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SANITÀ: OLTRE A SCANDALI E LISTE D'ATTESA, UN’ESCALATION DI RICHIESTE DI RISARCIMENTO PER ERRORI COMPIUTI DAI MEDICI

Gli indicatori, nazionali e internazionali, sono quasi tutti concordi: gli standard medi dei servizi erogati dalla bistrattata sanità pubblica sono in netto miglioramento. Ma, nonostante tutto, le richieste di risarcimento per errori medici registrano un boom. Gli ultimi dati li pubblica «Il giornale delle assicurazioni», sorta di bollettino ufficiale delle compagnie assicurative. Ebbene, se nel 2001 le richieste di indennizzo erano 12 mila, oggi le stesse raggiungono quota 30 mila. Un trend di crescita del 150 per cento, ancora più evidente in ambito penale. Eppure la sanità, pur tra scandali e liste d’attesa, non peggiora. Anzi.
Gli stessi esperti del ramo assicurativo ammettono che la causa è da ricercare in una più alta percezione del diritto alla salute da parte del cittadino e a una crescente aspettativa quasi «miracolistica» dalla moderna medicina. E poi, inutile negarlo, qualcuno ci prova. «I cittadini si rivolgono alla Procura della Repubblica perché vogliono la punizione penale del medico, ma spesso–ammette il procuratore aggiunto di Milano Nicola Cerrato, alla guida del pool sui reati professionali–, la querela viene usata come uno strumento di pressione, al limite dell’estorsione, per ottenere più velocemente un risarcimento».
Fatto sta che le cifre sono da capogiro. Il totale dei danni provocati da errori medici ammonta a 260 milioni di euro; 48 mila euro è l’entità media di un risarcimento; 500 sono i milioni di euro che ogni anno le Regioni sono costrette a sottrarre all’assistenza sanitaria per garantire asl e ospedali dalla responsabilità civile dei propri dipendenti. E i costi dei premi assicurativi sono lievitati quasi del 30 per cento negli ultimi anni. Per non parlare delle ricadute negative che questa corsa al risarcimento provoca sulla qualità delle cure. Gli esperti la chiamano «medicina difensiva», ma si traduce nella paura di effettuare interventi a rischio ma necessari o nel prescrivere test e analisi a raffica per evitare guai. Con il risultato che a rimetterci sono sia la salute degli assistiti che le casse già malandate delle asl.
Un monitoraggio del rischio clinico è stato compiuto anche dal ministero della Salute nel 2005, tramite l’osservatorio di quelli che in gergo tecnico vengono chiamati «eventi sentinella» - cioè casi di eventi avversi, gravi ed evitabili, segnalati spontaneamente-; da esso è risultato che dal 2005 all’agosto scorso i casi segnalati sono stati soltanto 385. La «sottosegnalazione–ha sottolineato il rapporto–rimane una problematica rilevante». Ma anche se non può rappresentare l’universo degli «eventi avversi» evitabili, lo spaccato fornisce comunque indicazioni utili sulle contromisure da adottare.
Come ad esempio curare un po’ di più anche gli aspetti psichici della malattia, visto che il maggior numero di eventi avversi (22,9 per cento) riguarda i suicidi e i tentati suicidi dei pazienti. Al secondo posto sono gli «eventi non classificabili» (17,1 per cento del totale), mentre la terza causa di morte censita riguarda la caduta dei pazienti (quasi 10 per cento). Segue poi tutto il repertorio di cui pullulano le cronache di «malasanità»: le conseguenze negative degli interventi chirurgici (9,3 per cento) o i corpi estranei dimenticati in sala operatoria nel corpo di ignari pazienti (8,8 per cento). Eventi molto spesso gravi, tant’è che nel 54,8 per cento dei casi si sono risolti con il decesso del paziente.
Dove fioccano le denunce? Le specializzazioni più colpite dalle denunce sono ortopedia e traumatologia (15,1 per cento), pronto soccorso (14,7 per cento), chirurgia generale (4,3 per cento), oculistica (3,5 per cento) e otorinolaringoiatria (2,9 per cento). Anche se spesso medici e infermieri sono esenti da colpe, come nel caso di quel 12,2 per cento che ricorre alla carta bollata per essere risarcito dopo una caduta dalle scale. La percentuale maggiore di importi liquidati negli ospedali riguarda: errori chirurgici 36 per cento, diagnostici 25 per cento, terapeutici 11 per cento e di prevenzione 7 per cento.
Ma non tutti sembrano essere uguali di fronte al rischio di una diagnosi, di un intervento o di una terapia sbagliati. Il pericolo, infatti, sembra aumentare se non si appartiene a una categoria economicamente agiata. Uno studio presentato nell’ottobre scorso da un gruppo di studiosi italiani alla conferenza internazionale di Dublino sulla qualità in sanità, dimostra ad esempio che con una frattura all’anca le possibilità di essere operati entro le 48 ore sono tre volte superiori per chi appartiene al ceto socio-economico «alto» rispetto a chi vive in condizioni precarie. E un intervento tardivo all’anca significa avere buone probabilità di subire una invalidità permanente.
Ma i manager della sanità pubblica non ci stanno e per bocca della Fiaso (la federazione italiana di asl e ospedali) smentiscono l’immagine di un servizio sanitario colabrodo con altri numeri: «Nel nostro SSN–sostiene il presidente della Federazione, Giovanni Monchiero–la sinistrosità è appena dello 0,2 per cento e di questa percentuale solo un terzo, ossia lo zero virgola zero e qualcosa, si trasforma in riconoscimento di un reale errore clinico. Quando si denunciano 30 mila casi di errori in corsia l’anno bisognerebbe mettere a confronto queste cifre con le decine di milioni di prestazioni sanitarie erogate ogni anno per capire che non c’è contraddizione con le classifiche dell’OMS che collocano l’Italia nelle primissime posizioni per aspettativa di vita e benessere psicofisico della popolazione».
Come affrontano il problema università, asl e Regioni? Compiuta l’autodifesa, non significa però che asl, ospedali e università siano rimasti con le mani in mano senza affrontare il problema. Una delle armi più affilate per combattere gli errori in corsia è, a giudizio degli esperti di clinical risk, la formazione. Sulla quale punta ad esempio la scuola di formazione continua del Campus Biomedico di Roma, che avvia, a partire dal 13 maggio, il secondo master in clinical risk management. Un percorso formativo ad alto tasso di innovazione, finalizzato a creare una nuova figura professionale: quella del clinical risk manager. Un super-esperto in grado di valutare le diverse dimensioni e tipologie di rischio clinico all’interno della propria struttura e di sviluppare programmi di gestione dello stesso.
Ma anche le Regioni hanno deciso di correre ai ripari, visto che i costi assicurativi aumentano di pari passo con i tempi necessari per ottenere un risarcimento, in media ormai più di 5 anni per il risarcimento. Il Piemonte ha fatto da apripista. Da quattro anni gestisce una forma di autoassicurazione, assumendo in proprio la gestione del rischio e ricorrendo ad una polizza assicurativa solo per la copertura di eventi catastrofali. La Toscana ha recentemente deciso di seguirne l’esempio, e ha chiesto alle aziende sanitarie di lasciar scadere, senza rinnovarli, i contratti con le compagnie di assicurazione
Nel Veneto si è invece scelta la strada dalla commissione conciliatrice per risolvere, in via extragiudiziale, il contenzioso in sanità: un organo di nomina regionale, assolutamente neutrale e che potrà avvalersi di consulenti e periti tecnici. La legge regionale approvata a fine luglio prevede comunque che il ricorso alla via conciliativa sia, per l’utente, facoltativo, su base volontaria e totalmente gratuito e che, comunque, non gli impedisca di rivolgersi in seconda battuta all’autorità giudiziaria, se insoddisfatto della proposta di transazione.
Numerose ASL e ASO hanno istituito strutture organizzative che si occupano di risk management e coinvolgono attivamente tutti i ruoli sanitari ai vari livelli aziendali. La recente iniziativa dell’asl n. 8 di Cagliari costituisce un modello che merita di essere descritto perché raccoglie le esperienze maturate in altre Regioni, nello sforzo profuso per ridurre costi ed errori in corsia. Cardine del progetto è l’introduzione dell’«incident reporting», che identifica il livello di rischio della asl attraverso l’analisi degli eventi avversi, la creazione di specifici database e lo studio dei materiali raccolti al fine di mappare e intervenire con successo sulle principali aree di rischio.
Nell’attività di analisi e individuazione delle azioni di abbattimento dei rischi, il risk manager viene inoltre affiancato da un gruppo di coordinamento aziendale in cui sono rappresentate le aree chirurgica, medica, infermieristica, tecnica, il technology assessment e la medicina legale. È poi prevista una rete di referenti -medici e infermieri - esperti nella tutela della sicurezza del paziente, mentre un comitato ad hoc per la valutazione dei sinistri ha la funzione di ridurre le controversie legali e di fornire tempestivamente risposte agli utenti.

Tags: sanità assicurazioni strutture sanitarie compagnie assicurative Maggio 2010 Fiaso medici

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