamento.
Alla posizione dell’OUA si associavano gran parte degli Ordini degli avvocati e delle Associazioni forensi che prospettavano al ministro Alfano un documento in cui denunciavano sei punti:
1) Il decreto delegato n. 28 del 2010 stabiliva che dal 20 marzo 2011 sarebbe diventato obbligatorio il ricorso alla mediazione senza necessità dell’assistenza dell’avvocato, per le seguenti materie: condominio, diritti reali, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, responsabilità medica e diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari.
2) Oltre ad essere incostituzionale e non aderente alla normativa degli altri Paesi europei, il meccanismo obbligatorio si traduceva in un bavaglio per l’Avvocatura alla quale sarebbe stato impedito di svolgere il ruolo di difesa che si deve estrinsecare anche nella possibilità di raccogliere la libera scelta del cittadino di fare ricorso o meno alla procedura di mediazione.
3) Nel Congresso nazionale forense di Genova era stata approvata all’unanimità una mozione in cui si stigmatizzava il grave vulnus al diritto di difesa e alla libertà contenuto nel decreto, e si invitavano gli organi istituzionali e politici dell’Avvocatura ad attivarsi per indurre il potere legislativo a rivedere la normativa.
4) L’obbligatorietà della mediaconciliazione avrebbe ostacolato l’accesso alla giustizia con evidenti aspetti di incostituzionalità e aggravio di costi per i cittadini.
5) Nella discussione sul Milleproroghe i senatori di tutti gli schieramenti politici avevano presentato emendamenti per lo slittamento di un anno dell’efficacia del decreto al fine di consentire un sereno confronto diretto alla modifica.
6) L’Avvocatura era favorevole alla proroga di un anno e decisamente contraria a un rinvio limitato ad alcune materie.
Nella relazione per l’inaugurazione dell’Anno giudiziario 2011, il presidente della Corte di Appello di Lecce Mario Buffa condivideva la convinzione degli avvocati che il tentativo di conferire obbligatorietà alla mediaconciliazione era destinato a naufragare clamorosamente, com’è avvenuto per il tentativo obbligatorio di conciliazione nelle controversie di lavoro e di locazione, norme poi abrogate, e dichiarava di non avallare una soluzione che poteva compromettere il diritto del cittadino al giusto processo e che, come concepita, appariva non corrispondente alle direttive europee.
C’era e c’è, pertanto, il rischio che la giustizia civile finisca in mani di dilettanti sprovveduti che potrebbero assicurare, sì, giudizi celeri e brevi, ma prescindendo dall’applicazione delle regole e quindi dalla certezza del diritto, che può essere garantita solo da un giudizio in cui operano professionisti esperti secondo regole di procedura ben definite. Se la procedura di mediazione non si svolgerà secondo regole accettabili, essa inevitabilmente non potrà approdare a risultati positivi e si risolverà in una perdita di tempo che ritarderà ulteriormente la definizione dei giudizi. Anziché cercare soluzioni alternative ed esperimenti di dubbio risultato, è preferibile impegnarsi a far funzionare meglio l’esistente.
È pienamente condivisibile quindi la via, indicata dagli avvocati, della razionalizzazione del lavoro dei giudici, che richiede un ufficio efficiente, lo studio preventivo della causa, un serio tentativo di conciliazione nella prima udienza con l’apporto decisivo degli avvocati e sulla base di proposte ragionevoli e ben meditate da parte del giudice, la concentrazione delle udienze istruttorie, una decisione anche immediata, sentenze motivate in modo incisivo e brevemente - il che forse è più difficile - e da depositare in tempi brevissimi anziché, nella migliore delle ipotesi, a distanza di mesi, come ora succede; sentenze in cui siano indicate concisamente, come dice la legge, le ragioni della decisione, non gli argomenti che dovrebbero dimostrare la sua bontà, che gli avvocati sono in grado di valutare da sé e di spiegare ai propri assistiti.
In conclusione, occorrono un progetto innovativo, un serio e generale processo di informatizzazione degli uffici giudiziari, il rilancio del processo telematico, la semplificazione dei sistemi di notificazione degli atti e delle comunicazioni attraverso il ricorso alla posta certificata; un uso efficiente delle risorse, tanto più quando sono limitate come in questo momento. Occorre uno scatto di orgoglio e di concretezza per il buon funzionamento della macchina giudiziaria, per tutelare i diritti dei cittadini e delle imprese, per il bene del Paese e per evitare altre condanne dall’Europa sulla lunghezza dei processi.
Dopo la prima approvazione al Senato dell’emendamento di proroga annuale, tutto faceva ben sperare. Senonché il ministro Alfano si è messo di traverso ed ha fatto entrare in vigore per quasi tutte le materie il decreto legislativo n. 28/2010. Ne è seguito il caos e sono subito venute in luce le carenze della normativa: blocco ingiustificato dell’accesso alla giustizia, migliaia di questioni di incostituzionalità sollevate nei giudizi, camere di conciliazione senza indipendenza (e in alcuni casi fantasma), invadenza nel settore di società di capitali con soci anche anonimi, scarsa qualità dei mediatori, mediazioni introdotte a distanza di mille chilometri dal luogo di residenza del convenuto, costi altissimi fino a 9.200 euro per parte dagli avvocati. I cittadini sono indignati e l’Avvocatura è in rivolta.

Tags: Maurizio de Tilla avvocatura Giugno 2011

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