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LE NUOVE BR E GLI ATTENTATI: MASSIMO D'ANTONA E MARCO BIAGI

In una sentenza del 27 marzo 2008 sul terrorismo interno relativa all’omicidio di Marco Biagi ad opera delle nuove BR la Corte di Cassazione ha stabilito che la responsabilità del partecipe di un gruppo criminale terroristico a un attentato omicidiario che qualifica il programma criminoso dell’intera organizzazione può essere desunta dalle connotazioni strutturali della stessa, in particolare dall’articolazione in «cellule» territoriali, dalla ridotta composizione numerica, dalla caratterizzazione ideologica dei militanti da cui deriva la consapevole ed incondizionata adesione al programma, dall’esasperata selettività degli obiettivi, elementi tali da implicare una partecipazione totalizzante e il coinvolgimento di tutti i componenti della cellula nell’impresa pianificata.
La Corte spiega che l’affermazione di tale principio non è intesa a legittimare alcun estemporaneo criterio di semplificazione probatoria nell’accertamento della responsabilità concorsuale, in dissonanza rispetto ai comuni principi sul concorso di persone nel reato, ma è volta a definire un metodo di lettura del fenomeno terrorista rappresentato dalle nuove BR, risorte dalle ceneri come l’araba fenice, nel quale la mera partecipazione associativa (o militanza) finisce con il perdere il carattere neutro o di mero sospetto che normalmente le è proprio, per assumere in astratto o in via presuntiva un tendenziale valore dimostrativo di partecipazione, quanto meno morale, al reato commesso; salvo che non risultino univoci elementi di disimpegno o dissociazione o estraneità.
La Corte non ha potuto fare a meno di ricordare che, secondo il suo stesso insegnamento, l’accertata partecipazione a un’associazione per delinquere non comporta di per sé la responsabilità per gli altri reati commessi nell’ambito della stessa associazione, occorrendo la prova di un qualsiasi contributo, materiale o psicologico, apportato a tutte o ad alcune soltanto delle fasi di ideazione, organizzazione, esecuzione di ciascun reato, con la consapevolezza e la volontà di concorrere alla realizzazione collettiva.
Sul punto è stata richiamata la sentenza del 28 settembre 2007 secondo la quale nei reati associativi il ruolo del partecipe - anche se in posizione gerarchicamente dominante - rivestito da taluno nell’ambito della struttura organizzativa criminale non è di per sé sufficiente a far presumere la sua automatica responsabilità per ogni delitto compiuto da altri appartenenti al sodalizio, anche se riferibile all’organizzazione e inserito nel quadro del programma criminoso, giacché dei reati-fine rispondono solo coloro che materialmente o moralmente hanno dato un effettivo contributo, casualmente rilevante, volontario e consapevole all’attuazione della singola condotta criminosa, alla stregua dei principi comuni in tema di concorso di persone nel reato, essendo teoricamente esclusa dall’ordinamento vigente la configurazione di qualsiasi forma di anomala responsabilità di «posizione» o di «riscontro d’ambiente», in linea con i principi della responsabilità penale, a loro volta sintonizzati con i principi fondamentali sanciti dalla Costituzione. È pur vero, nondimeno, che la validità teorica di un principio nell’universo penalistico deve di continuo rapportarsi alle peculiarità della fattispecie concreta, nella multiforme varietà del mondo fenomenico. Nel senso che la compiutezza di un’enunciazione, indiscussa e indiscutibile sul versante della letteratura scientifica e della tradizione giurisprudenziale, può conoscere adattamenti o specificazioni nel concreto atteggiarsi della fattispecie, nelle nuove forme espresse dalla realtà in continua evoluzione. Nel caso specifico, quell’astratta configurazione può assumere, dinanzi all’emersione di nuove fenomenologie delittuose, profili derogatori o eccezionali, capaci di acquistare a loro volta rilievo generalizzato di principio valevole in astratto per tutte le fattispecie che risultino dotate dei medesimi connotati strutturali.
Nell’attentato contro Marco Biagi come in quello contro Massimo D’Antona, è emerso uno spaccato peculiare del nuovo fenomeno terroristico. Infatti, se è stata confermata la tradizionale articolazione territoriale in cellule dell’organizzazione terroristica BR-Partito Comunista Combattente, che ha rivendicato entrambi gli attentati, è affiorato un dato di particolare rilevanza: la ridottissima composizione numerica di ciascun gruppo criminale, operante in una determinata area geografica, principalmente Lazio e Toscana. La partecipazione a ciascuna cellula, enfatizzata dal ridottissimo numero degli associati e dalla sua conformazione strutturale, implicava piena e incondizionata adesione al riproposto programma rivoluzionario che, riesumando strategie disarticolanti del sistema istituzionale, si riproponeva di intraprendere un nuovo percorso criminale per destabilizzare, con la lotta armata, l’ordine democratico.
L’obiettivo programmatico del nuovo sodalizio eversivo era tutt’altro che generico e indeterminato ma, sottolinea la Corte, specifico e predefinito, inteso a colpire rappresentanti dell’establishment democratico e ancor più specificamente quanti per il loro impegno riformista - diretto al possibile miglioramento e al consequenziale consolidamento dell’assetto istituzionale - si fossero distinti in ambiti di particolare delicatezza e sensibilizzazione sociale, agevolmente individuati nel mondo del lavoro, come appunto i due giuslavoristi assassinati.
L’adesione a tale programma di morte compendiava il senso dell’appartenenza alla nuova associazione, non essendo possibile una partecipazione meramente ideologica o astrattamente adesiva alle linee del riproposto programma rivoluzionario che, riassumendo strategie disarticolanti del sistema istituzionale, si riproponeva di intraprendere un nuovo percorso criminale volto a destabilizzare, con la lotta armata le fondamenta dell’ordine democratico. Appartenenza significava consapevole condivisione di linee strategiche che avevano nell’omicidio (quel tipo di omicidio, con quelle connotazioni, modalità e finalità) il solo modo di perseguire gli obiettivi rivoluzionari.

Tags: terrorismo Antonio Marini massimo d'antona Gennaio 2009

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